The social network Facebook, storia di un successo planetario

Mark Zuckerberg (Jesse Eisenberg) non è un personaggio di fantasia, ma il vero piccolo ed imbranato studente di Harvard che ha cambiato il modo di intendere le relazioni tra uomini e donne del nuovo millennio, così come The social Network, di David Fincher è la storia vera dell’idea del secolo: come trasformare  internet da mare magnum delle ricerche senza fine a trovate chi cercate.

Se voi foste studenti di Harvard, cosa cerchereste? O meglio, chi cerchereste? Se foste ragazzi di Harvard, magari belli e palestrati, cerchereste ragazze, notorietà, accesso ai club e ai circoli esclusivi degli studenti. In poche parole, vorreste conoscere e farvi conoscere nel vostro universo sociale, delimitato dal contesto universitario.

Sì, anche perché ciò che nel mondo degli adulti capitani d’industria è rappresentato dal potere e dal denaro, nei  giovani scapestrati, geniali e sognatori è sublimato nella competizione a chi colleziona più ragazze, a chi è maggiormente riconosciuto, al successo porta a porta, o meglio peer to peer.

In un piccolo gruppo, circoscritto, con accesso condizionato si respira l’aria di un club esclusivo, anche se di esclusivo c’è soltanto la condivisone di ciò che maggiormente ti piace. In un club esclusivo via internet potrai intrecciare relazioni sociali stando comodamente a casa, guardando e selezionando le persone con cui vorrai interagire maggiormente, scegliendole e catalogandole in base ai loro gusti, preferenze, età, sesso, religione, ogni altra caratteristica normalmente protetta dalla privacy e – perché no – in base ai loro volti ed alle loro situazioni sentimentali. In sostanza, in internet potrai fare ciò che, con maggiore difficoltà, potresti fare all’università: sederti accanto alla più carina del tuo corso e magari cominciare a fare amicizia.

Questa è la storia di Facebook, la nascita del sito più visitato al mondo, e del suo creatore Mark Zuckerberg, un ragazzotto nerd e un poco sfigato che nessuno considerava, finché non ebbe l’idea più banale e – al tempo stesso – più geniale del secolo: mettere a confronto in rete le foto di  colleghe dell’università di Harvard, allo scopo di fare scegliere le più carine. Niente di eccezionale, semplicemente lui fu il primo. Il risultato sarà la creazione del sito Facemash: ventiduemila contatti in due ore.

Per fare questo, Mark dovrà rubare le foto dai siti di sette residenze universitarie. Un gioco da ragazzi per il piccolo programmatore che pochi anni prima aveva ideato Synapse, il software che riconosce i gusti musicali dei giovani in internet e che Microsoft voleva comprare, mentre lui aveva preferito renderlo disponibile free nella rete.

Per iniziare la gara Mark ha bisogno di un algoritmo che gli verrà fornito dal suo amico e collega Eduardo Saverin (Andrew Garfield), il quale entrerà nel futuro business quale direttore finanziario, con la quota del trenta per cento.

Da lì alla creazione del sito di comunicazione globale più potente del mondo, nel quale i volti da scoprire sono l’ingrediente base del successo, il passo è breve e lo stimolo creativo è fornito a Mark dai gemelli Cameron e Tyler Winklevoss (Armie Hammer), i quali lo ingaggiano per creare Harvard Connection. Mark accetta, salvo poi accampare le scuse più disparate per non dedicarsi al progetto, mentre segretamente implementa la sua piattaforma con l’aiuto dei fidi alleati e soci Eduardo Saverin, Dustin Moskovitz e Chris Hughes.

Così inizia l’avventura di The Social Network quello vero, è cioè Facebook, ma prendono l’avvio anche le diffide e le note vicende giudiziarie che trascinano il vulcanico programmatore in contenziosi legali che comporteranno l’esborso, da parte della neonata società TheFacebook, di circa sessanta milioni di dollari.

