Tatuarsi: uno stile di vita

di Valentina Boscolo

 

tatoo

Se pensiamo all’origine del tatuaggio, balza subito alla mente l’immagine di rudi marinai o temibili e pittoreschi pirati.

Queste figure, al limite tra lo storico e il mitico, si tatuavano scaldando un ago sulla fiamma e intingendolo nel colore, sopportando il dolore intontendosi con i fumi dell’alcool.

 

La parola tatù (letteralmente “foracchiare”) è di origine polinesiana, un’onomatopea che fa riferimento al suono prodotto dal picchiettio del legno sull’ago impiegato per forare la pelle. Ne troviamo per la prima volta cenno nei diari di bordo del capitano James Cook e l’inglese tatoo è divenuto in seguito l’italiano tatuaggio.

Il tatuaggio è una tecnica di decorazione e modificazione permanente del corpo nella quale vengono incisi sulla pelle segni, disegni, lettere, simboli o altri motivi attraverso l’impuntura dello strato superiore della cute e la successiva iniezione di pigmenti colorati.
Che si usi la tecnica manuale antica o quella elettrica moderna, la pelle viene perforata da un ago: un tempo la tecnica di tatuaggio richiedeva l’uso di un bastoncino al quale erano fissati uno o più aghi, che venivano martellati leggermente al fine di far penetrare le punte intrise di colore nella pelle.

In Polinesia, dove ha avuto origine, il tatuaggio era considerato un rito d’iniziazione magico che coinvolgeva le classi sociali più elevate, quali sacerdoti, capi o guerrieri, e veniva effettuato verso i dodici anni, come una sorta di cerimonia consacratrice, da un sacerdote tatuatore, considerato il depositario di una tradizione da tramandare ai posteri. I polinesiani incidevano vari disegni sulla cute del viso e del corpo con punte d’osso e sulle ferite versavano polvere di carbone di legna sciolta nell’acqua o del pigmento di natura vegetale. In questo modo la traccia dei “ricami” rimaneva colorata a seconda delle sostanze usate e il disegno inciso diventava indelebile.

Anche per i Maori il tatuaggio facciale, detto “Moko”, era un fenomeno iniziatico con cui si attestava la completezza dell’uomo.

Nell’antica Roma, invece, il tatuaggio venne disapprovato dal Cristianesimo, in quanto considerato atto di profanazione del corpo che è tempio di Dio.

 

Verso la metà dell’Ottocento, il tatuaggio si fece conoscere in Europa attraverso le esposizioni di persone tatuate nei circhi e nelle fiere, come veri e propri fenomeni da baraccone, al pari di donne barbute e nani e, con il tempo, venne utilizzato nelle varie culture per marchiare i criminali e i balordi.

Al giorno d’oggi la valenza sociale del tatuaggio e la considerazione data al tatuato sono ben diverse: molti adolescenti si tatuano per moda o per conformarsi al gruppo di coetanei.

Chi vi scrive ha due tatuaggi, fatti a venticinque anni suonati, non per moda, ma per convinzione personale e affettiva, ben conscia dei rischi connessi. Infatti, seppur raramente, possono verificarsi allergie alle sostanze coloranti usate e infezioni anche gravi, fra le quali l’epatite B e C, il tetano, l’AIDS, la lebbra e le infezioni cutanee da stafilococco, dovute a scarsa igiene e dal non utilizzo di aghi monouso.

Quindi, è fondamentale, prima di tatuarsi, fare dei test allergologici per verificare eventuali allergie a sostanze chimiche, scegliere coscienziosamente il disegno, pensando che dovremo portarlo con noi e su di noi a vita, e affidarsi ad un tatuatore esperto e rinomato che utilizzi solo strumenti monouso o costantemente sterilizzati.

Nel caso in cui, per svariati motivi, si decida di rimuovere il tatuaggio si può ricorrere a :

– dermoabrasione, un metodo molto aggressivo perché raschia via la pelle da 1 mm a 2 mm di spessore se il colore è penetrato in profondità, con il rischio di cicatrici visibili;

– laser, che vaporizza solo le cellule cutanee annerite, non facendo sanguinare e non provocando dolore. Con questo metodo non restano cicatrici, ma il nuovo strato di pelle potrebbe assumere una colorazione diversa;

– peeling chimico profondo con TCA (acido tricloroacetico).

 

Come in tutte le mode, anche nei tatuaggi ci sono dei filoni che tornano ciclicamente: in passato andavano per la maggiore soggetti come ancore, pin up, pugnali e croci, si è poi passati ai “tribali” per arrivare, infine, agli ideogrammi cinesi o giapponesi.

Oggi i soggetti più diffusi sono ad esempio:

– Rosa: nella cultura greco-romana la rosa raffigurava la Bellezza, la Primavera, l’Amore

– Stelle: la stella a cinque punte rappresenta l’uomo nuovo

– Ideogrammi : spesso vengono usati come disegni tatuaggio perché con un solo ideogramma è possibile esprimere il significato di una parola anche lunga, come amore, energia, fortuna e coraggio. Attenzione a verificarne la veridicità!

– Angelo: l’angelo è molto richiesto ai tatuatori con la raffigurazione classica, che lo rappresenta in forma umana, oppure semplificato con un paio di ali, quasi sempre tatuate sulla schiena.

 

Quasi esclusivamente prerogativa delle ragazze, il tatuaggio sul piede ha dei disegni che sono più ricorrenti di altri: rametti floreali, tribali, stelle o segni stilizzati a cui si aggiungono farfalle, coccinelle, fatine, stelle.

Buona scelta a tutti!

 

 


Si ringrazia per l’editing Chiara Magagnato

 

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One Reply to “Tatuarsi: uno stile di vita”

  1. Io ho fatto il mio primo e unico tatuaggio a 35 anni, per scelta precisa di voler portare per sempre con me, oltre che nella memoria, come segno sulla pelle, la testimonianza di un anno molto particolare (il 2009) che mi ha visto rimettere in discussione tutte le certezze della mia vita per costruirne di nuove. Penso che un tatuaggio debba avere un significato profondo e personale per chi decide di farlo, altrimenti ho paura che questo diventi solo una “decorazione” come tante altre che però non si elimina facilmente come un anello o un bracciale.

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