L’arte di comunicare (9)

essere o avere: avere

In questo articolo è mia intenzione mettere provvisoriamente da parte la didattica teorica e calarmi nel reale per comprendere come la retorica e l’arte di comunicare siano utilizzate sia per convincere che per confondere. Da sempre il linguaggio è lo strumento principale degli uomini politici, strumento con il quale battono sulle masse, persuadono, ingarbugliano e muovono le acque secondo la direzione che più conviene ai loro scopi. Tuttavia scoprirete che alla fine dell’articolo avrete imparato altre forme di figure retoriche.

In uno degli articoli passati (potete leggerlo facendo clic qui) abbiamo analizzato uno dei discorsi retorici più belli mai scritti nella storia ovvero quello di Marco Antonio in difesa dell’assassinato Cesare. Anche nei tempi moderni i discorsi politici continuano a fare uso della retorica.

Ecco un esempio di retorica mitizzante, aggiungerei misticheggiante:

«Combattenti di terra, di mare e dell’aria. Camicie nere della rivoluzione e delle legioni. Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania. Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia».

Tutta questa parte del discorso potrebbe essere sintetizzata nella frase: «Uomini e donne, ascoltate. Siamo in guerra!», oppure ancora più sinteticamente: «Ascoltate tutti, siamo in guerra!»

Invece Benito Mussolini inizia con una serie di metafore a effetto (combattenti, camicie nere della rivoluzione), ma cosa più interessante è che non dice “abbiamo dichiarato guerra alla Gran Bretagna e alla Francia”, non dice mai di aver preso la decisione di attaccare, egli si mette da parte come assoggettato a una scelta divina, infatti dice: «un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria» ovvero è il “un’ora segnata dal destino”, ma chi batte nel cielo? Chi è così in alto? Quindi è una scelta divina che impone a tutti la decisione irrevocabile della guerra, nessuno può opporsi perché siamo davanti a «L’ora delle decisioni irrevocabili».

Notate come in quest’altro estratto Mussolini faccia grande uso dell’anafora, ovvero di quella figura retorica in cui viene ripetuta una stessa parola o frase all’inizio di un periodo, dando così un maggiore potere al discorso. Un esempio storico dell’anafora è dato dal discorso di Martin Luther King che ripete continuamente “I have a dream”.

Dice Mussolini: «Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano. Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l’eternità; bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie, che si è palesata soprattutto micidiale per coloro che le hanno accettate. Bastava non respingere la proposta che il Führer fece il 6 ottobre dell’anno scorso, dopo finita la campagna di Polonia. Ormai tutto ciò appartiene al passato.»

Nel discorso l’anafora è data dalla continua ripetizione di “bastava”. Notate anche l’uso della perifrasi quando, invece di usare la parola guerra, dice “la tormenta che sconvolge l’Europa”. La perifrasi si ha quando si fa uso di giri di parole per esprimere un concetto. Ad esempio: “interruzione volontaria della gravidanza” al posto della parola “aborto”, oppure la frase “diversamente abile” al posto di “handicappato”. Un esilarante esempio è dato da Dante Alighieri quando, in modo dispregiativo, al posto di “stomaco” scrive: “il tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia”.

Sempre nella stessa parte del discorso, si ha l’uso dell’iperbole quando afferma che “Bastava rivedere i trattati […] e non considerarli intangibili per l’eternità”. L’iperbole è data dall’espressione “intangibili per l’eternità” ovvero che non sarebbero potuti cambiare mai perché eterni! Quindi la guerra si mostrava come l’unica scelta possibile per opporsi a quell’eternità imposta.

Un’iperbole è quando si fa uso di parole ed espressioni esagerate, oltre il limite del credibile, per esprimere un concetto. Ecco qualche esempio d’iperboli usate nel quotidiano:

  • Quella donna mi piace da morire.
  • Sono passati secoli dalla tua ultima telefonata!
  • Il prezzo della benzina è salito alle stelle.
  • Darei la testa pur di chiudere quel contratto!

Più vicino a noi è Aldo Moro il cui linguaggio politico è ritenuto da molti studiosi come esemplare della prima repubblica. In questa fase della politica si è cercato di minimizzare lo scontro, si è quindi fatto ricorso a un “politichese” che potesse attenuare la conflittualità. In questo periodo si è fatto grande uso della litote ovvero di quella figura retorica che permette l’espressione indiretta di un concetto.

