La vita in un clic

La morte altrui ti sorprende, a volte, quando meno te lo aspetti, e non ci arrivi mai preparato, anche se l’hai messa in conto. Colpisce in faccia, o alle spalle. Secca, severa.

All’inizio non capisci, resti come inebetito, tutto gira intorno vorticosamente o al contrario si ferma lasciandoti sospeso.

Quando pensi di aver superato lo shock, e ti riaffacci timidamente alla quotidianità, allora la morte ti aggredisce ancora, mostrandoti che la vita è inevitabilmente cambiata, non sarà più la stessa.

Almeno se colui/colei che se n’è andato è stato una creatura speciale.

E vengon fuori le lacrime, quelle che per pudore, o per necessità, hai trattenuto, a volte a stento.

 

Caos calmo non è un film facile, non è lo stato per gli attori (in particolare per Moretti e la Ferrari, specie nelle scene di contatto e di sesso), non lo è stato per il regista.

Non è facile esteriorizzare ciò che avviene nella testa di una persona, non è facile esternare la complessità emotiva legata all’elaborazione di un lutto.

Ma anche allo spettatore viene chiesto uno sforzo di comprensione.

Segui la trama, che è piuttosto lineare, pensi di aver capito, afferrato la sostanza.
Col tempo ti accorgi che forse non è così, che è possibile una visione opposta a quella inizialmente percepita. Come in un palindromo, entri ed esci dal film, lo ripercorri in un verso e nell’altro, ed è come indossare un vestito double face, le due modalità non fanno una piega, ma possono essere molto diverse tra loro. Resta infatti la sensazione che qualcosa non torni, che i conti non tornino.

 

Il puzzle

Pietro Paladini salva la vita – una giornata d’estate – ad una sconosciuta (suo fratello insieme a lui ne salva un’altra).
Tornato a casa, Pietro si trova davanti a una tragedia inaspettata.

Sua moglie Lara è morta, mentre si trovava in villa con la loro bambina di dieci anni.

All’apparenza, Pietro vuole proteggere soprattutto sua figlia dal trauma, ma è sconcertato dalla velocità con cui la situazione si è determinata. Assume naturalmente un atteggiamento distaccato, in realtà entra in una forma paranoica, ossessiva, tuttavia comprensibile.

Resta in attesa: la vita intorno prosegue, mentre Pietro si siede su una panchina, non per perdere, ma per darsi, tempo. Viene coinvolto suo malgrado in cose per le quali in quel momento non prova alcun interesse.

Egli non spiega, mostra ciò che fa; per certi versi rifugge dal ragionamento ricorrendo a comportamenti (quasi animaleschi) di difesa.
Si crea una tana (l’auto), e lo spazio esterno diviene il giardinetto della scuola di sua figlia.
Come un animale ferito, per mesi non fa altro che sopravvivere.

Lo vedi di volta in volta distratto, assente, assorto nei suoi pensieri, attaccato a dei brandelli di efficienza e di memoria – i famigerati elenchi di cose, case, compagnie aeree con cui ha viaggiato.

Intorno a lui le persone più strette si meravigliano alquanto del suo dolore composto, quasi non visibile, del fatto che lui non si lasci andare al pianto, alla disperazione; sembra strana perfino l’assenza di sensi di colpa.

Pietro non dà ascolto alla cognata Marta che gli racconta dell’infelicità della sorella, del fatto che era ricorsa perfino a una maga, perché non si sentiva amata.
Si concentra sulla figlia, sul desiderio che non soffra, che superi questo difficile momento.

Finché la bambina, passati alcuni mesi, gli chiede come regalo di Natale di tornare a fare quello che fanno tutti i papà, andare a lavorare, come prima, perché i compagni la sfottono.
E Pietro esegue.

Ma nel frattempo c’è stato, ad Halloween, a poche settimane dal lutto, un fuori programma, una serata di sesso con la donna che ha salvato mentre sua moglie moriva.

Una forma personale di lutto, e un modo personale di riprendersi, comprensibile o meno, accettabile o no.
In realtà quel passaggio è la chiave di volta, quella che fa scricchiolare il meccanismo, quella che innesta la visione double face.

