L’arte di comunicare (1)

corso di retoricaCosa s’impara in un corso di retorica? Ma poi ‘sta retorica cos’è? A che cosa serve?

Comincio con rassicurarvi con l’affermazione che la retorica serve davvero a tutti, ognuno dovrebbe essere in grado di saper parlare, infatti l’etimologia della parola retorica è proprio “arte del dire” (dal greco ῥητορική τέχνη, rhetoriké téchne). La retorica ha quindi, specialmente nel suo ambito moderno, una stretta connessione con la comunicazione e il linguaggio.

L’arte del dire non è una prerogativa solo di chi, per mestiere, ha necessità di parlare in pubblico: politici, conferenzieri, venditori e rappresentanti. Saper esprimere la propria opinione e le proprie idee è una necessità di tutti.

Molto spesso siamo vittime inconsapevoli della retorica: a farne uso sono le pubblicità, i politici, gli imbonitori televisivi, e tutti coloro che sanno fare buon uso del linguaggio parlato e scritto.

Uno degli scopi della retorica è, infatti, la persuasione. Non pensate subito alla persuasione solo nella sua accezione negativa, infatti spesso ci troviamo nella condizione di avere giuste considerazioni da fare, ma non siamo in grado di esprimerle nel modo più efficace per farle comprendere. La retorica viene di supporto proprio per aiutarci in questa necessità di comprensione delle proprie idee, fornendo gli strumenti per esporle nel modo migliore possibile, un modo che possa non solo farle comprendere al nostro interlocutore, ma che possa anche persuaderlo ad accettarle.

Come scrive Roland Barthes (1915-1980, saggista, critico letterario, linguista e semiologo francese) la retorica è una scienza che studia i fenomeni e gli effetti del linguaggio, è una morale, perché conoscere gli strumenti del linguaggio per persuadere gli altri impone un rigore morale per non farne un uso improprio (andatevi a leggere le considerazioni di Sant’Agostino in “Le confessioni”), è una pratica sociale (in passato l’uso della parola differenziava i potenti dai sudditi, in realtà anche oggi è più o meno così) ed è anche una pratica ludica, che permette, attraverso l’uso delle parodie e degli scherzi, di creare giochi di parole e doppi sensi.

In questi miei “Appunti di retorica” (che si baseranno principalmente sul libro di Gianfranco Ricci “Corso di retorica”) non voglio dilungarmi in contestualizzazioni storiche o approfondimenti sui grandi retorici (Platone, Ippocrate, Cicerone, Quintiliano, Agostino e via via fino ai giorni d’oggi), voglio invece concentrare le forze sulla pratica della retorica, con lo studio del suo ambito, dove viene utilizzata e come. Infatti la retorica è normalmente usata in letteratura, in teatro, in politica, in poesia e scopriremo anche altri luoghi dove la retorica è normalmente utilizzata.

 

Come abbiamo già detto la parola retorica ha origine greca e significa “l’arte del dire”. Successivamente il mondo latino l’ha adottata con il sostantivo rhetor ovvero retore, il “maestro di eloquenza” altrimenti detto “l’oratore”.

Lasciandoci alle spalle la storia, possiamo dire che oggi la retorica è il modo con cui esprimiamo le nostre idee, ha a che fare con la scelta delle parole, dei modi di dire, con la costruzione della frase, lo stile, il tono e il modo con cui reagisce l’interlocutore alle nostre argomentazioni.

In altre parole la retorica non è “cosa diciamo” ma “come lo diciamo” e quel “come” fa la differenza. A secondo del modo con il quale vengono espressi i nostri concetti, si ottengono risultati diversi, può far commuovere, affascinare, avvincere, sedurre oppure non ottenere alcun effetto.

La pubblicità, ad esempio, fa molto uso di retorica. Qualche esempio? Sapete cos’è un ossimoro? Forse no, eppure ne avete ascoltati tantissimi: un ossimoro si ha quando si usano due concetti opposti per trarne fuori uno nuovo. Eccone uno: “The sound of silence” la bellissima canzone di Simon & Garfunkel, che si traduce come “il suono del silenzio”. Pensate che Giambattista Marino (poeta e scrittore italiano, Napoli 1569-1625) scrisse un intero componimento tutto basato sugli ossimori:

Volontaria follia, piacevol male,
stanco riposo, utilità nocente,
disperato sperar, morir vitale,
temerario dolor, riso dolente:
un vetro duro, un adamante frale,
un’arsura gelata, un gelo ardente,
di discordie concordi abisso eterno,
paradiso infernal, celeste inferno
.

