L’arte di comunicare (7)

incomunicabilità

Prima dell’estate ci siamo lasciati con la promessa di addentrarci ancora di più nella pratica de “L’arte di comunicare”. Considerato il molto tempo che è passato dall’ultimo articolo, sono sicuro che non vi spiacerà fare un po’ il punto della situazione, vero?

Abbiamo visto che per convincere il nostro interlocutore o una platea, non basta avere un buon argomento e nemmeno che esso sia vero. Ricordate che, pur raccontando una cosa vera e giusta, non è detto che alla fine veniamo creduti oppure che riusciamo a convincere chi ci ascolta.

Quello che conta è il come quella cosa viene organizzata e quindi esposta a chi ci ascolta. Comprendere questo concetto non solo vi permetterà di migliorare la vostra comunicazione, vi renderà pure meno vulnerabili ai seducenti discorsi che spesso i nostri politici e non solo loro, mettono in mostra.

Un discorso importante che potreste fare a una platea, come pure a vostro figlio o al vostro partner, non va improvvisato, va preparato con attenzione; specialmente se il vostro intento principale è convincere.

Per prima cosa raccogliete i dati che avete a disposizione, annotateli su un foglio, disponeteli per importanza o per la carica emotiva oppure in base a qualsiasi criterio pensiate sia utile. Annotate anche eventuali possibili attacchi e quindi prevedete una contro risposta.

Senza nemmeno accorgervene dall’inventio state passando alla dispositio, state disponendo gli argomenti in modo da permettervi l’effetto migliore su chi ascolta o legge. Come spiegato nell’articolo n. 4, qui entrano in gioco fattori psicologici, logici, formali, di convenienza e strategici.

Per grandi linee il vostro discorso verrà suddiviso in

  • esordio
  • narrazione
  • argomentazione
  • epilogo

nell’esordio cercherete di conquistare l’attenzione e la benevolenza di chi vi ascolta; nella narrazione esporrete i fatti principali e vi preoccuperete di non annoiare l’interlocutore, sceglierete il modo migliore per farvi ascoltare, cercherete di usare il linguaggio di chi vi ascolta. Argomenterete ovvero “attaccherete” per convincere, per persuadere, in questa fase porterete a vostro vantaggio nuove tesi e prove; fino ad arrivare all’epilogo, la fase conclusiva, in cui cercherete di fare leva sulla psicologia e l’emotività, cercherete quindi, in base allo scopo finale, di suscitare amore oppure odio, commuoverete oppure aizzerete, è il momento di cercare l’applauso e l’urlo della folla, metaforicamente parlando.

In tutti questi passaggi sceglierete gli strumenti verbali che meglio soddisfino il vostro scopo, questi strumenti prendono il nome di figure retoriche. Esse permettono di dare colore e calore al vostro modo di esprimervi, spessore alle vostre argomentazioni, daranno un’arma in più verso il raggiungimento del vostro scopo comunicativo.

Dovete mettere a fuoco un concetto: la retorica è molto usata nella comunicazione, anche per quella di tutti i giorni, spesso non c’è nemmeno bisogno di studiarla e ci sono persone che la usano in modo intuitivo e proficuo. Questo vuol dire che, se imparate a conoscerla e a riconoscerla, avrete la possibilità di gestire meglio le vostre relazioni, sarete meno soggetti a chi ne fa uso e riuscirete a scovare più facilmente quelle trappole linguistiche di cui molto spesso si è vittime.

Quante volte, ad esempio, avete ascoltato frasi del tipo: “…come tu m’insegni, questa cosa…” oppure “…Come tu sai meglio di me…”, sono espressioni che fanno parte della captatio benevolentiae, che serve a predisporre favorevolmente l’attenzione, a guadagnarsi un atteggiamento benevolo o condiscendente.

Intercettare la benevolenza dell’altro è il primo passo verso la possibilità di convincerlo.

Più in là con gli articoli, ho intenzione di trattare anche un po’ le tecniche di comunicazione relativamente al parlare in pubblico. Quindi come aprire un discorso, la postura, la gestione dell’ansia e altro ancora. Prima però dobbiamo scoprire molto altro ancora.

Nel possibile, non voglio fare solo un elenco mnemonico di cose e parole, tuttavia nella retorica esistono tantissimi nomi di figure retoriche che spesso risultano un po’ difficili da ricordare. Ancora una volta vi dico che non dovete pensare di ricordarli tutti a memoria. Non è fondamentale né importante, a meno che non dobbiate tenere una lezione o vogliate stupire qualche amico.

