Essere o non essere bastardi senza gloria

1941.

C’era una volta, nella Francia occupata dai nazisti, una piccola fattoria di campagna.

Inizio in campo lungo. Giornata di sole. Il titolare della fattoria, un contadino francese, sta lavorando con l’accetta un tronco d’albero.

Poco lontano, una giovane donna, sta appendendo lenzuoli bianchi ad asciugare. Sente un rumore. Scosta un lenzuolo e, dalla strada in terra battuta, vede giungere un’auto preceduta da due soldati tedeschi in motocicletta.

Inizia la musica: il tema di Per Elisa la famosa composizione per pianoforte di Ludwig van Beethoven, riadattata da Ennio Morricone in chiave di western.

E, per incanto, tornano in mente altre fattorie, altre donne, altre visite, tra la polvere che si alza sotto gli zoccoli di cavalli in formazione casuale, di cavalieri dai cappelli a falde larghe, di penombre su visi bruciati dal sole, di fucili che ondeggiano sui fianchi delle selle, di ghigni beffardi, di silenzi d’attesa, di duelli annunciati.

La donna chiama il contadino: «Papà!».

Altre due donne fanno capolino dalla casa del contadino. Questi ordina loro di tornare dentro. Poi chiede alla figlia di portare un po’ d’acqua in un catino e di entrare in casa con le sue sorelle.

Ed ecco il cattivo che arriva. Scende dall’auto e dice ai suoi uomini di aspettare. E’ proprio come te l’aspetti : cappotto lungo, passo sicuro, sguardo diritto. Finge di non conoscere il proprietario della fattoria e gli tende la mano, perché questo è un uomo che coltiva il gusto del duello. E perché ogni viril tenzone comincia col saluto.

«E’ un piacere conoscerla, monsieur LaPadite». E’ il colonnello delle SS, Hans Landa, che è giunto in Francia, incaricato dal Fuhrer di radunare gli ebrei che tentano di nascondersi.

Il colonnello Hans Landa rivela, ben presto, di conoscere bene la famiglia di monsieur LaPadite e anche quella ebrea dei Dreyfus che, secondo i suoi sospetti, si nasconde in zona.

Entrati in casa, il colonnello Hans Landa tiene la scena, beve un bicchiere di latte, parla in francese, vira all’inglese, conduce la danze e l’interrogatorio, mostrandosi affabile, comprensivo, velatamente minaccioso, volutamente sospettoso, drammatico e gigionesco.

«Monsieur LaPadite, come in ogni impresa, quando arriva una nuova gestione è normale che ci sia un eccesso di zelo». Il colonnello Hans Landa ha necessità di verificare alcuni fatti, compilando un questionario al quale il contadino dovrà rispondere. Monsieur LaPadite, precisa che può parlare solo di chiacchiere.

«Bene. I fatti possono essere fuorvianti e le chiacchiere, vere o false, sono spesso rivelatrici».

Finito di compilare il questionario, il colonnello chiede a monsieur LaPadite se conosce il soprannome che gli è stato dato: “il cacciatore di ebrei”.

Il colonnello alimenta un crescente clima di tensione, lo estende in forma di piaga, ci mette il dito, lo rigira, sdrammatizza, ride e si fa serio al tempo del sospetto. I tempi, invece, della discussione sono lunghi e dilatati. I movimenti dei due uomini, ovattati e rallentati.

Lui, il colonnello, precisa che il suo titolo se lo è guadagnato, perché lui sa pensare come un ebreo. Ma, si chiede: quali attributi gli ebrei condividono con una bestia? Sicuramente, quelli del ratto. E non lo considera un insulto. Il ratto vive in un mondo molto ostile, si deve destreggiare tra le ostilità degli uomini. Se si dovesse intrufolare in una casa, gli uomini lo accoglierebbero con ostilità. Lo stesso non farebbero con gli scoiattoli.

Un soldato tedesco – spiega – cerca gli ebrei dove lui pensa che gli ebrei si potrebbero nascondere. Ma lui, Hans Landa, no. Perché lui sa dove guardare, lui immagina dove un ratto si potrebbe nascondere.

La macchina da presa indugia sui particolari, ora sullo sguardo del contadino, poi sullo sguardo del feroce, ma sornione Hans Landa.

Il nazista spiega che il suo lavoro lo obbliga a condurre una scrupolosa ricerca, prima di potere depennare la fattoria di LaPadite dalla lista.