Il resto probabilmente lo sapete già: per entrare in Facebook bisognerà inserire nome e password, fornire una mail e caricare il proprio profilo, inserendo date, attività, gusti, preferenze sessuali e foto. Poi si potrà partire in un viaggio di contatti sociali nella piazza virtuale più grande del mondo, nella quale l’unico limite è costituito dalla richiesta di amicizia che dovrà essere accettata dai contatti desiderati.

«Si sta espandendo!». Secondo Chris Hughes, «le persone passano circa 19 minuti al giorno su Facebook». Giudicate voi se ciò è vero. Certo è che i giovani di tutto il mondo continuano ad usarlo per tenere i contatti con i veri amici e conoscerne di nuovi. La realtà virtuale per loro è solo l’antipasto dell’unica realtà che conta: quella dell’universo circoscritto ed esclusivo del mondo reale. Per i meno giovani, invece, probabilmente la realtà virtuale di Facebook è un surrogato della vecchia piazza di paese: un luogo nel quale scendere per incontrare persone vere, con idee, sofferenze, passioni, turbamenti e speranze da condividere, seppure costretti nei limiti dello spazio e del tempo che le vite preordinate e compresse possono consentire.

Vite di uomini e donne, adulti e ragazzi, scandite dal tocco di un click con il quale, in un attimo e senza tanti giri di parole, si possono incrociare gusti e tendenze dicendo semplicemente: Mi piace. Al punto che, probabilmente, Facebook sta mutando la sua mission, virando da trovate chi cercate a cosa realmente cercate.

Sono sfumature, piccoli dettagli, talvolta intuizioni sulle necessità, sui gusti o sulle debolezze della società. Niente è veramente indispensabile. L’umanità ha sopravvissuto per un tempo incalcolabile senza Facebook e chissà per quanto tempo ancora avrebbe potuto farlo? Ma un giorno è venuto un ragazzotto che ha intuito per primo cosa realmente potesse attrarre gli studenti dell’università di Harvard. Probabilmente si sarà chiesto: cosa o chi piace?

Una volta una ragazza disse a Mark Zuckerberg: «Probabilmente diventerai un vero mago dei computer, ma passerai la vita a pensare che non piaci alle ragazze perché sei un nerd. Invece, non piacerai perché sei un grande stronzo». Ma lei lo conosceva di presenza.

Un giorno lui rispose all’avvocato che difendeva gli interessi dei gemelli Winklevoss: «Lei ha una parte della mia attenzione: il quantitativo minimo. Il resto della mia attenzione è rivolto ai miei uffici di Facebook, dove io e i miei collaboratori facciamo cose che nessuno in questa stanza, incluso i suoi clienti, è intellettualmente e creativamente capace di fare».

 

Facebook è solo un passatempo? Questo è un film, guardatelo. Il giudizio sulla storia del più grande successo planetario degli ultimi vent’anni lasciamolo agli scienziati della comunicazione. Chissà se a loro Facebook piace?

 

 

 

 

 

 

Si ringrazia per l’editing M. Laura Villani

 

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4 Replies to “The social network Facebook, storia di un successo planetario”

  1. Cara Clessidra, io invece di Zuckerberg e soci (ma anche del mondo dei nerd) non sapevo quasi nulla. Il film, in questo senso, mi ha aiutato a comprendere almeno un po’.
    Però, in effetti, hai ragione: la vita di questi geni che stanno dietro ai computer è fatta di solitudine. E’ molto significativa la scena introduttiva nella quale Mark, al pub con la sua ragazza, dichiara di aspirare ad entrare nel mondo dorato dei club universitari a lui precluso. Da lì e dalla sua conseguente esigenza di entrare in un giro di gente “di successo”, nasce l’idea di fare qualcosa di nuovo sulla rete: il bisogno di essere noto, dunque, come per tutti.
    Poi, però, subentra la sua vera indole. Quella cioè del ragazzo solitario e introverso che dialoga solo con le tastiere e che “sotto sotto” crede ancora di essere inferiore agli altri. Tanto da necessitare di inserire la sua qualifica di CEO nel biglietto da visita della società, che non intende vendere ma piuttosto dirigere personalmente. Il tutto condito con un’abbondante dose di cinismo.
    Ti ringrazio per il tuo puntuale commento. A presto.

