La vertigine del vivere: il ragazzo che non sapeva amare

 
paolo e francesca

«Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende. 

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense.»
Queste parole da lor ci fuor porte.


 (Dante Alighieri, Inferno V, 100-108)

 

 

 

Brutta storia essere sorpresi in fallo, e pagare fino alle estreme conseguenze una Passione proibita.
Ma se accade…

Quella di Paolo e Francesca è la storia di un Amore reale e vissuto, che ha legato i destini di due esseri per sempre. C’è da augurarsi non di finire come loro, ma di essere del pari fortunati. Ovvero innamorarsi.

Pensando a loro, ho attraversato una storia di tutt’altro respiro, forse però non meno amara.

 


Il ragazzo che non sapeva amare

 

Michael Gordon, alias Michael Elsewhere, il protagonista di Vertigine.
Daniel Mayerling, il protagonista di Storia di Igwald.
Vicini per età e per epoca; anime tormentate sul sentiero di un’esistenza volutamente abbreviata.

Michael, come Daniel. Accomunati da un ‘non’.
Daniel, il ragazzo che non voleva vivere. Michael, il ragazzo che non sapeva amare.

 

L’Amore può diventare una Gabbia, quando si tenta inutilmente di tenere in vita l’illusione che esista ancora, o quando non c’è mai stato e si è spacciato per tale. Può capitare. Non lo si fa in cattiva fede, semplicemente avviene, così come avviene di sbagliarsi per immaturità e inesperienza. Si danno a volte nomi roboanti a sentimenti che sono assai più tenui e semplici. Spesso è l’istinto stesso a confonderci al principio, poi a salvarci, a tirarci fuori dal marasma, sempre che lo si voglia veramente. Un’arma formidabile, quando non intervenga la ragione a deturparne la carica ancestrale. L’Amore razionale non può esistere, non avrebbe senso. Ha senso in una società distorta, un Sistema di apparenze e convenienze. Lì non è più neanche Amore, solo egoistica tutela di se stessi.

 

“T’amerò per sempre”, pensa con ingenuità l’adolescente. Lo pensa e lo mette in scena con entusiasmo, salvo poi accorgersi delle trappole/illusioni che quello stesso sentimento ha seminato per la via, perché si inciampa a più riprese su castelli di sabbia. “Sempre” diventa così “mai più” nel breve volgere di qualche anno. Disillusione e speranza si alternano allora su una strada che ha già mostrato alcuni lati oscuri. Ma la vertigine e la paura di cadere non impediscono, laddove l’istinto nuovamente s’infiammi, di rituffarsi ancora una volta a capofitto nella vertigine dell’Altro.

 

Michael Gordon, giovane rampollo di una famiglia ricca e snob, prova a reggersi sulle proprie gambe, a uscire da uno schema di passività e di sudditanza ad ideali falsi e luccicanti, ma affida la propria crescita e rinascita a un altro essere, bloccando, alla prima difficoltà (per quanto traumatica) la spinta propulsiva verso un cambiamento che per esserci – e naturalmente radicare – deve partire dall’interno, dalle (anche se poche) forze personali.

Emma sembra essere la persona giusta. Forse non lo è, ma a lei è affidata la bandiera del cambiamento. Una bandiera che cade alla prima raffica di vento. Spazzata via, da un’auto. Evertigine quel che resta per Michael, così com’era stato in precedenza, è solo un perenne senso di vertigine.

A nulla valgono i tentativi di venirne fuori, le sue inconcludenti peregrinazioni. Michael si ostina in ogni modo a vivere accanto ad un fantasma che prende corpo giorno dopo giorno ad opera della sua mente ottenebrata, con l’unico risvolto positivo dell’incrocio inaspettato con un amico sincero, il coetaneo Amal, vittima al pari di Michael di un’ingiustizia che trasforma il suo intero corso d’esistenza.

L’uno ce la fa a ridare la giusta dimensione al proprio vissuto ed ai ricordi, evitando che questi si trasformino in vetri taglienti su cui continuamente ferirsi; l’altro soccombe, non per il peso di un passato che non può più riproporsi, ma per l’intrinseca mancanza di fiducia in se stesso e di speranza nelle proprie possibilità. Preferisce il baratro, spiazzante e affascinante al tempo stesso, quello che gli consente il volo, non già verso la libertà dalla Paura, ma verso la totale sottomissione ad essa. Perché chi ha Paura non sarà mai libero o felice.

Non si vive solo in certi momenti per poi trascorrere l’intera esistenza a rimembrarli, bensì in ogni singolo respiro, finché c’è fiato in corpo. È assai più facile però aggrapparsi all’alibi della perduta felicità per sottrarsi alla vertigine che prende acutamente davanti alla possibilità di vivere realmente e appieno ciò che l’esistenza ancora ci riserva. Una lezione che dovremmo imparare per tempo, lasciandoci più spesso andare, vivere, amare.
Come Paolo e la sua Francesca.

 

 

PS
Pur col punto interrogativo su ciò che Michael avrebbe potuto ancora fare e vivere, confidiamo invece che la giovane Martina Ruma, autrice del romanzo su citato, affidi le sue prossime fatiche letterarie a personale esperto: la sua prima entrata in campo avrebbe tratto sicuro giovamento da un editing accurato.

 

 

Martina Ruma, Vertigine, Lettere Animate, 2014

Gamy Moore
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