Mandare la Paura in bianco

 
uova e paura

 

Paura.

Quella più grande di uno scrittore è forse quella del foglio bianco, foglio che con l’andare del tempo non trova mai, o più, un avvio.
Blocco dello scrittore, lo chiamano.

Il fatto è che – come per tutto – c’è sempre un inizio e ovviamente una fine.
Ordine naturale delle cose.
Dunque, anche la vena creativa si esaurisce.

 

Infatti adesso io HO PAURA. E se permettete, ne ho ben donde.

Ho paura di non avere più nulla da dire al riguardo. Non solo della Paura in tutte le sue infinite declinazioni – da quelle più stupide e insignificanti alle vere e proprie paranoie – ma morteperfino su quella più atavica: la paura della Morte.

 

La morte come fine dei nostri giorni è un evento in cui c’entra fino a un certo punto la volontà, difatti non sempre si è in grado di ritardarla o meglio ancora evitarla, a prescindere dalle modalità… Non è previsto però che ci conceda di non includerla in scaletta.
S’ha da fa’, e basta.
Il che non significa che uno debba andarle incontro cantando di felicità. È importante non attraversare a semaforo verde per le auto, e farlo se possibile sulle trisce, augurandosi di non essere travolti da un centauro che non rispetta i regolamenti stradali.

Ma se poi avviene che il centauro di cui sopra ci capiti comunque a tiro, non vuol dire che da allora in poi non si esce più di casa, bloccati dalla paura di perdere l’unica gamba rimasta illesa…

 

Se uno si chiama Fantozzi, è probabile che da una nuvoletta di pioggia si scateni un fulmine che incenerisca al suolo.
Ecco, questa io la chiamerei SFIGA allo stato puro, avere cioè qualcuno/qualcosa che ha deciso di appiccicarsi a noi, seguendoci come suo bersaglio. Se è così, c’è poco da recriminare. E alla fine suvvia, magari si può davvero passare a ‘miglior vita’, non si sa mai.

Però una cosa è certa: mi do la morte se ho paura di vivere, se mi astengo dal vivere per paura di sbagliare, se mi sottraggo alle cose e alle persone, se rimango in un innaturale isolamento, fisico e mentale. Perché l’essere umano è in quanto tale una creatura sociale, se volete alquanto imperfetta, ma proprio per questo orientata a meglio equipaggiarsi. Anche se ci sono ovviamente alcune eccezioni: gli irrecuperabili. Come me, per esempio. 

paura ragniPaura degli stipiti bassi e stretti, dei vani angusti senza finestre, delle grotte e dei cunicoli; di vuoto e precipizi. Paura del mare e delle grandi distese d’acqua, di quello che può contenere, dei pesci e dei vetri di bottiglia. Per non parlare dei pericoli legati alla terra, come ragni e serpenti. E poi aghi e sangue…
Sarebbe più facile elencare ciò di cui non ho paura, saranno tre o quattro cose in tutto. Per tutto il resto c’è…

E no, la Mastercard la paura non te la toglie. E poi ho paura che la macchinetta se la mangi e buonanotte…

 

“Non ci pensare e vai.”
Sì, non sarà sempre come attraversare dei carboni ardenti, magari andrà fatto di corsa, ad occhi chiusi (non per strada, mi raccomando), pensando che in pochi minuti sarà tutto finito, come si faceva da bambini davanti all’olio di ricino (quello vivaddio era difficile scordarlo in pochi minuti, se ancora oggi al ricordo una smorfia di disgusto mi attraversa il volto).

 

Che fare allora?
Fidarsi dell’istinto, nostro formidabile alleato. Sempre.
E riderci sopra, riderci sarcasticamente o serenamente, come mi è capitato di fare – in una tiepida serata romana, nello scenario suggestivo del Teatro di Documenti di Testaccio – in spettacolo marcellooccasione di uno spettacolo tutto incentrato sulla Paura. Dialoghi e monologhi sapientemente cadenzati, firmati da una penna ormai matura ancorché giovane, quella di Massimo Petrucci, e messi in scena da una compagnia di attori convincente ed affiatata guidata da Marcello Cozzolino, trascinante nella sua simpatia ed espressività tipicamente partenopee.

Ed ecco alternarsi fra parole e musica la paura suscitata da persone, cose, case, malattie, dal detto, fatto e dal non-fatto, dallo scritto o dal semplicemente evocato. Si può guardare in cagnesco un innocuo calzino o sentirsi al riparo in un angusto ripostiglio, fra panni da lavare e scaffali colmi di ricordi e cianfrusaglie.

Saranno forse situazioni surreali quelle che si susseguono in questa messa in scena, spinte fino all’inverosimile, in grado però di dare corpo a quelle gabbie in cui finiamo per rinchiuderci, fino a farci credere di stare meglio in un isolamento totale, chiuso ad ogni prospettiva di confronto.
Tranne che coi detersivi.

 

 

 

 tristo mietitore

 

 

 

 

 

NB
Avviso al Tristo Mietitore

 

Carissimo,
se decidi di passare dalle mie parti, avvisami con un minimo d’anticipo, diciamo tre ore. Il tempo di prepararti un tè, e tirar fuori l’occorrente sul tavolo pei nostri giochi…

Non per le carte che pensi tu, mi batteresti sicuro.
Facciamo a rima baciata? Incatenata la eviterei…
😉

 

 

Gamy Moore
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