Le parole per dire assassinio

di Laura  Villani


impiccati

Io sono favorevole alla pena di morte. Forse. Come altro si può dire? A favore? D’accordo? Ho alzato la mano nel dirlo, come una brava scolaretta che dà la risposta giusta. Ah, si chiama anche pena capitale, è più elegante, è come dire operatore ecologico, diversamente abile o non vedente. Sì, perché? Non è comodissima? Basta una scarica elettrica; un’iniezione letale; un po’ di gas; un cappio; un pugno armato di pietre; una pistola (questo è periodo di elenchi, abbiate pazienza, li faccio anche io): toglie il pensiero. A chi e di chi? A tutti del criminale, no? Lo toglie ai parenti della vittima – elemento rilevante in verità – al carcere che spende troppo per mantenerlo, ai telegiornali che così possono passare ad altro, agli avvocati che non rischiano di lavorare inutilmente, alla società, allo stato. Sì, in questo caso stato in piccolo, lasciamolo così. Mi chiedo perché però ci sia qualcosa che non torni, sì, ci sia qualcosa che m’infastidisca e ci pensavo in questi giorni, mentre cercavo ansiosamente di mettere insieme qualche frase sensata per quest’articolo. Mi sono venuti dei dubbi: cosa terribile i dubbi, costringono a confrontarsi con delle alternative, pungono, sono come il sassolino nella scarpa, l’etichetta dimenticata nel vestito che graffia la pelle. Mi sono venuti a galla due o tre motivi di fastidio, io mica li volevo, ma loro c’erano:

  1. Il tipo di persone messe a morte non è incredibilmente uniforme?
  2. Ha ancora senso parlare di pena di morte come esempio e per dissuadere altri dal commettere un crimine?
  3. Dove finisce la punizione/rieducazione (?) e inizia la vendetta?

Per quanto riguarda il primo motivo (ma forse anche un po’ il terzo) ho ripensato ai film che trattano dell’argomento “detenuto nel braccio della morte” o simili: Monster, Il Miglio Verde, Dead Man Walking; le storie sono diverse tra loro nei particolari, ma sgrossando si ritrovano sempre autori di misfatti violenti e orribili (omicidi, rapine a mano armata con esiti funesti, stragi, stupri, ma nei paesi mediorientali anche essere adultere è una buona ragione per morire per mano altrui) e personaggi già per molti motivi ai margini dei margini della società, compresi ex bambini traumatizzati o abusati, disadattati, ritardati mentali, neri, omosessuali, ispanici, per i quali le probabilità di vedersi comminata questa pena aumentano in modo esponenziale. E poi, altro dubbio, che ruolo ha l’esecutore della pena in tutto questo? Chi è? Nell’Utah su cinque pistole utilizzate dal plotone d’esecuzione, una è a salve: per non dare a nessuno di coloro che l’impugna la certezza di aver ucciso un uomo. Ucciso un uomo, ucciso un uomo, ucciso, un, uomo, ucciso… un… uomo… ucciso, ucciso! Quando ero piccola ripetevo all’infinito una parola per svuotarla del suo significato e sentirmela in bocca come una cosa estranea, illudermi di stare parlando un’altra lingua. Ma qui ucciso rimane ucciso, non si sfugge, l’elemento formale, il significante, rimane pieno di un terribile significato: sarà anche un rapporto arbitrario, ma questo abbiamo e di questo ci dobbiamo accontentare. Lo stato (sempre in minuscolo) uccide. Lui sì che può. Lui non verrà poi messo a sua volta a morte su una vecchia sedia con le cinghie di cuoio o bucato con grossi aghi che trasportano veleno o soffocato con il gas che a volte lavora lentamente trasformando la morte in tortura (ma non era stata abolita la tortura nei paesi “avanzati”?), perché sta facendo la cosa giusta. Anche qui, giusta, giusta, giusta… no, non mi torna. Il giusto e sbagliato imparati da bambina erano concetti diversi. E poi quale esempio può dare questa pena? È ormai tutto così sterile e rivestito di neon e camici bianchi… Fosse almeno un’esecuzione nella pubblica piazza, così almeno qualcuno si spaventerebbe fino a diventare buono! Ah, ma poi, chi dovrebbe pensare a infliggere la pena allo stato? E chi dovrebbe essere punito, il carnefice, ultima pedina, il giudice, la giuria (il mandante)?

Sul web ci sono siti che fanno elenchi terrificanti dei criminali e dei loro misfatti, con date, modalità dell’omicidio, numero delle vittime. Sono ipnotizzanti, fanno venire una nausea profonda, della quale non ci si libera poi facilmente; queste persone hanno fatto cose tremende, innominabili e impensabili per chi vuole condurre una vita al di là delle più nere angosce, rovinando e spezzando delle vite innocenti (a volte però quelle cose non le hanno fatte, ma questa è un’altra storia, per parlarne ci vorrebbe un altro articolo – ma poi si sa che tutti coloro sono a un passo dall’esecuzione proclamano a gran voce la propria innocenza… o no?). Dicevo, questi individui si sono macchiati di azioni spaventose e oltre ogni immaginazione; è vero, ma qui appunto la loro esecuzione mi puzza di legge del taglione come la carne di Jesse Joseph Tafero bruciava a fiamma viva sotto il casco della sedia elettrica nel 1990 in Florida, per l’errata applicazione della spugna, proprio come Eduard Delacroix ne Il Miglio Verde: Stephen King copione! Dalla realtà, purtroppo. Mi sa che la rieducazione è un concetto che si attaglia solo a certe persone e non ad altre, qui regna l’irrecuperabilità definitiva e decisa da qualcuno di superiore.

A questo punto i dubbi sono troppi, mi accerchiano e mi stancano. Troppi elementi non quadrano. Ci penserò ancora un po’ su e poi deciderò da che parte stare. L’orologio ticchetta e marcia inesorabilmente come quello di Matthew Poncelet in Dead Man Walking.

Quanto tempo mi resta?

 

Monsteril miglio verdeDead man walking

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2 Replies to “Le parole per dire assassinio”

  1. Grazie Bandito (sempre poco rassicurante il tuo nick :-)), ti ringrazio per l’attenzione e i complimenti!
    La penso come te, la morte è ben poco democratica quando è l’uomo a utilizzarla, e applicata come pena mi sembra solo una sfrondatura operata sui rami considerati secchi da chi si ritiene più giardiniere della grande falciatrice stessa. Inoltre, uscendo dalla realtà americana, questo è ancora più vero in quei Paesi dove la libertà d’espressione è controllata fino all’eliminazione di chi viene considerato fastidioso per il sistema, quindi si torna sempre allo stesso risultato: muore chi avrebbe qualcosa da dire, chi metterebbe a rischio ciò che per pochi è comodo e redditizio e serve a controllare le masse.

  2. Che dire M. Laura o Laura, complimenti, si legge tutto d’un fiato. Sta di fatto che si dice che la morte sia democratica e che colpisca tutti.Non è così se è l’uomo a gestirla ed in effetti non mi ricordo di una mafioso condannto a morte in America. Sono sempre gli emarginati a pagare con la vita. Brava!! Sto diventando un tuo Fan!!!

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