L’arte di comunicare (6)

comunicare


L’ultima volta c’eravamo lasciati con la promessa di parlare dell’ornato, ultimo aspetto teorico prima di addentrarci più nel merito pratico dell’arte di comunicare.

 

L’ornato è un aspetto molto importante, direi fondamentale per rendere la vostra comunicazione efficace. L’ornato si occupa di dare colore al discorso e di renderlo più attraente e soprattutto meno noioso e monotono.

 

Di sicuro vi sarà capitato di ascoltare un discorso di qualche politico – ma non solo – e sentire che con il passare dei minuti le palpebre iniziano a pesare, sopprimete sbadigli e, se riuscite a non appisolarvi, vi state anche chiedendo dove mai quel tizio voglia andare a parare.

 

Spesso le persone credono che il loro discorso – o ciò che stanno scrivendo – debba essere coinvolgente solo perché stanno esprimendo concetti importanti. C’è da comprendere un aspetto fondamentale: quando si parla per convincere, per farsi credere, per cambiare le opinioni degli altri, non conta – o non conta immediatamente – ciò che si sta dicendo ovvero il concetto chiave del nostro discorso, ciò che conta è come lo stiamo dicendo, in che modo lo stiamo esprimendo, in altre parole: come abbiamo ornato il nostro discorso.

 

Il modo più semplice, che si è sempre usato soprattutto dagli uomini politici, è l’uso della ripetizione e dell’enfasi crescente. Ascoltate un comizio di un qualsiasi politico, di destra o di sinistra, di oggi o di vent’anni fa e notate che iniziano a parlare con una certa pacatezza, pian piano alzano il tono e il volume dalla voce, se possibile iniziano a ripetere di continuo un concetto chiave, fino ad arrivare al culmine dove quasi si lasciano andare all’urlo, battendo il pugno sul pulpito e concludono con una frase a effetto sotto gli applausi scroscianti della platea.

 

È il modo più semplice per colpire emotivamente una folla e tutte le folle del mondo, qualunque lingua parlino, si lasciano sempre sopraffare da questo modo di comunicare, a prescindere dal vero contenuto – spesso fatuo – del discorso; ciò che colpisce l’ascoltatore è la modalità con la quale l’oratore ha ornato (fiorito, colorato, condito, illuminato) il suo discorso.

 

Un oratore lento, monotono, senza fioriture, che non cura l’aspetto emotivo, che non comprende l’importanza dell’ornato e quindi del modo con il quale esprimere i propri concetti, il più delle volte è destinato al fallimento. Questo è un aspetto molto problematico, perché mette in luce come troppo spesso le persone badino al suono delle parole piuttosto che al loro vero significato.

 

Entrando più nello specifico dell’ornato, possiamo dire che esso si suddivide in due classificazioni:

  1. figure retoriche che riguardano le parole singole;
  2. figure retoriche che riguardano i gruppi di parole.

 

Nel primo caso abbiamo a che fare con sostituzioni di singole parole e nel secondo, chiaramente, con sostituzioni di interi gruppi di parole. Parliamo di sostituzione proprio perché nell’ornato ci si occupa di trovare quelle parole o gruppi di parole da sostituire a quelle che normalmente useremmo e che contribuiscono a rendere più interessante e incisiva la frase.

 

Ecco un semplice esempio: “Con quel vestito bianco stavi proprio bene”. Il significato della frase è chiaro, talmente chiaro da apparire banale. Se davvero vogliamo colpire la nostra amica appena convolata a nozze, potremmo dire: “Con quel vestito bianco eri davvero radiosa!”.

Abbiamo sostituito il gruppo di parole “stavi proprio bene” con “eri davvero radiosa”, la frase ottenuta ha di sicuro maggiore spessore comunicativo.

Se poi vogliamo rendere ancora più forte il nostro concetto, possiamo attingere a una figura retorica che di sicuro avete utilizzato tante volte: la similitudine.

 

Il nostro esempio, giocando un po’ sulla didattica, potrebbe diventare addirittura questo: “Con quel vestito bianco eri incantevole come una rosa appena sbocciata in primavera!”. La bellezza della sposa è stata paragonata per similitudine alla bellezza di un fiore in primavera.

 

Quindi siamo partiti da una frase semplice: “Con quel vestito bianco stavi proprio bene” per arrivare, attraverso la sostituzione e la similitudine, a una frase molto più incisiva dal punto di vista emotivo e della comunicazione. Le due frasi esprimono proprio la stessa cosa, ma lo fanno in un modo e con risultati completamente diversi.

 

La sostituzione delle parole può avvenire attraverso l’uso dei sinonimi e dei tropi. Sono sicuro che tutti voi sappiate cos’è un sinonimo, ovvero una parola con lo stesso significato di quella in oggetto, ma forse non tutti conoscono il significato di tropo (approfondisci su Wikipedia).

 

Si ha un tropo quando si sostituisce una parola con un’altra che non è un vero e proprio sinonimo, ma ha significato figurato proprio che potenzia o sminuisce il significato della parola di partenza.

 

Vi propongo subito un esempio chiarificante: “Quella persona è magra”, utilizzando un tropo possiamo scrivere: “Quella persona è un’alice”. La parola alice non è un sinonimo di magro, ma è un tropo ovvero una traslazione figurata del significato iniziale. Non è un caso che parlando di tropi si arrivi spesso alla figura retorica della metafora.