Sentite come suona forte questa frase: “viviamo in un paradiso infernale”; comprenderete che avere tra le mani e saper usare gli strumenti della retorica, è come possedere un’arma della comunicazione molto efficace e farne uso all’occorrenza. Non solo, comprendere la retorica permette di vederla e smantellarla nei discorsi di chi ci vuole imbonire e gli imbonitori più eloquenti sono proprio i politici quando fanno quei discorsi in cui c’è tutto, ma alla fine non c’è assolutamente nulla.

Un amico, chiacchierando di politica e politici, mi disse: «Sai qual è il problema? Io sento uno di destra e mi pare che abbia ragione e mi viene di votarlo, ma poi sento uno di sinistra e mi sembra che anche lui abbia ragione! Insomma, se li senti parlare, pare sempre che stiano dicendo cose importanti».

Il mio ingenuo amico era semplicemente vittima della retorica messa in campo dai diversi esponenti politici.

Qualcuno di voi ricorda il discorso di Marc’Antonio nella commemorazione di Giulio Cesare? Mi riferisco all’atto terzo, scena seconda tratta dal “Giulio Cesare” di William Shakespeare. Vi assicuro che è una lezione di mirabile eloquenza e, chiaramente, di retorica.

Nel prossimo articolo, analizzeremo nel dettaglio il discorso di Mar’Antonio, ma voglio già da ora fornirvi alcuni strumenti per comprendere i passaggi chiave. Notate come inizialmente Antonio non attacchi Bruto e non dica che voglia difendere la persona di Cesare, anzi continui a ripetere che Bruto è un uomo d’onore. Intanto però, lentamente, smonta le parole di Bruto. Antonio dice che Cesare ha rifiutato la corona di re quando egli stesso gliela aveva proposta, e chiaramente questo è segno che Cesare non era ambizioso. Dice che Cesare ha pianto quando la gente ha pianto, come fa un uomo ambizioso a piangere? Ma Antonio subito precisa che non è lì per smentire Bruto, ma per dire ciò che lui sa.

Dopo questo primo discorso, già la gente cade nel dubbio, infatti un cittadino dice che le parole di Marc’Antonio non sono proprio delle falsità, anzi.

Non voglio dirvi tutto, leggete con attenzione il discorso di Mar’Antonio e notate come attacca Bruto senza attaccarlo davvero, senza alzare i toni, ma come alla fine riesca a capovolgere completamente la situazione.

La scena è questa: siamo a Roma, il Foro è gremito di persone che hanno appena terminato di ascoltare il discorso di Bruto che aveva detto quanto Cesare era tiranno. Entra Marc’Antonio e prende la parola mentre il popolo acclama Bruto.

Antonio: O voi gentili romani…

Cittadino: Silenzio, ascoltiamolo.

Antonio: Amici, Romani, compatrioti, prestatemi orecchio: io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo. Il male che gli uomini fanno sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa e così sia di Cesare. Il nobile Bruto v’ha detto che Cesare era ambizioso: se così era, fu un ben grave difetto e gravemente Cesare ne ha pagato il fio. Qui, col permesso di Bruto e degli altri – ché Bruto è uomo d’onore; così sono tutti, tutti uomini d’onore – io vengo a parlare al funerale di Cesare. Egli fu mio amico, fedele e giusto verso di me: ma Bruto dice che fu ambizioso e Bruto è uomo d’onore. Molti prigionieri egli ha riportato a Roma, il prezzo del cui riscatto ha riempito il pubblico tesoro: sembrò questo atto ambizioso in Cesare? Quando i poveri hanno pianto, Cesare ha lacrimato: l’ambizione dovrebbe essere fatta di più rude stoffa, eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso, e Bruto è uomo d’onore. Tutti vedeste come al Lupercale tre volte gli presentai una corona di re ch’egli tre volte rifiutò: fu questo atto di ambizione? Eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso; e, invero, Bruto è uomo d’onore. Non parlo, no, per smentire ciò che Bruto disse, ma qui io sono per dire ciò che io so. Tutti lo amaste una volta, né senza ragione, qual ragione vi trattiene dunque dal piangerlo? O senno, tu sei fuggito tra gli animali bruti e gli uomini hanno perduto la ragione. Scusatemi, il mio cuore giace là nella bara con Cesare e debbo tacere sinché non ritorni a me.

Cittadino 1: Mi pare che vi sia molta ragione nelle sue parole.

Cittadino 2: Se tu consideri bene la cosa, a Cesare è stato fatto gran torto.

Cittadino 3: Vi sembra, signori? Temo che uno peggiore di lui verrà al suo posto.