 

Si deve reagire al dolore, alla perdita, perché la vita deve continuare, non c’è dubbio.
Ma quale vita deve continuare?

Se ami veramente una persona è così facile andare avanti, puoi fare sesso senza problemi con una sconosciuta, cambiare lavoro, comprare una nuova casa al mare, sentirti a posto, riprendendo la routine?

Dov’è finita Lara?

Prima ancora di scomparire sembra in realtà non esserci mai stata.
È l’unica persona che sembra non avere spazio, presenza, ricordo nella mente di Pietro.
È entrata e uscita senza lasciare tracce, e non perché non ce ne fossero, più perché lui non ne era interessato.

Sua moglie scambiava email con uno che scriveva favole, ma al momento di decidere se leggere questa corrispondenza privata, Pietro cancella il materiale (lo cestina).
Eppure sua cognata gli ha instillato dei dubbi.

Senza problemi invece fa sesso con una sconosciuta.
È un rapporto senza implicazioni, episodico, non stressante, che va o non va, e se non va si può sempre invocare il trauma subito…

Un impegnarsi molto poco.

Basta un clic per cancellare quello che forse non si vuole vedere e conoscere, basta una proposta prestigiosa di lavoro per comprare magari un’altra casa al mare, e disfarsi di quella vecchia, dei brutti ricordi che contiene, che valgono meno di una caldaia che non funziona.

Questo dipingerebbe un quadro diverso di Pietro. E di altri, come lui.

Tanta gente vive così, con una persona accanto che in fondo non si conosce, o non si ha il desiderio di conoscere, che sembra essere quasi un soprammobile, e quando viene a mancare lascia sì un vuoto, ma non incolmabile, non irreversibile.

Perché si deve continuare a vivere, bisogna farsi una ragione, e la morte fa parte della vita.

Ma che tristezza sapere o capire di non essere poi così unici, indispensabili, in ultima istanza insostituibili, almeno per la persona amata.

Forse quello di Pietro non era Amore, era solo presenza, abitudine, routine, fatto scontato, e in quanto tale una sorta di affetto scolorito o privo del tutto di colorazione.

 

Tanta gente vive così, e vive bene, o almeno così crede.
Un tirare avanti la carretta, né più né meno.

Pietro non è anaffettivo, è perfino altruista, ma è una persona normale, con una vita normale, e vuole rimanere nella norma. La norma lo difende e lo protegge, vuole essere consumatore, non consumato dagli eventi.

Un ruolo che Moretti interpreta fin troppo bene, disincantato forse dalle vicende personali o da quelle più grandi del Paese, rispetto alle quali non ha la forza, la volontà o possibilità di lottare più di tanto.

Pietro sembra piangere più per se stesso (come a dimostrare a se stesso che non è un mostro, che anche lui sa piangere, soprattutto in una circostanza come quella), ma è quasi una dimostrazione di dolore, perché un rapporto autentico di coppia sembra non esserci mai stato.

Lei resta una moglie, non la persona amata.

Lui si accorge sulla panchina delle piccole cose, piccoli gesti, che fino ad allora non aveva forse mai notato. Ma è un prestare occhio e orecchio abbastanza in superficie, è sufficiente un clic col telecomando dell’auto per ricevere il sorriso di un ragazzino, per stabilire dei contatti con le persone che incontra, senza sforzo.

La morte lo ha cambiato? O in fondo rimarrà lo stesso, nonostante tutto?

Solo andando oltre la cortina della superficialità dei rapporti che ha sempre avuto (perfino suo fratello gli rimprovera di esser/gli mancato), Pietro potrà aspirare a una nuova vita più ricca, magari meno normale.

 

Già mi immagino Moretti, con quel suo tono un po’ seccato che lo rende unico: “Ma tu che ne sai?”

Pietro è andato via con la sua auto. Ci toccherà aspettare.


httpv://www.youtube.com/watch?v=1owTf8TLPUk


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Caos calmo, Italia, 2008, regia di Antonello Grimaldi

Gamy Moore
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