Storia di un matrimonio: quell’in(capacità) di dire ti amo

 

di Francesco Grano

Storia di un matrimonio

 

New York City, giorni nostri. Lui è un famoso e apprezzato regista teatrale, lei un’attrice: Charlie (Adam Driver) e Nicole (Scarlett Johansson) affiatata coppia nella vita quotidiana e non, condividono il lavoro/passione scandendo le proprie giornate tra prove teatrali, copioni, routine mondana e privata. Finché i barlumi di una crisi coniugale bussano alla porta: Nicole non vuole rinunciare all’offerta di recitare in un pilot di una serie tv che si gira a Los Angeles, sua città natale, mentre Charlie decide di rimanere nella Grande Mela poiché il suo nuovo spettacolo sta per sbarcare a Broadway. Trasferitasi, insieme al figlioletto, a casa della madre in California, Nicole ben presto viene raggiunta da Charlie il quale cerca, in tutti i modi, di riunire la propria famiglia e affrontare la battaglia legale che lo aspetta.

Nel 1979 il regista Robert Benton con Kramer contro Kramer è riuscito a offrire una panoramica relativa ai casi di separazione tra moglie e marito, commuovendo il pubblico e convincendo la critica con un dramma per nulla retorico premiato, giustamente, con ben cinque Premi Oscar. Quattro decadi dopo, Noah Baumbach porta sul grande schermo Storia di un matrimonio (Marriage Story), una storia simile, ma coeva alla generazione figlia della fine degli anni Ottanta/inizi anni Novanta. Nonostante la similitudine tematica tra le due pellicole, Storia di un matrimonio si discosta, marcatamente, dal netto impianto drama di Kramer contro Kramer e, senza fronzoli o inutili manierismi appartenenti al genere, afferma, fin dalle battute iniziali, la sua natura ibrida tra commedia, sentimentale e film drammatico, senza tuttavia essere, forzatamente, strappalacrime.

immagini Storia di un matrimonio

Storia di un matrimonio, difatti, è un lucido spaccato sul lungo, logorante e doloroso processo che porta allo smembramento di un nucleo famigliare e alla conseguente e inesorabile separazione di due persone unite dall’amore e dal vincolo del matrimonio. Ciò che più colpisce della nuova opera di Baumbach è il folgorante incipit in medias res ed è grazie a questa scelta se, fin da subito, sono chiare le motivazioni che portano Nicole ad allontanarsi da suo marito Charlie e viceversa: entrambi hanno dei pregi e dei difetti, tutti e due sono votati, in maniera (quasi) totalizzante al proprio lavoro senza tuttavia tralasciare gli aspetti più easy e semplici della routine tra le mura domestiche. Eppure, dietro l’apparente parvenza di perfezione, i coniugi Barber nascondono le inquietudini, le mancanze e le parole non dette su quella voglia di fuggire via fino a che arriva l’insperabile momento in cui tutto quello che c’era da dire è stato detto. Storia di un matrimonio, senza troppi complimenti, mette sotto la lente di ingrandimento il riflesso iperrealista della famiglia (e della sua concezione) del/nel XXI secolo: sempre di corsa, oberata da tante responsabilità e impegni, multitasking, per sintetizzare il tutto, che dovrebbe – e potrebbe – fermarsi un attimo per concedersi e lasciarsi andare, in toto, a quel sentimento promotore e collante di ogni coppia degna di tal sostantivo: l’amore.

Storia di un matrimonio non è altro che la messa in immagini di quell’in(capacità) di dire ti amo, due semplici ma profonde e fondamentali parole che Charlie e Nicole non riescono a dirsi a cuore aperto, nascondendo il loro sentimento dietro alla frenesia, a discussioni plateali (e “teatrali”) e al gioco del rimpiattino di colpe vere e non, lasciando campo libero all’avanzare di quel tempus fugit che, piuttosto che migliorare la situazione, non fa altro che concedere pochi e quasi inutili spiragli alla possibilità di riunire, insieme, i tasselli di un mosaico andato, purtroppo, in frantumi.

Con un incedere narrativo dolceamaro scandito da momenti toccanti ma mai melensi e altri decisamente sui generis e (quasi) grotteschi, Storia di un matrimonio è una strabiliante comedy-drama sentimentale capitanata da una Scarlett Johansson e da un Adam Driver entrambi in stato di grazia, capace di intrattenere e far riflettere per tutta la sua non breve durata di ben centotrentasei minuti; e di far sì che, una volta calato il sipario, ci sia sempre una remota, ma non impossibile, speranza di continuare ad amarsi anche quando questo nobile sentimento è stato a lungo taciuto.

 

 

 

Gamy Moore
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