Elio Petri, ruvido e umano

 

di Elena Bibolotti

L'assassino

 

Non è importante la trama, il fatto in sé e la storia possono essere anche insignificanti purché siano raccontati come si deve. Nel linguaggio filmico, come in quello letterario, ciò che rende unica la narrazione è la profondità dei personaggi, ed è l’ambiguità – oggi ritenuta da molti editori un aspetto negativo – l’ingrediente che ci lascia stupiti nel vedere rappresentate le nostre umane contraddizioni anche lì, tra le ombre lunghe della pellicola in bianco e nero.

 

“L’assassino”, primo lungometraggio di un Elio Petri comunque maturo e con alle spalle una buona esperienza come soggettista, ci tiene incollati alla vicenda e alla ricerca della verità, non dei fatti ma del personaggio, sconcertati di fronte alla cecità di chi gestisce il potere e attoniti per la libertà dei costumi dell’epoca.

Il film, girato nel 1961 e censurato di una scena perché ritenuta offensiva verso le forze di polizia, affronta, così come Petri farà anche in seguito, il tema del potere e delle nevrosi a esso legate.

 

Un ex robivecchi e, al momento dei fatti, antiquario benestante viene prelevato a casa propria e di primo mattino da alcuni poliziotti poco loquaci e dai modi bruschi. Tra le larghe finestre dell’appartamento che affacciano sul centro storico di Roma, Alfredo Martelli, dopo essersi a lungo opposto, decide di seguirli in commissariato.

Per i primi venti minuti – che sono proprio tanti – né il protagonista, Marcello Mastroianni che prende il posto in extremis di Nino Manfredi, né noi conosciamo il capo d’accusa. Lasciato da solo in sala d’aspetto, sotto lo sguardo vigile del Commissario Palumbo, uno straordinario Salvo Randone, il sospettato si muove cautamente in attesa di conoscere il motivo dell’arresto.

 

Durante un primo e breve interrogatorio è messo a conoscenza dell’imputazione di omicidio e quindi della morte della sua ex amante e socia, Adalgisa De Matteis, una donna più grande di lui e assai facoltosa, moglie di un suo vecchio cliente e ormai ex amico.

Sinceramente scosso dalla notizia, sarà sbattuto nuovamente in cella e senza che gli sia data la possibilità di chiamare un avvocato.

 

Nella notte andranno a fargli compagnia due loschi figuri che, reduci da una rapina “in cui c’è scappato er morto”, non lo lasceranno dormire torturandolo con assurde accuse e continui sfottò. Un logorroico Paolo Panelli, con la complicità di Toni Ucci, avrà un lunghissimo piano sequenza, detto in gergo “cameo”, a mio avviso non replicabile – per fonetica articolatoria e originalità dei personaggi – da nessuna attuale stellina del nostro cinema.

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Finalmente, a tu per tu con il Commissario, inizia una lunga ricostruzione dei trascorsi del protagonista.

Attraverso continui flashback, il Martelli assume, ai nostri occhi e a quelli di Palumbo, l’aspetto non più della vittima di un giudizio affrettato ma di un approfittatore, un uomo meschino, dedito all’imbroglio e, ciò che è peggio, allo sfruttamento di chiunque provi per lui un sentimento di autentico affetto. Persino la giovane cameriera, che durante la perquisizione in casa della vittima lo difende strenuamente prendendo su di sé addirittura la colpa del delitto, è stata da lui venduta, per poche lire, a un suo cliente. Martelli ci appare a tre quarti della pellicola un pessimo individuo, ipocrita persino con la propria madre che, venuta dal paese sola e per stargli accanto, sarà accompagnata alla corriera, con una scusa, dopo un pranzo frettoloso in osteria.

 

Randone, che a questo punto è nostro complice, lascia trasparire da subito una certa ostilità per il sospetto, un’antipatia dovuta alla bellezza del Martelli, al fascino che ha sulle donne e alla ricchezza da poco conquistata – pensiamo noi – ma forse, e qui sta la maestria della scrittura filmica, anche alla certezza della sua colpevolezza. Le prove, infatti, sono schiaccianti. L’antiquario è stato l’ultimo a incontrare la donna, nella cui camera da letto, in sovrapprezzo, sono state trovate, fatte a pezzi, alcune cambiali a suo nome: il movente è chiaro.

 

Ma sì, ma certo, si erano incontrati perché Adalgisa voleva restituirgli il suo cane, o forse, dichiara Martelli, perché voleva rivederlo ancora.

Ed è qui che la narrazione s’insinua nelle pieghe di una storia d’amore dolorosa, dai toni perversi e a tratti sadomasochisti. La vecchia amante che procura al giovane amato una ragazza bella, ricca e in età da marito. La generosità e l’altruismo, declinati in modo inconsueto, altro non sono che un’infantile richiesta di conferme che, una volta tradite, si trasformano in gelosia che sfianca e passione logorante.

Ma la donna, interpretata da Micheline Presle, non si è suicidata.

Nel giro di quarantotto ore, il Commissario Palumbo ribalterà il suo giudizio e, grazie a un minuscolo e insignificante particolare sfuggito anche a noi spettatori, inchioderà il vero colpevole.

Rilasciato in un’alba grigia Martelli piange e tutto sembra andare verso uno scioglimento con lieto fine, verso un ribaltamento radicale dell’etica rattoppata e della morale un po’ liquida del protagonista. Ma Petri, che è amaro e ruvido, e come in tutte le sue opere rappresenta la parte più sinistra dell’umanità, mette in bocca al vero assassino, l’unico personaggio umano del film, una battuta rivelatrice: certi sentimenti, dice facendo riferimento al rispetto umano, non esistono più.

In questo film, che sicuramente messo su carta sarebbe oggi respinto da molti editori e agenti letterari, troviamo ritratti diversi aspetti dell’animo umano, la doppia faccia di ognuno e il disfacimento continuo dei principi morali al cospetto della riuscita individuale. In questo film, tutto è il contrario di come appare, ciò che sembra solido si rivela liquido, e ciò che pareva oscuro si rischiara all’improvviso.

 

Un applauso di cuore al commento musicale scritto e diretto da Piero Piccioni, ai co-sceneggiatori Tonino Guerra, Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa e al coraggio del Produttore Franco Cristaldi.

 

 

L’assassino, Italia- Francia, 1961, regia di Elio Petri

 

 

http: //bibolotty.blogspot.com

 

 

Si ringrazia per l’editing Maria Montefrancesco


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