  2. Ho visto da poco il film, mi ha completamente catturato, era da tempo che non dormivo al cinema! Le considerazioni sul fenomeno Facebook sono già state fatte e quindi non mi ripeto. A me il pensiero che viene è soprattutto che il prezzo da pagare per riuscire a creare qualcosa di così enorme è una solitudine incredibile… o forse parlo così perché osservo il mondo dei nerd da fuori e forse per loro va bene così! Anche se il vero Mark Zuckerberg sembra più sorrdiente dell’attore che lo interpreta, comunque bravissimo!
    Ciao!

  3. Cara Annalisa, in effetti è proprio così:
    Zygmunt Bauman, sociologo di chiara fama che ha studiato a lungo gli effetti della globalizzazione, divide le categorie degli uomini, che si confrontano con questo nuovo e travolgente fenomeno, in ricchi e poveri.
    Secondo Bauman, i ricchi si muovono più facilmente sui due versanti “virtuale” e “reale”. Infatti, per loro il mondo è facilmente percorribile, vivono nel “tempo” e lo “spazio” rappresenta solo una connotazione del presente, in quanto ogni distanza può facilmente essere colmata.
    I poveri, invece, vivono nello “spazio” e il mondo virtuale, per coloro le cui vite sono contrassegnate dal “tempo” del cartellino e della fabbrica, rappresenta solo un’esperienza limitata, superata la quale la vita quotidiana riprende il sopravvento sulle esigenze del virtuale.
    Ora, io ho intravisto in facebook la stessa caratteristica e direi che i giovani lo usano come base di partenza per le loro esplorazioni nel mondo del reale (che per ovvie esigenze economiche è limitato nello spazio geografico delle loro città).
    I meno giovani, invece, le cui vite sono spesso compresse da esigenze reali, spesso legate al lavoro, utilizzano il mondo del virtuale come momento di aggregazione temporanea e provvisoria.
    In questo credo che ci sia un’analogia con quello che succedeva nelle vecchie piazze dei paesi: si scendeva e si commentavano i fatti (lì con persone reali, come del resto lo sono anche quelle incontrate nella rete ), senza che ci fosse una programmazione.
    Così si spiega anche perché molte persone inarrivabili (vip o altro) concedano facilmente la loro amicizia a perfetti sconosciuti in facebook, mentre non si sognerebbero mai di farlo nello stabile nel quale vivono.
    Ti ringrazio per avermi dato la possibiltà di commentare questo aspetto che avevo soltanto potuto abbozzare nella recensione.
    Un caro saluto.

  4. Molto interessante,in pratica lo spunto che mi ha colpito maggiormente è il seguente:

    «Si sta espandendo!». Secondo Chris Hughes, «le persone passano circa 19 minuti al giorno su Facebook». Giudicate voi se ciò è vero. Certo è che i giovani di tutto il mondo continuano ad usarlo per tenere i contatti con i veri amici e conoscerne di nuovi. La realtà virtuale per loro è solo l’antipasto dell’unica realtà che conta: quella dell’universo circoscritto ed esclusivo del mondo reale. Per i meno giovani, invece, probabilmente la realtà virtuale di Facebook è un surrogato della vecchia piazza di paese: un luogo nel quale scendere per incontrare persone vere, con idee, sofferenze, passioni, turbamenti e speranze da condividere, seppure costretti nei limiti dello spazio e del tempo che le vite preordinate e compresse possono consentire.

    che definisce la diversa ottica con cui grandi e piccini si rivolgono al virtuale. MOLTO VERITIERO!!!

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