Il contadino è, oramai, completamente terrorizzato dal gelido e cordiale colonnello Landa.

«A meno che» precisa «lei non abbia qualcosa da dirmi che renderà inutile una ricerca. Il premio sarà che la sua famiglia non sarà più disturbata dai militari tedeschi per il resto dell’occupazione del Paese». Poi, chiede diretto:

«Sono sotto le tavole del pavimento, vero?». Il contadino, distrutto, annuisce col capo.

Fatti entrare i soldati, ordina loro di sparare verso il pavimento, sotto le cui assi è nascosta la famiglia di ebrei.

Soltanto la giovane Shoshanna Dreyfus non viene colpita e riesce a scappare nell’aperta campagna, cercando di raggiungere il bosco. Il colonnello estrae la sua Luger e prende un tempo infinitamente lungo per decidersi a sparare, finché non la perde di vista.

Secondo capitolo: il tenente Aldo Raine ha radunato otto uomini sull’attenti.

Spiega che sta formando una squadra. Che gli servono otto soldati americani ed ebrei, per fare una cosa ed una sola: uccidere i nazisti, in territorio francese. Perché i nazisti sono i soldati di un pazzo che odia gli ebrei e pratica l’omicidio di massa. E devono essere eliminati. Spiega che dovranno essere crudeli con i nazisti, che questi dovranno trovare le prove della loro crudeltà sui corpi dei loro fratelli smembrati e, così, avranno paura. La sera, quando chiuderanno gli occhi, il senso di colpa li torturerà per il male che hanno fatto.

 

 

Ho preferito dilungarmi sul copione dell’ultimo film di Quentin Tarantino, Bastardi senza gloria, piuttosto che sul commento, in quanto sono convinto che l’azione di questo film parli da sé.

L’ultima creazione di Tarantino incarna il mito della Storia, intervenendo a gamba tesa sui fatti realmente accaduti, per rivisitarli in chiave di ciò che non è stato, ma che sarebbe potuto accadere.

Tarantino non si preoccupa di rendere credibile la storia immaginata, né usa uno stile narrativo coerente con il peso specifico delle vicende reali. Bastardi senza gloria è un film semplice, destrutturato, che vuole prendersi gioco del Male assoluto, riducendolo a ridicola rappresentazione di sé stesso.

Per farlo, non usa sofisticati ragionamenti, né scova fatti segreti, testimonianze inedite, eroi dimenticati, ma soltanto uomini dotati di una forte personalità, determinati a raggiungere un risultato in modo talmente deciso, da apparire allo spettatore come personaggi sopra le righe del dramma.

Eppure il film, a modo suo, risolve in chiave drammatica e seria l’esigenza di mettere in risalto le tante esitazioni, silenzi, omissioni, di tutti coloro che hanno preferito non vedere, piuttosto che intervenire o che sono intervenuti quando la tragedia aveva oramai raggiunto dimensioni apocalittiche.

Oggi, la pace ed il benessere – almeno nel mondo occidentale – sono garantiti, le rivoluzioni si possono fare al tempo delle canzoni, mettendo i fiori nei nostri cannoni. Ma c’è stato un tempo nel quale, nel cuore dell’Europa, un lupo famelico ha sbranato milioni di uomini che porgevano l’altra guancia. A piccoli angeli sono state spezzate le ali senza pietà ed è stato pagato un tributo di sangue altissimo per l’umanità.

Rinneghiamo la violenza di ogni forma, ordine e grado. Ma, almeno una volta, quando si tratta di cinema, quando il nemico è così crudele, spietato, spregevole, quando lo zelo persecutorio supera l’odio e il silenzio si nasconde dietro improbabili esigenze burocratiche, almeno quella volta, lasciatecelo dire: essere bastardi è bellissimo.

 

 

il trailer del film:

In perfetto stile “Leone”, Bastardi senza gloria è la resa dei conti che non c’è mai stata, quella negata dalla Storia, quella che tutti avremmo voluto.

 


 

4 Replies to “Essere o non essere bastardi senza gloria”

  1. Una soluzione altrettanto romanzesca: Viaggio nel tempo, beccarlo all'uscita della birreria di Monaco quando insieme ad altri invasati come lui progettava i massacri che sarebbero seguiti e farlo fuori.

