Un film visto tanti anni fa: Sciopén di Luciano Odorisio

Febbraio 1983, sono a Torino, è il periodo dei giri d’Italia a fare corsi di formazione. Quando racconto di quegli anni ad amici la risposta corale è: “beato te che hai girato l’Italia, ti sei divertito, quanto ti invidio.”

Beh, a questi invidiosi farei passare 19 settimane e mezzo a Torino a insegnare ad annoiati nuovi assunti come si liquida una pensione in convenzione internazionale.

Il corso finisce alle 14,30 e quindi si pone il problema di come far passare il resto del tempo fino a sera.

Il pranzo alla tavola calda di Piazza Carlo Felice dura al massimo una mezz’ora…

E poi?

In dieci giorni ho visitato tutto quello che c’è da vedere a Torino.

Il problema è come far passare il sabato e la domenica.

Napoli è troppo lontana per fare su e giù ogni settimana.

E allora passo vuoti pomeriggi nella stanza dell’Albergo Roma guardando il soffitto chiazzato di umidità e leggendo e rileggendo tutto il leggibile; ciondolo nella hall dell’albergo a chiacchierare con il portiere; gironzolo nelle salette del circolo del Dopolavoro dove vecchi pensionati giocano lunghissime e pallosissime partite di canasta.

L’unica salvezza è andare al cinema e per fortuna in quel periodo ne uscirono di film memorabili!

Qualcuno come “C’era una volta in America” è rimasto tale.

Ma voglio parlare di un film che è stato forse dimenticato: Sciopèn di Luciano Odorisio.

Premiato al Festival di Venezia con il Leone d’Oro come miglior opera prima.

Da quel che so non è mai passato in TV, eppure merita di essere rivisto.

Riporto la trama tratta dal Cine Data Base di www.cinematografo.it

Nella piccola città di Chieti si sparge la voce che si sta per organizzare una banda musicale di 120 elementi, che raggiungerà sicura fama internazionale. Il candidato alla direzione della prestigiosa banda non può che essere il locale maestro di musica, Francesco Maria Vitale. Sua moglie Marta lo spinge a tentare e, più decisa e ambiziosa del marito, per fargli avere il posto, accetta la corte di un capoccia locale. Tutto sembra ormai concluso. Ma ecco che Nicolino, una delle più cattive malelingue di Chieti, diffonde la voce che il direttore della grandiosa banda musicale potrebbe essere soltanto Andrea Serano, amico del maestro Vitale, nato e cresciuto a Chieti, ma attualmente a Milano impegnato nella registrazione di colonne sonore televisive. Qualche giorno dopo qualcuno telefona ad Andrea per avvertirlo della grandiosa iniziativa e il musicista accorre per mettersi in gioco contro l’amico di sempre. Ma, a poco a poco, sotto la prestigiosa proposta culturale, appare il gioco politico. Chi guida tutto è un avvocato intrigante e faccendiere, tanto stupido quanto presuntuoso, soprannominato Sciopèn, perché da giovane aveva fatto credere sua una composizione di Chopin e così si era guadagnato il nomignolo. Nel sottosuolo del potere e degli intrighi politici del sonnolente mondo chietino Sciopèn fa il bello e il cattivo tempo. Così, quando perde interesse politico, la banda di fama mondiale sfuma nel nulla. Francesco ritorna insoddisfatto nell’oblio della sua grigia vita provinciale e Andrea riprende il treno per Milano: ritorna al suo lavoro ben remunerato ma anch’egli è un uomo fondamentalmente insoddisfatto.


Lo ricordo ancora e di recente l’ho rivisto a spezzoni su Youtube.

Condivido appieno ciò che scrisse a suo tempo Giovanni Grazzini: “Soltanto per obbligo cinefiliaco ‘Sciopen’ fa venire in mente ‘I vitelloni’. Semmai più vicino a Gogol e a Cechov, il film è fra quanto di meglio si è detto, dopo Germi (ma con maggior compattezza d’ispirazione), sull’Italia minore, spesa in chiacchiere velleitarie e in intrighi meschini”.

Ma ciò che rende indimenticabile Sciopèn è l’interpretazione dei vari personaggi, non solo i protagonisti, ma anche quella dei personaggi di contorno e di questo va dato merito al regista.

Tra tutti mi piace citare: Michele Placido che tratteggia magnificamente il nevrotico Francesco Maria Vitale, Adalberto Maria Merli, un dolente ed insieme divertito Andrea Serrano, la solare Giuliana De Sio, una Marta Vitale sensuale e piccolo borghese, Tino Schirinzi, un repellente e fastidioso Nicolino vero e proprio Jago di provincia ed infine Lino Troisi, un cialtrone avvocato D’Angelo antesignano dei politici di tangentopoli.

Suggestiva la colonna sonora: si va da New New York con il panorama piovoso di Chieti, al Coro del Miserere di Allegri a Prisencolinelciusol di Celentano, con divertenti inserti delle canzoncine dei cartoni animati e della disco music.

La battuta finale poi resta impressa: “abbiamo quarant’anni, è il momento nostro”

Allora mi sembrò una luce di speranza.

Oggi non so se il mio momento sia mai arrivato.

Scena finale

Ringrazio per l’editing Maria Laura Villani

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