 

Se Tizio è obeso, esistono diversi sinonimi e tropi che possono rappresentare con maggiore o minore potenza lo stesso significato. Possiamo infatti usare sinonimi come ciccione, adiposo, pingue, cicciuto, carnoso, polpacciuto, paffuto, polputo, tondo. Ma possiamo usare anche dei tropi come botte oppure balena. Se invece Tizio è un amico o una persona che stimiamo, di certo non parliamo di lui dicendo che è una botte oppure che è un ciccione, ci sforzeremo di trovare altre parole più “educate” per esprimere lo stesso concetto. Potremmo dire che Tizio è corpulento, ben piazzato, un po’ abbondante oppure, scherzando, potremmo giocare sulle parole e sui concetti inversi e dire: Tizio è diversamente magro.

 

È necessario prestare attenzione all’uso delle metafore perché possiamo incappare in due errori classici:

  • metafora poco riconoscibile
  • metafora ambigua

 

Se pensando all’obesità di Tizio, stiamo cercando una metafora e pensiamo a qualcosa di grande, di enorme, potremmo scegliere di dire che “Tizio è un pianeta”. Di sicuro un pianeta è qualcosa di molto grande, più grande di una botte, eppure il significato di una metafora simile non è chiaro, qualcuno dei nostri interlocutori potrebbe chiedersi cosa abbiamo voluto dire con quell’espressione.

Allo stesso modo potremmo sbagliare e scegliere una metafora ambigua, ad esempio:

  • Tizio è una montagna;
  • Tizio è un maiale.

 

Sappiamo che una montagna è qualcosa di grande, ma dire che Tizio è una montagna, potrebbe anche far pensare chi ci ascolta ad un uomo molto alto e muscoloso, una montagna appunto. Nel secondo caso, pure se siamo tutti d’accordo che un maiale è un animale grasso (almeno nell’apparenza), dire che Tizio è un maiale per dire che Tizio è obeso è abbastanza pericoloso. Infatti qualcuno fra i nostri interlocutori potrebbe chiedersi quali oscene azioni abbia compiuto Tizio per essere appellato come maiale.

 

Concludiamo con l’approfondimento dei gruppi di parole che possono essere suddivisi in due classificazioni:

  • figure di parola;
  • figure di pensiero.

 

Nel primo caso si ha a che fare con delle sostituzioni di parole, mentre nella seconda il concetto è espresso da una certa idea ovvero sul pensiero che suscita una determinata idea. Qualche esempio è d’obbligo.

 

Per dare maggiore forza a una frase, spesso si usa la ripetizione (figura retorica che prende il nome di epanalessi). Credo che sarete d’accordo con me se dico che la seconda delle prossime frasi ha maggiore forza della prima:

  1. Muori maledetto!
  2. Muori maledetto, muori!

 

Una figura di pensiero ha a che fare con le immagini, che spesso sintetizzano concetti più complessi. Immaginate la scena: voi siete un politico e al vostro fianco c’è un esponente dell’opposizione. Il vostro intento è di comunicare a chi vi ascolta (ad esempio i telespettatori) che anche se voi e l’oppositore avete idee contrastanti, cercherete comunque di trovare qualche piccolo accordo, anche se solo parziale. Potete scegliere di dire tutto questo e magari non farvi capire a dovere, oppure usare una frase ad effetto, una metafora e dire: “Le nostre convergenze parallele troveranno un punto d’incontro”.

 

“Convergenze parallele” vi ricorda qualcosa? È chiaro che sono due concetti opposti: le convergenze si toccano e quindi hanno almeno un punto in comune, diversamente dalle parallele che non s’incontrano mai. La figura retorica che fa uso di figure opposte ed accostate è l’ossimoro. Ecco un esempio per rispolverare il concetto, e un ossimoro è sicuramente “Ghiaccio bollente”. Questa figura retorica ha spesso un grosso impatto emotivo su chi l’ascolta.

 

Qui si conclude l’articolo. Se avete domande o dubbi, non esitate a lasciare un commento.
Nella prossima puntata entreremo più nel merito della pratica de “L’arte di comunicare”.

Massimo Petrucci
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3 Replies to “L’arte di comunicare (6)”

  1. Mariagrazia,
    come di certo hai intuito, il metodo deve far leva sul suscitare curiosità da parte di chi ci ascolta o dovrebbe farlo.
    Un trucco è cercare di far leva su un argomento che sappiamo essere a cuore o comunque interessare il nostro interlocutore e poi saltare verso ciò che interessa a noi comunicare.
    In altre parole, è necessario saper ascoltare e creare un’argomentazione iniziale che faccia da transito (per attirare attenzione) e poi dirottare il discorso verso ciò che c’interessa comunicare.

    Se hai altre domande, sono qui.
    Grazie per il tuo commento.

  2. E per introdurre un argomento che ci sta a cuore in un contesto di persone che si sta occupando di tutta’altro il metodo più giusto qual’è? Attendere cortesemente, esplodere drammaticamente ( che mi è capitato !!),trovare un lato comico? Ma che fatica essere ascoltati!

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