Quello a cui dovete invece prestare attenzione è il senso ovvero cosa rappresenti quella figura retorica, perché potrebbe far parte della vostra “cassetta degli attrezzi comunicativi”.

Come abbiamo visto negli altri appuntamenti, in retorica esistono molte figure di parola, alcune delle quali sono entrate nel senso comune, altre vi appariranno totalmente sconosciute, almeno nel nome, perché poi nella pratica sarà tutt’altra cosa.

Andiamo a elencarle così ci togliamo il pensiero, ma prima una premessa: l’elenco è completo, ma non tratteremo approfonditamente ogni figura di pensiero, non tanto per una questione di spazio o di tempo, ma solo perché alcune sono talmente semplici che ogni approfondimento è superfluo.

Ora prendiamo fiato e scriviamo…

  • la metonìmia
  • la sinèddoche
  • la metàfora (questa la conoscete!)
  • la similitùdine (anche questa)
  • l’analogìa (ma allora è facile!)
  • l’allegorìa
  • la catacrèsi (e qui vi voglio!)
  • la sinestesìa
  • l’antìfrasi
  • la perìfrasi
  • l’antonomàsia
  • l’ènfasi
  • la litòte
  • l’ipèrbole
  • l’anàfora
  • l’epìfora
  • la paronomasia
  • la diàfora
  • l’antanàclasi
  • l’endìadi
  • il chiàsmo
  • l’ellìsi
  • lo zèugma
  • l’ossimòro (ne abbiamo già parlato, ricordate?)
  • l’anacolùto (antico animale mitologico… sto scherzando!)
  • l’ipèrbato (sembra un composto chimico: l’iperbato di sodio!)

Mammamia che sudata! Sono davvero tante, non trovate? E hanno nomi a volte davvero inconsueti. Come avrete notato, ho posto l’accento di pronuncia a ogni parola, in modo da togliervi eventuali dubbi. Da questo momento in avanti, non userò più accentare le parole.

Allora, siete curiosi? Spaventati? Stanchi? In quest’ultimo caso prendetevi una bella pausa, basta poco, anche un semplice bicchier d’acqua o un caffè. Personalmente, proprio ora che scrivo, sorseggio un caffè freddo.

Bene, ora che ci siamo ripresi, vediamo un po’ di rendere meno ostiche queste figure di pensiero, scopriamo anche, nel possibile, come usarle a nostro favore.

 

Metonimia

In pratica è una sostituzione di nome, rimanendo sempre nello stesso campo semantico. Complicato? E se vi dicessi che è semplice come bere un bicchier d’acqua? Infatti quando dite: “Mi dai un bicchiere d’acqua?” in realtà state usando una metonimia, infatti state sostituendo il contenente per il contenuto.

Il bicchiere, chiaramente, non è fatto d’acqua, ma contiene dell’acqua. Avremmo dovuto dire: “Mi dai un bicchiere contenente dell’acqua?”. Anche espressioni più colloquiali come: “Stasera ci beviamo un bicchiere insieme?”, a meno che non siate dei fachiri mangia vetro, il concetto è chiaro.

Magari proprio vostro figlio ha usato questa figura di parola e molto probabilmente, ai tempi della scuola, lo avete fatto anche voi. Non avete mai detto: “ho studiato Leopardi”? Oppure: “Che cos’hai da studiare oggi? Oggi ho Foscolo”. Ora a meno che in quest’ultima risposta Foscolo in persona non verrà a trovarvi a casa, s’intendeva più semplicemente “Oggi ho da studiare le opere di Foscolo”.

Una forma di metonimia è anche quando si sostituisce qualcosa di astratto con qualcosa di concreto, ad esempio i sentimenti con il cuore: “va’ dove ti porta il cuore” oppure “ascolta il tuo cuore”, ma anche “quel tizio ha fegato”, in questo caso fegato sta per il più astratto coraggio.

Spesso l’uso di una figura retorica rende più incisivo e accattivante il discorso; altre volte lo rende semplicemente più immediato e diretto: “stasera ci beviamo un bicchiere insieme?” invece di “stasera ti va di bere da un bicchiere contenete della birra?” Fa ridere, vero?

 

Sineddoche

Il significato è “prendere insieme” oppure “ricevere insieme”, in altre parole si ha una sineddoche quando si usa in senso figurato una parola al posto di un’altra mediante l’ampliamento o il restringimento del suo significato. Qualcuno di voi sta protestando che è un po’ come la precedente metonimia? Questo qualcuno ha ragione, infatti la sineddoche è un caso particolare della metonimia. La spiegazione è questa: nella metonimia la sostituzione della parola può essere di tipo spaziale, causale, temporale, mentre nella sineddoche la sostituzione è sempre su relazioni di tipo quantitativo.

