Soldado: guerre di (s)confinamento


di Francesco Grano

 

Soldado

 

Un attentato kamikaze di matrice islamica uccide quindici persone in Kansas City. Il governo degli Stati Uniti richiama dalla Somalia l’agente della CIA Matt Graver (Josh Brolin) per una controffensiva contro i cartelli della droga messicani, sospettati di far infiltrare i terroristi attraverso il traffico di clandestini. Incaricato con pieni poteri, Graver contatta Alejandro (Benicio del Toro), l’ex avvocato diventato un agente a contratto per gli States, per proporgli di far parte della task force. Alejandro accetta e la missione inizia prima con l’assassinio di un noto legale del cartello di Matamoros e, dopo, con il rapimento di Isabel (Isabela Moner), la figlia del narcotrafficante Reyes, rivale di Matamoros. Inizialmente la missione sembra procedere secondo i piani, ma quelli che sembrano alleati ben presto si rivelano essere doppiogiochisti.

Con I segreti di Wind River sembrava che lo sceneggiatore e regista Taylor Sheridan avesse concluso la sua Trilogia informale sulla moderna frontiera americana. Eppure, a distanza di quasi un anno dall’uscita di Wind River (che, tra l’altro, rappresenta il suo esordio dietro la macchina da presa), Sheridan è tornato a far parlare di sé scrivendo la sceneggiatura di Soldado (Sicario 2: Day of the Soldado, 2018), sequel di Sicario diretto da Denis Villeneuve nel 2015. In questo capitolo II la prima, grande novità, è l’assenza di Villeneuve nelle vesti di regista. L’autore canadese, infatti, nella sua esigua ma importante filmografia, al momento non ha permesso di far entrare potenziali sequel delle sue opere, ottenendo così quella maggiore aura di autorialità. A sostituirlo ci ha pensato l’italiano Stefano Sollima (ACAB, Suburra) qui alla sua terza prova sul grande schermo. Soldado è il seguito diretto di Sicario e, difatti, ne condivide quasi tutti gli aspetti, a partire dal cast capitanato dal sublime “angelo della morte” Benicio del Toro e dai sempre ottimi Josh Brolin e Jeffreyattori e Sollima Donovan ai quali si aggiungono Catherine Keener e Matthew Modine, fino ad arrivare a quello che è il fulcro principale di entrambe le pellicole: la guerra alla droga a cavallo del confine statunitense e messicano. Tuttavia, questa volta Sheridan si è concesso una più ampia libertà narrativa in modo da abbracciare non solo ed esclusivamente la crociata contro il narcotraffico ma la sempre attuale guerra globale al terrore. Scelta, questa, che di primo acchito potrebbe far sembrare potenzialmente scollegate tra di loro trama e sottotrame le quali, lentamente e in un crescendo sempre più imprevedibile, si raccordano alla perfezione nell’intreccio. Merito della più che ottima scrittura di Sheridan ma, ex aequo, anche di Sollima che è riuscito a ri(costruire) in immagini il nero su bianco dello script così da portare sul grande schermo quelle che possono essere identificate come guerre di (s)confinamento che, in Soldado, assurgono a significato bicefalo: da un lato il film di Sollima mostra e si domanda fino a che punto ci si può spingere in una lotta senza quartiere contro i signori del crimine e il terrorismo islamico, quali sono i metodi (come la tortura, l’utilizzo della forza letale e le esecuzioni non riconosciute) che permettono di combattere il nemico senza oltrepassare eccessivamente il punto di non ritorno; dall’altro, invece, Soldado rappresenta il travalicamento verso determinati generi cinematografici.

Se Sicario di Villeneuve è un robusto thriller ad altissima tensione che, al suo interno, contiene delle brevi ma fulminanti e magistrali sequenze d’azione, Soldado, invece, vira decisamente verso l’action “d’autore” più puro, riservando tuttavia momenti da thriller non meno interessanti. Nonostante la componente d’azione sia aumentata e le sequenze dei combattimenti a suon di proiettili, granate e incursioni aeree rivestano un piano sia orizzontale che verticale a 360°, Soldado presenta comunque due difetti: il primo è la mancanza di quel costante (e quasi opprimente) senso di minaccia che, invece, permea Sicario in quasi ogni sua scena. Non che nel terzo lungometraggio di Sollima sia assente la tensione emotiva; nondimeno il dislivello tra le due opere si percepisce, così come (e qui, forse, entra in gioco il gongolamento anticipatorio di Sollima) manca quella annunciata ulteriore violenza rispetto a Sicario. Certo, Soldado rimane pur sempre un film abbastanza violento, crudo, cupo (anche se in misura minore) e realistico, privo di qualsiasi parvenza di speranza in un mondo cattivo e sull’orlo del caos; ma in un confronto diretto, questo sequel è epurato da quelle scene brutali come un pugno nello stomaco e scioccanti (e chi ha visto e conosce bene Sicario sa a cosa ci si riferisce) presenti nel predecessore.

Due difetti, se così possono essere considerati, che di certo non intaccano eccessivamente la qualità complessiva dell’opera che si conferma per Sollima come un’ottima prova di regia in trasferta a stelle e strisce: il lavoro scenotecnico (fotografia, montaggio visivo e sonoro eccellenti) è di primissima qualità e la regia, solida e impeccabile, dimostra come il regista di Suburra non si limiti, solo ed esclusivamente, al suo stile bensì ricerchi ulteriori visioni autoriali, in primis ispirandosi allo stesso Villeneuve e – parimenti – a quella ricercatezza visiva e stilistica in relazione all’utilizzo degli spazi urbani (e non) nonché alla direzione delle sequenze action che un certo Maestro di nome Michael Mann ha saputo imporre. Ma Soldado non si limita solo alla componente visiva e adrenalinica giacché, come in Sicario, analizza e mette sotto la lente il background psicologico dei personaggi che qui – decisamente – fanno un passo in avanti prendendo coscienza dei propri incarichi e di quale sia la scelta migliore da fare. Tra citazionismo e serrate composizioni visive, Soldado non delude le aspettative, aggiudicandosi il titolo di degno erede di Sicario senza, tuttavia, riuscire a spodestare dal trono regale il capolavoro di Denis Villeneuve. Un sequel, quindi, di tutto rispetto e che entra a far parte, giustamente, della aggiornata Tetralogia sulla moderna frontiera americana lasciando però spazio a un potenziale (e probabile) terzo capitolo conclusivo di una seconda trilogia nata da una costola della trilogia originale.

 

 

Gamy Moore
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