Ad esempio, invece di dire che Caio è stupido, posso dire che Caio non è certo un genio; oppure, usando una metafora negativa, posso dire “Caio non è certo un’aquila”.

Nei discorsi di Aldo Moro si trovano di frequente espressioni come

  • non opposizione, al posto di cooperazione;
  • non sfiducia, al posto di fiducia;
  • non tradizionale, non usuale, non ostile, non formale

Al finire degli anni ’80 del Novecento, si cerca di superare lo scandalo di “mani pulite” e i politici iniziano a fare sempre più uso dell’anafora (ripetizione dello stesso termine all’inizio di una frase) e dell’epifora (come l’anafora, solo che si ripete alla fine di un periodo). Ad esempio, analizzando i loro discorsi, si nota un continuo ricorrere a espressioni come nuova identità del partito, il nuovo partito, nuova fase politica, nuovi valori, nuova democrazia, certezza ai bisogni nuovi, nascita di una società nuova, realtà nuova, e così via.

A questa voglia di nuovo oppure a questa necessità di apparire come nuovi, i politici mettono in campo, nei loro discorsi, parole come: mutamento, cambiamento, alternativa, trasformazione.

Se fino alla fine degli anni ottanta i politici tendevano a un linguaggio ricercato, complicato, ricco d’iperbole, e “riccioli stilistici”, i politici del ventennio successivo, in virtù di questa voglia di nuovo e di diverso da ciò che fino a quel momento si era fatto, iniziano ad adottare un linguaggio più comprensibile, più vicino al popolo. Nascono di conseguenza, perché la retorica non viene mai abbandonata, espressioni sempre più populistiche, facendo ricorso a un linguaggio povero nel lessico, ma ricco in contenuti ed espressioni emozionali. Per cercare il nuovo si ricorre al vecchio, si ritorna ai discorsi alla Marco Antonio, che più dei fatti, punta a suscitare emozioni di odio o di compassione, di amore o d’indignazione.

Due sono gli esempi più rappresentativi di questa nuova forma di comunicazione populista: la Lega Nord e Forza Italia, in particolare la prima. Infatti essa è la maggiore espressione di un linguaggio sempre più comune ai moderni politici, ovvero immediato, di semplice comprensione, che non disdegna il turpiloquio, la spregiudicatezza, la provocazione gestuale e mimica.

Chi davvero fa piazza pulita del discorso dotto, letterario, colto, è Silvio Berlusconi. Egli ha come obiettivo l’uomo della strada, l’individuo comune; adotta quindi un lessico semplice, diretto, elementare. I suoi discorsi sono comprensibili e si contrappongono con quella oratoria dotta che aveva caratterizzato i politici fino al momento della sua entrata in politica.

I discorsi di Berlusconi, apparentemente semplici, fanno invece uso massiccio della retorica, in particolare delle figure di parola come l’anafora, il poliptoto e la metabole; tutte legate alla ripetizione di frasi e concetti.

Ecco qualche esempio di anafora nei suoi discorsi: «[…] volevamo che tutti i dipendenti pubblici e privati potessero pagare in maniera autonoma le tasse. Volevamo detassare gli utili alle aziende. Volevamo passare dalle cento tasse esistenti alle otto tasse principali. Volevamo ridurre a una quella sulla casa[…]» ma noi siamo scienza e non fantascienza! Scusate, quest’ultima aggiunta è la mia.

La figura retorica detta poliptoto si ha quando si fa uso di una ripetizione di forme verbali:

  • Ci battiamo e ci batteremo (Berlusconi)
  • Vincere e vinceremo (Mussolini)
  • Cred’io ch’ei credette ch’io credesse (Dante Alighieri, Divina Commedia)

Si ha invece una metabole quando la ripetizione della stessa idea avviene per ripetizione di parole diverse; sempre di Berlusconi è la frase: “Gli avversari sono divisi, al tappeto, alla disperazione, allo sbando”.

Continuerò quest’analisi delle tendenze retoriche nella politica, nel prossimo articolo. Voglio però precisare che l’uso della retorica non deve essere visto per forza negativamente, ricordo che la retorica è solo uno strumento. Umberto Eco, in uno dei suoi saggi, scrive: “È moralistico asserire che il discorso politico deve sottrarsi alle tecniche retoriche per vertere solo intorno alla verità: la conduzione della città è materia di opinione, e intorno alla verità delle opinioni deve esercitarsi il gioco del convincimento reciproco.”




Si ringrazia per l’editing Maryann Mazzella


Massimo Petrucci
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