Quindi possiamo avere sostituzioni di questo tipo:

  • la parte per il tutto: “hai visto quante vele a mare?”; in questo caso vele (una parte della barca) è usata al posto di barche.
  • La materia per l’oggetto: “attenzione, quello ha il ferro in tasca”; il ferro, il materiale del coltello oppure della pistola.
  • Il singolare per il plurale: “L’italiano è buongustaio, l’americano proprio non sa mangiare” per intendere che gli italiani sanno cosa sia la buona cucina diversamente dagli americani.
  • Il genere per la specie: “il felino saltò sulle ginocchia di Luisa”; felino per gatto.

 

Come vedete queste figure di parola dai nomi piuttosto difficili, sono comunemente usate anche nel linguaggio comune. Ecco perché dicevo di non preoccuparvi, anzi scoprire nella comunicazione giornaliera le diverse forme retoriche potrebbe anche essere una cosa divertente!

 

Metafora

Questa la conoscete, vero? Il suo significato è “trasportare”, infatti fa parte dei tropi ovvero quelle figure retoriche che effettuano un trasferimento di significato. In altre parole si ha una metafora quando al posto di un termine che normalmente ci si aspetterebbe, ne viene utilizzato un altro la cui “essenza” si sovrappone a quella del termine originario provocando una nuova immagine carica di espressività.

Ecco un esempio: “Luca è coraggioso”, una metafora potrebbe essere “Luca è un leone”. Come vedete il significato è analogo, ma l’impatto emotivo è diverso, sicuramente “Luca è un leone” fa più effetto.

Nell’articolo precedente (fai clic qui per aprirlo) abbiamo visto che è importante prestare molta attenzione nell’uso della metafora. In realtà, sia nello scritto che nell’orale, non bisogna mai abusarne, per non farle perdere la sua efficacia. State particolarmente attenti all’uso delle metafore ambigue.

Riporto un esempio già descritto in precedenza:

Se pensando all’obesità di Tizio, stiamo cercando una metafora e pensiamo a qualcosa di grande, di enorme, potremmo scegliere di dire che “Tizio è un pianeta”. Di sicuro un pianeta è qualcosa di molto grande, più grande di una botte, eppure il significato di una metafora simile non è chiaro, qualcuno dei nostri interlocutori potrebbe chiedersi cosa abbiamo voluto dire con quell’espressione.

Allo stesso modo potremmo sbagliare e scegliere una metafora ambigua, ad esempio:

  • Tizio è una montagna;
  • Tizio è un maiale.

 

Sappiamo che una montagna è qualcosa di grande, ma dire che Tizio è una montagna, potrebbe anche far pensare chi ci ascolta a un uomo molto alto e muscoloso, una montagna appunto. Nel secondo caso, pure se siamo tutti d’accordo che un maiale è un animale grasso (almeno nell’apparenza), dire che Tizio è un maiale per dire che Tizio è obeso è abbastanza pericoloso. Qualcuno fra i nostri interlocutori potrebbe chiedersi quali oscene azioni abbia compiuto Tizio per essere appellato come maiale.

Va bene, direi che per oggi possiamo fermarci qui.

Alla prossima!

 


Si ringrazia per l’editing Maryann Mazzella

Massimo Petrucci
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3 Replies to “L’arte di comunicare (7)”

  1. “Che cos’hai da studiare oggi? Oggi ho Foscolo”. […] s’intendeva più semplicemente “Oggi ho da studiare le opere di Foscolo”.

    questa non puó essere intesa come una ellisi?

    1. ciao Leonardo,
      grazie per il tuo commento che mi dà modo di arricchire l’argomento.

      Non si tratta di ellissi poiché non è proprio un’omissione, come potrebbe sembrare.

      Quando dici: <> in realtà non ometti, ma sostituisci con la parola “Foscolo” il concetto de “le opere di Foscolo”. Quando si sostituisce l’autore con le sue opere ci troviamo sempre di fronte ad una Metonimia. La stessa cosa accade quando si sostituisce la causa con l’effetto, come nella frase <>, “sudore”, in questo caso, sostituisce il termine “fatica”.

      In altre parole non si ha una omissione, ma una sostituzione del termine usato con il concetto da esprimere.

      Un esempio, forse più chiaro, potrebbe essere questo: <>; è chiaro che non ci riferiamo alla lettura di Umberto Eco come uomo, ma alle sue opere, così come non ci riferiamo al suo peso o sovrappeso quando diciamo che è “pesantissimo”. 🙂

      Spero di aver chiarito meglio il concetto di cui il tuo commento.

      Grazie e continua a seguirci.

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