A Natale mi sposo e vado in Sudafrica

C’era una volta la coppia Boldi – De Sica. Non è dato sapere dove si conobbero ma, dicono i bene informati, fu amore a prima vista. Li unì in matrimonio un produttore dalla vista lungimirante e con un raffinato senso dell’estetica: i due infatti avevano una caratteristica particolare, quella di produrre incassi che – assieme – raddoppiavano a palate.

Anche perché, diciamo la verità, erano tempi che il denaro girava. Sì, girava: dalla tasca tua, alla mia, dalla mia alla sua, dalla sua a quella di Aurelio De Laurentiis, da quella di Aurelio De Laurentiis a quelle di Boldi e De Sica. E così si chiudeva il cerchio della vita. Ma – come ha detto recentemente un ragazzo di Scienze Politiche della Sapienza di Roma, violentemente accusato di essere un vigliacco perché non ha voluto mettere la faccia sul palmo aperto della mano di un ministro – almeno c’era la speranza. Come di che? Di vivere.

Vivi e lascia morire, s’intitolava un famoso film della serie James Bond tratto dall’omonimo romanzo, ma Ian Fleming aveva messo queste parole sulle labbra del mitico 007 perché quello vedeva e incontrava criminali della peggiore specie e, dunque, ché li doveva fare vivere?

Invece, appare più equilibrato e corretto il motto vivi e lascia vivere, che è ispirato a principi di tolleranza e sopportazione. Ma che c’entra tutto questo con lo studente della Sapienza di Roma e, soprattutto, con la coppia Boldi – De Sica? C’entra, c’entra. Allora si lavorava, si viveva e si faceva vivere, immettendo le proprie ricchezze sul mercato e generando nuovo lavoro e nuove opportunità. Infatti, spiega lo studente che le nuove generazioni non hanno più la speranza di trovare un lavoro, la loro vita non prevede prospettive come quelle delle passate generazioni. Il denaro non circola, se non all’interno di una cerchia mooolto ristretta. E noi che ristretti non siamo, ma anzi piuttosto allargati? «Voi siete la generazione dei tre niente: niente lavoro, niente reddito, niente risorse», dice il redivivo Gordon Gekko in Wall Street – il denaro non dorme mai, mentre nel 1987 il suo slogan era «L’avidità è giusta». Col tempo le opinioni possono cambiare.

E sì, direte voi, perché di certo vedere il mondo dalla parte dorata non è esattamente la stessa cosa che vederlo dalla parte abbrustolita e dunque i punti di vista cambiano, secondo le prospettive. Giusto! Infatti il ragazzo della Sapienza diceva, appunto, che queste prospettive non ci sono. Quando invece le prospettive c’erano, il cinema si poteva permettere di produrre film come Yuppies, interpretato dalla coppia Boldi – De Sica, con l’innesto di Greggio e di altri similar-simpatici della tv. Avete visto che c’entra?

Oggi, invece, che l’Uomo del Sogno ha detto Stop, che la finanza creativa ha esaurito tutti i desideri concessi e la magia non funziona più, il Paese si avvita in una spirale recessiva senza fine. Allora – ci chiediamo – è ancora giusto e legittimo mangiare il cinepanettone e bere lo spumante a Natale? Non sarebbe meglio tenersi più leggeri e, magari, mangiare un brodino di pollo che – sarà meno piacevole – ma nutre di più?

Di cosa ci dovremmo nutrire? Di cultura, ad esempio. Perché è vero che i soldi sono finiti, ma non per tutti, soltanto per il 95 per cento della popolazione. Ma questo 95 per cento, che numericamente avrebbe la possibilità di sovvertire democraticamente le sorti economiche del Paese, preferisce distrarsi, soprattutto a Natale. D’accordo che bastano le altre trecentosessantaquattro giornate dell’anno per piangere, ma mica per Natale devono continuare ad arricchirsi sempre gli stessi.

E poi non si tratta soltanto di soldi. Si tratta di cervelli in fuga. Non solo quelli dei giovani senza speranza e nullatenenti, ma anche i nostri cervelli, quelli che pur restando rinchiusi nei crani rischiano di fuggire nel nulla, attraverso un processo lento e inarrestabile di evaporazione causato anche dalla prolungata esposizione a queste pellicole demenziali.

Stop! Ho capito. La prossima accusa che mi si rivolgerà potrebbe essere: «Vigliacco, sei un vigliacco! Perché ti nascondi sotto un falso nome, mentre l’Italia del cinema produce pellicole che sfamano il settore. Nessuno ci può giudicare, nemmeno tu!». Poi, «se uno non vede certi film, come può giudicarli?». E «se alla maggioranza degli spettatori piacciono, perché la minoranza li deve giudicare insulsi? Che forse gli italiani non hanno la capacità di farlo ognuno con la testa propria?». Ecco perché, consapevole del pericolo, ho deciso di scendere in campo, accettando la sfida, andando a vedere in un colpo solo i due cinepanettoni di quest’anno, al fine di farne una recensione doppia.