    1. Incredibile, ma vero: esiste anche un fallito attentato ad Hitler, quello del 8 novembre 1939 all'interno della birreria di Monaco, nella quale Hitler teneva l’annuale discorso commemorativo per il putsch del 1923.
      Il racconto che segue è sintetizzato da wikipedia, per brevità.
      Georg Elser, un taciturno falegname, preoccupato della deriva che avrebbe potuto prendere il movimento nazionalsocialista di Hitler e dei suoi accoliti, si recò a Monaco l'8 novembre 1938, per assistere al discorso che il regime proponeva annualmente nell'anniversario del fallito Putsch di Monaco. Due considerazioni furono decisive nella scelta di tempo e luogo da parte dell'aspirante tirannicida: sul piano operativo, l'evento appariva accompagnato da misure di sicurezza piuttosto blande; sul piano emotivo, la concomitanza (9-10 novembre 1938) della Notte dei cristalli, con le sue inaudite atrocità platealmente perpetrate su inermi "giudei", convinse Elser che una leadership capace di suscitare tale violenza avrebbe precipitato la Germania in un'altra apocalittica guerra: solo la morte di Hitler, ad avviso di Elser, avrebbe potuto fermare questa tragica concatenazione di mosse distruttive.
      Durante la fase preparatoria, scoppiò la Seconda guerra mondiale (1 settembre 1939), il che forniva un'infausta conferma alle fosche previsioni dell'attentatore di Monaco.
      Elser, idealista e quasi asceta, a quel tempo aveva interrotto ogni relazione con amici e parenti, ad eccezione di Johann Lumen, conosciuto nel 1938 proprio alla birreria Bürgerbräukeller, ed aveva dedicato molti mesi alla preparazione dell'attentato. Si fece assumere in una cava e, poco alla volta, senza destare sospetti, asportò la quantità di esplosivo necessaria a confezionare la bomba. Inscenò poi un incidente e lasciò il lavoro, trasferendosi a Monaco, dove aveva deciso di compiere l'attentato. Il luogo scelto era la birreria di cui si è detto. Per molte sere Elser si nascose nel locale prima della chiusura; quando il locale chiudeva iniziava a lavorare, ricavando una nicchia nella colonna dove sarebbe stato il palco di Hitler. Il giorno fatidico, nella nicchia inserì la bomba con il meccanismo da lui costruito e sperimentato. A sua insaputa però Hitler, a causa delle condizioni atmosferiche che gli impedivano di tornare a Berlino in aereo, decise di andarsene in anticipo essendo costretto a prendere il treno: lasciò quindi la birreria sette minuti prima delle 21:20, ora in cui "puntualmente" scoppiò la bomba. Il bilancio fu comunque di otto morti e sessantatré feriti, di cui sedici in modo grave. Così naufragava il tentativo di mutare il corso della storia.
      Hitler scampò anche ad un attentato che consisteva nel fare esplodere in volo il suo aereo con lui dentro, mentre era in volo.
      Misteriosamente, l'esplosivo non si innescò.

  2. Bellissimo… Tarantino fantastico, è riuscito a cambiare il corso della storia rendendola credibile…. Che bello se fosse andata veramente così! Ma un kamikaze era così difficile da trovare in quel periodo?

    1. In effetti, la possibilità di attentare alla vita di Hitler è stata presa seriamente in considerazione sia dagli inglesi che da un gruppo di ufficiali tedeschi.
      Uno dei progetti di attentato più serio fu messo in atto dal colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, il quale, dopo essere entrato nel quartier generale di Hitler (la "tana del lupo"), avrebbe douto piazzare un esplosivo ad orologeria sotto il tavolo attorno al quale avvenivano le riunioni con il suo Stato maggiore.
      Per una serie di circostanze incredibili, la bomba esplose ma Hitler rimase pressoché illeso.
      Von Stauffenberg e tutti coloro che avevano appoggiato l'attentato furono massacrati senza pietà dal regime nazista, che ha sempre usato la repressione feroce come mezzo di dissuasione e di stroncamento per ogni tentativo di opposizione interna.
      Hitler, per la verità, scampò ad altri attentati, sempre in modo assurdo, tanto da far riflettere su questioni che superano i limiti dell'umana comprensione.
      Sull'attentato nella tana del lupo, il cui nome in codice era Operazione Valchiria, è stato tratto anche un omonimo film con Tom Cruise.
      Hitler era un essere assurdo, cinico, violento e l'aura di mistero che ha accompagnato la sua squallida vita lo avvolge ancora.
      Certo, come dici tu, darebbe stato bello fermarlo prima. Chissà, se ci fossero stati i "bastardi"?
      Loro, forse, ci sarebbero riusciti.

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