The blind side, ciò che l’occhio non vede

Cosa succede in quei pochi attimi che separano l’inizio di una partita di football dal rumore del primo osso che scricchiola sotto il pesante scontro del quarterback con il difensore, cioè tra colui che imposta l’azione e il giocatore della squadra avversaria che ha il compito di fermarlo?

Succede questo: i primi attimi sono contrassegnati da ciò che il quarterback vede, ma quelli immediatamente successivi sono rappresentati da quello che egli non vede e che non può vedere, perché si trovano nell’angolo cieco. Ma cos’è un angolo cieco?

Vediamo se ci può venire in soccorso la medicina. E dato che non disponiamo di medici veri, vediamo cosa ci possono dire i medici che conosciamo in questo mondo immaginario e fantastico, che è la finzione cinematografica.

«Molta gente non sa che l’occhio umano ha un angolo cieco nel suo campo visivo. C’è una parte di mondo che noi non possiamo letteralmente vedere. Il problema è che certe volte gli angoli ciechi ci impediscono di vedere cose che non dovremmo assolutamente ignorare. A volte invece sono proprio gli angoli ciechi a dare felicità e contentezza alla nostra vita». Così ci spiega Meredith, nella sua riflessione iniziale dell’ottavo episodio della terza stagione di Grey’s anatomy.

The Blind Side, di John Lee Hancock, poteva essere distribuito in Italia traducendo il titolo con il corrispettivo equivalente dall’inglese Il lato cieco. Magari avrebbe reso meno in termini di appeal, ma avrebbe anche confuso meno noi popolo italiano bombardato ventiquattrore al giorno da cocktails e miscele di inopportuni B-sides in perenne bella mostra e da Blind trusts che avremmo preferito vedere istituire e funzionare e che, invece, non sono mai partiti.

Ciononostante, vedendo il film che ha consacrato Sandra Bullock tra le migliori attrici di sempre, facendola salire sull’Olimpo delle stelle e consegnandole l’Oscar quale migliore attrice protagonista del 2010, si comprende fin dalle prime battute che la tematica affrontata è quella su ciò che l’occhio non può vedere.

Nel caso del football, l’occhio non può vedere – appunto – quella zona dalla quale possono provenire gli attacchi. Dunque, è lì che occorre fare qualcosa o mettere qualcuno che possa proteggere il quarterback: il tackle sinistro.

Ecco, quello è il ruolo che deve occupare un uomo che deve assicurare il lato cieco del nostro agire. E quest’uomo deve essere grosso, molto grosso. «Deve avere fianchi possenti, cosce massicce, braccia lunghe, mani enormi e piedi veloci come un singhiozzo».

Un mostro, direte. Sembrerebbe così, se non fosse che, invece, quell’uomo possa essere anche un ragazzo di soli diciassette anni, con un passato difficile, una madre tossicodipendente, un padre sconosciuto, fratelli innumerevoli, sottratto in tenera età alle cure delle madre, per essere affidato ai servizi sociali.

La vita conduce il nostro ragazzo, soprannominato Big Mike (Quinton Aaron) su strade impervie e misteriose nelle quali si intrecciano solitudini, silenzi e ricerche estemporanee di rifugi per la notte, rischiarati da isolati lampi di solidarietà.

Così, Big Mike viene dapprima notato per le sue incredibili doti fisiche da un allenatore che lo farà entrare in una scuola, ma i suoi risultati scolastici sono molto deludenti. Al punto che, per lui, si prospetta l’impossibilità di praticare lo sport e – forse – di potere proseguire negli studi.

Finché un giorno viene notato da Leigh Anne Tuohy, interpretata dalla Bullock, la quale capisce che il ragazzo è di fatto un senzatetto e lo invita a trascorrere qualche giorno a casa propria, condividendone i problemi e rendendolo parte integrante di una famiglia – la sua – composta da due genitori e due figli.

Da lì seguono le vicende straordinarie, ma non troppo, della nostra famiglia normale che cerca di rendere ordinaria, ma con grandi difficoltà, la vita di un ragazzo eccezionalmente grosso, particolarmente introverso e con qualità umane ancora da sviluppare e scoprire. E si tratta di una storia vera.

La nostra famiglia Tuohy inserisce il figlio nel proprio nucleo, decidendo di non fissarne i limiti ed i confini dell’appartenenza e lo coinvolge in tutti gli aspetti della vita relazionale della stessa, dalle foto nelle cartoline per gli auguri alle piccole mansioni quotidiane, all’avere affidata una stanza ed un letto tutto per lui.

È così che la straordinarietà dell’azione diventa ordinaria, passando per il cuore del giovane Big Mike che – si scopre dai test scolastici – ha attitudini spiccate ed elevatissime alla protezione nei confronti degli altri individui.

Per il giovane gli altri individui sono la famiglia, ma cosa succede se la mamma – perché così si fa chiamare la signora Tuohy – gli spiega che i compagni di squadra nel football sono anch’essi la sua famiglia?

Succede che nessuno potrà più toccarli, perché ci sarà Big Mike a proteggerli. E da lì al successo della squadra il passo potrebbe essere breve. Se non fosse che … Ma questo dovrete scoprirlo da soli.

Così come da soli siamo chiamati a scoprire le sensibilità dei nostri ragazzi che crescono, ritenendo sempre che il meglio per loro sia che possano prendere il pieno possesso della loro vita. E che infine possano prendere le decisioni che preferiscono, perché sono le loro e solo quelle li possono rendere felici.

Il mondo può essere un posto veramente brutto, dice Mike che non vuole essere chiamato Big. Se chiudi gli occhi e conti fino a tre, quando li riapri, è tutto passato ed è nuovamente bello.

Aprire gli occhi, chiuderli, vedere o non vedere. In questo gioco delle parti, ognuno ha la sua. Perché la vita si gioca in squadra e mantenere gli equilibri è molto difficile. Ma la parte veramente complicata è quando apriamo e scopriamo agli altri le parti più intime di noi, quelle che custodiamo e proteggiamo all’interno dei nostri cuori.

Se lo facciamo, possiamo vedere anche oltre il raggio di visione normale. Possiamo estendere la nostra vista anche al lato cieco, quello che normalmente non vediamo e che potremmo non vedere mai.

Allora, dottoressa Meredith, qual è il nostro angolo cieco?


Si ringrazia per l’editing M. Laura Villani



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