Cittadino 4: Avete notato le sue parole? Non volle accettare la corona, è quindi certo che non era  ambizioso…

Antonio: Pur ieri la parola di Cesare avrebbe potuto opporsi al mondo intero: ora egli giace là, e non v’è alcuno, per quanto basso, che gli renda onore. O signori, se io fossi disposto a eccitarvi il cuore e la mente alla ribellione e al furore, farei un torto a Bruto e un torto a Cassio, i quali, lo sapete tutti, sono uomini d’onore e non voglio far loro torto, preferisco piuttosto far torto al defunto, far torto a me stesso e a voi, che far torto a sì onorata gente. Ma qui c’è una pergamena col sigillo di Cesare – l’ho trovata nel suo studio – è il suo testamento, che i popolani odano soltanto questo testamento, che, perdonatemi, io non intendo di leggere, e andrebbero a baciar le ferite del morto Cesare e immergerebbero i loro lini nel sacro sangue di lui; anzi, chiederebbero un capello per ricordo e morendo, ne farebbero menzione nel loro testamento, lasciandolo, ricco legato, alla prole.

Cittadino 1: Vogliamo udire il testamento! Leggetelo, Marc’Antonio!

Antonio: Pazienza, gentili amici, non debbo leggerlo, non è bene che voi sappiate quanto Cesare vi amò. Non siete di legno, non siete di pietra, ma uomini, ed essendo uomini e udendo il testamento di Cesare, esso v’infiammerebbe, vi farebbe impazzire: è bene non sappiate che siete i suoi eredi; ché, se lo sapeste, oh, che ne seguirebbe!

[…]

Antonio: M’obbligate dunque a leggere il testamento? E allora fate cerchio attorno al corpo di Cesare e lasciate che io vi mostri colui che fece il testamento. Debbo scendere? E me lo permettete?

[…]

Antonio: Se avete lacrime, preparatevi a spargerle adesso. Tutti conoscete questo mantello: io ricordo la prima volta che Cesare lo indossò, era una serata estiva, nella sua tenda, il giorno in cui sconfisse i Nervii. Guardate, qui il pugnale di Cassio l’ha trapassato; mirate lo strappo che casca nel suo odio vi ha fatto attraverso questo il ben amato Bruto; e quando tirò fuori il maledetto ferro, guardate come il sangue di Cesare lo seguì, quasi si precipitasse fuori di casa per assicurarsi se fosse o no Bruto che così rudemente bussava; perché Bruto, come sapete, era l’angelo di Cesare. Giudicate, o dèi, quanto caramente Cesare lo amava! Questo fu il più crudele colpo di tutti, perché quando il nobile Cesare lo vide che feriva, l’ingratitudine, più forte delle braccia dei traditori, completamente lo sopraffece, allora si spezzò il suo gran cuore e, nascondendo il volto nel mantello, proprio alla base della statua di Pompeo, che tutto il tempo s’irrorava di sangue, il gran Cesare cadde. Oh, qual caduta fu quella, miei compatrioti! Allora io e voi, e tutti noi cademmo, mentre il sanguinoso tradimento trionfava sopra di noi. Oh, ora voi piangete; e, m’accorgo, voi sentite il morso della pietà: queste son generose gocce. Anime gentili, come? piangete quando non vedete ferita che la veste di Cesare? Guardate qui, eccolo lui stesso, straziato, come vedete, dai traditori…

Cittadino 1: Vendetta! Attorno! Cercate! Bruciate! Incendiate! Uccidete! Trucidate! Non lasciate vivo un solo traditore!

Di seguito e nei prossimi articoli, cercheremo di comprendere il funzionamento degli strumenti della retorica. Vi anticipo che incontreremo nomi strani, spesso difficili da ricordare. Non sforzatevi d’impararli a memoria, non serve a molto, a meno che non vogliate sfoggiare un po’ di nomi complicati ai vostri amici che vi guarderanno allibiti, piuttosto cercate di comprenderne i meccanismi che rappresentano. Di sicuro ci saranno degli strumenti che sentirete più affini, che vi sarà più semplice usare. Iniziate da quelli e lasciate che sia la curiosità ad indicarvi la strada.

Massimo Petrucci
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4 Replies to “L’arte di comunicare (1)”

  1. Salve Agata,
    sono contento che l’articolo e l’argomento siano di tuo gradimento.
    Siamo arrivati al quindicesimo articolo e spero che col proseguire della lettura l’interesse resti inalterato.
    Benvenuta su LetterMagazine.
    Massimo P.

  2. Ho scoperto oggi il vostro sito.
    La tua rubrica mi interessa molto! ti seguirò!
    grazie e buon lavoro
    agata

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