“Il cliente”: maschile e femminile


di Elisa Scaringi

 

Il cliente

 

Come reagirebbe alla violenza privata una coppia dell’Iran di oggi? Il perdono troverebbe spazio nella loro giovane età? Oppure la legge della vendetta avrebbe la meglio? Asghar Farhadi ha cercato di dare una risposta mescolando vecchio e nuovo, tradizione orientale e globalizzazione occidentale. Ne Il cliente la fune è, infatti, sempre tesa tra il peso di un passato sicuro e la fiducia in un futuro ancora nebuloso. Sullo sfondo un paese nato alla democrazia nel 1979, sebbene già il nome “Repubblica Islamica dell’Iran” ne ricordi le forti tendenze teocratiche.

Lei, Rana, non ha mai il capo completamente scoperto e si mantiene sempre a una certa distanza dagli uomini. Riesce, però, a modellare le sue reazioni emotive, spingendo la paura verso la compassione del perdono. Lui, Emad, è un professore che ama il cinema d’avanguardia e mette in scena un’opera tutta occidentale quale Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. Ma la sua coscienza di uomo non è capace di dimenticare il dolore subito dallainterpreti film moglie: tutte le sue azioni sono rivolte alla vendetta; prima nella ricerca del colpevole e poi nel tentativo di riscatto. Raccontando due delle possibili reazioni alla violenza, la coppia diventa il micro-mondo attraverso il quale la vita si esprime nel suo complesso. Quella dell’Iran di oggi, teso tra le spinte della modernità democratica e i colpi di un regime ancora fortemente teocratico. Così la pièce di Arthur Miller è lo spunto creativo per infondere speranza: il conflitto familiare di allora (il 1949), modellato intorno alla critica sul sogno americano, diventa il mezzo per sviscerare le responsabilità morali di ogni singolo individuo.

Anche qui, infatti, lo screzio nella coppia è uno strumento valido a raccontarne la società circostante, nonostante siano sempre i volti a essere in primo piano; quasi mai i busti interi o i paesaggi ad ampio respiro. Il luogo della riflessione è l’interiorità di uno sguardo e l’intimità di una vita casalinga. Da questo micro-cosmo si diparte la riflessione sul tutto: l’uomo è capace di perdonare la violenza subita? L’essere umano ha in sé il coraggio di muoversi a compassione nei confronti del nemico? La vittima può riabilitare il carnefice, che da mostro insensibile potrebbe trasformarsi in una persona con le sue debolezze? Per Emad il perdono è impensabile: l’aggressione contro una donna deve essere ripagata con altrettanta ferocia. Se nella prima parte del film il cliente è l’aggressore sconosciuto, in seguito è lui stesso (Emad) a vestirne i panni: si trasforma per smascherare l’orco, ma con esso ne assume anche le fattezze quando cerca, a tutti i costi, di muovere vendetta. Rana, invece, è la vittima per eccellenza: colei che, nonostante la violenza subita, sa condividere con il carnefice la condizione di subalterno. Se prima è la paura dell’ignoto a tenerla in trappola, in seguito è lo stesso marito a incuterle timore.

Come il Willy Loman di Arthur Miller, i sentimenti di Emad non conoscono sfumature: la mascolinità si esprime in reazioni eccessive incapaci di percorrere vie alternative. La femminilità della moglie Linda è, invece, la stessa di Rana: il saper scendere a compromessi con il peggio che possa riservarci la vita, perdonando anche l’indicibile. La domanda finale che rimane, allora, nella mente dello spettatore è solo una: quale delle due reazioni potrebbe essere la più giusta? Quella mascolina della rabbia, che aggredisce per riparare al torto subito, oppure quella femminile della compassione, che accorre a difesa del mostro sofferente?

 

Gamy Moore
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