Avrei preferito riunire la mia squadra di osservatori speciali, dividerci nelle sale in incognito senza dare nell’occhio, spiare di nascosto le reazioni degli spettatori, censirli, catalogarli, cercare di stabilirne ceto, provenienza sociale, cultura, religione, sesso apparente e viagrale, iscrizione al partito, ribaltonismo, scilipotismo, e tutti quei dettagli inutilmente protetti dalla legge sulla privacy, perché senza statistiche oggi non si va da nessuna parte. Avremmo potuto scoprire chi sia effettivamente questa maggioranza che si traveste di finto intellettualismo e poi di nascosto va a vedere questi film e li fa sbancare ai botteghini. Ma, appena ho fatto la proposta, sono giunte le prime defezioni: chi non aveva il coraggio, chi il pupo da allattare, chi non aveva l’abbigliamento adatto, chi invece aveva l’emicrania del venerdì sera. E allora ho detto: «Cavolo! Vado da solo! Che sarà mai?».

Così ci sono andato in ordine d’uscita: prima A Natale mi sposo, dopo Natale in Sudafrica. Già dai titoli si è prospettata un’impresa difficile, ma non avrei potuto immaginare quanto. Il primo film si è presentato con tutto l’armamentario caratteristico dei cinepanettoni: musichetta accattivante, battute volgari, doppi sensi, cast variegato, rutti, parolacce, località fantastiche, donne-seni-culi, travestiti, denaro, mangiare a volontà, scorpacciate di marjuana al posto della mentuccia, feste, tradimenti, uomini gelatinosi in mutande, botte, grida, poi sono crollato tra le braccia di Morfeo e al mio risveglio ogni capacità di resistenza se n’era andata. Incapace di reagire a tanta creatività, il mio cervello era andato in protezione. Così, sconfitto ho abbandonato l’impresa.

Il risultato è stato che mi ero proposto di recensire due film e non sono stato in condizione di farne nessuna. Del resto, le sfide difficili devono fare i conti con gli imprevisti: se ad esempio avessi proposto di creare un milione di posti di lavoro, mi sarei potuto ritrovare con la disoccupazione alle stelle e le città a ferro e fuoco. Che colpa avrei avuto? Mica posso essere dentro a tutte le aziende? Mica posso vedere tutti i film a Natale? Io sono uno soltanto e i produttori di cinepanettoni sono tanti, per non parlare degli attori: milioni pronti a svendersi per un pezzo di panettone ammuffito.

Però, una cosa l’ho capita: non è giusto pensare che ciò che piace alla gran parte delle persone debba per forza piacere anche alla parte minore. Questa non è la democrazia, altrimenti per democrazia dovrebbe essere inculcato anche a me il piacere di vedere i film che piacciono alla maggioranza degli spettatori. Non siamo tutti uguali, non piacciono a tutti le stesse cose, donne, fiori, frutta, città, animali, non vogliamo fare tutti lo stesso lavoro e non amiamo tutti lo stesso stile di vita, altrimenti non esisterebbero i mercati di nicchia, il volontariato, il collezionismo, la fedeltà, la monogamia. E non è neanche vero che ciò che istintivamente piace debba per forza essere giusto, altrimenti dovremmo pensare che sia giusto sfruttare, approfittare, soverchiare, accaparrare, prevaricare, e risistemare tutto a misura della nostra personale convenienza.

Il piacere e le scelte devono allora essere canalizzate. Se le Ferrari venissero vendute soltanto di colore giallo, gli appassionati di queste auto imparerebbero presto ad amare questo colore. Allora è meglio che chi possiede qualcosa di buono, sia esso cultura, arte, amore, carità, abnegazione, onestà, esempio, cominci a trafficare questi doni, affinché i gusti imposti dall’alto possano a poco a poco cambiare.

Volevo andarmene da questo posto nel quale tutto ciò che si dovrebbe vedere prima di Natale viene rinviato per fare spazio al cinepanettone, ma poi ho deciso di restare perché i film che proiettano non mi piacciono e voglio che non si facciano più. Voglio più intelligenza, più arte e più cultura. Spero che la coppia Boldi – De Sica si ricomponga, perché è meglio un cinepanettone che due, perché verranno rinviati a gennaio meno film belli e interessanti, perché gli italiani comincino a pensare di più, a non farsi raccontare storie basate sul nulla e a comprendere lo stato nel quale si trovano, fregandosene dei gusti degli altri e pensando vaffanculo alla maggioranza.

Si ringrazia per l’editing M. Laura Villani

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2 Replies to “A Natale mi sposo e vado in Sudafrica”

  1. Amici, voi si che avete coraggio! Il sono rimasta al 1° Vacanze di Natale, e gli altri vilmente non li ho visti nemmeno riproposti in TV: Devo ammetterlo, sono una codarda, mi rifugio col naso nei miei libri, o magari rivedo un DVD di De Sica, Vittorio, ovviamente. Lo so lo so, ma voi tenete duro, anche perchè altrimenti chi mi conforterebbe con questi articoli sfiziosi, arguti, pieni di storiche veritààààààààà.

  2. Rabbia per il successo di questi stupidi e insulsi film che passano,incassano e non lasciano niente nello spettatore,delusione perchè la gente sceglie di andare comunque a vederli e ancora rabbia perchè il 95%(povero)sceglie di ingrassare sempre più il 5%(ricco). Questo vedo trasparire dal tuo articolo.Quella rabbia che dovrebbe esplodere dal 95%!
    Grazie,Tinos per questa impareggiabile recensione che condivido pienamente.

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