Meno male che Lola c’è

Gemello diverso, ‘eterozigote’, del più conosciuto Sliding Doors, di poco precedente, questo mega, adrenalico videoclip è un’abbuffata sensoriale che testimonia una legge non scritta, ma da tutti applicata, nel settore cinematografico, vale a dire se un’idea è buona va spolpata fino all’osso, non si butta via niente. E qui, parola di sceneggiatore, si è creato un buon minestrone, condito coi sapori dell’epoca, gli anni ’90 ormai tendenti al volgere, ma pregni di tutte le novità e sonorità che sarebbero diventate di lì a poco il nuovo punto di partenza.

Come non notare, e non rimpiangere a volte, le vecchie cabine telefoniche, le schede, i telefoni di casa col filo che si attorcigliava, precedenti all’invasione dei cellulari (peraltro già presenti in Sliding Doors).

Come non sentire risuonare atmosfere, modi di agire e di sentire alla Trainspotting, tagli e colorazioni esistenziali e non solo di capelli, e un universo di possibilità oltre la logica del bianco e nero.

Niente bravi ragazzi, quelli un po’ emotivamente incasinati forse, ma in fondo nella norma, che si ritrovano nella favola romantica londinese alle prese con le porte aperte o chiuse della metro, che in qualche modo orientano il destino.

In Lola corre il destino è legato a una performance di testa e di gambe, una roba da guinness dei primati (e dei Primati).

Venti fottutissimi minuti, un’inezia se si pensa che Lola deve rimediare di punto in bianco centomila marchi per evitare al suo ragazzo Manni una brutta fine. Perché quando entri nel giro sbagliato sei in un girone dell’inferno se sgarri, e non c’è nessun santo che ti aiuti.

Meno male che Lola c’è, verrebbe di gridare alla fine del film, quando hai assistito per ben 3 volte a questa assurda lotta contro il tempo, che si conclude con un finale tecnico a cui ti aggrappi perché è l’unico che davvero vorresti, partita com’è l’azione coi peggiori presupposti.

Lo sdoppiamento, o meglio, la divisione in tre linee narrative sullo stesso percorso, si attua dopo la scena del ferimento di Lola nel luogo dell’appuntamento con Manni, nel momento in cui, cioè, morente, esprime la volontà di sottrarsi a quel destino irreversibile riavviando l’azione con una sorta di rewind, perché una banale dilazione dei tempi può portare a un esito diverso.

E di fatto è ciò che avviene, esattamente come in un videogame.

Nella versione 1, Lola corre dal padre, pezzo grosso di una banca, lo sorprende con l’amante, gli chiede un aiuto che non riceve; il padre, già contrariato di suo, la rinnega, le rivela bruscamente di non essere sua figlia e la caccia in malo modo. Non le resta che raggiungere Manni nel luogo dell’appuntamento, davanti a un supermercato in cui porteranno a termine una rapina, per essere infine braccati dalla polizia. Partito per sbaglio un colpo, Lola viene colpita e resta agonizzante.

Cosa sarebbe accaduto se solo si fosse andati una frazione di tempo più avanti?
Se si fosse tardato un po’ a quell’appuntamento con la morte?

Lo spiega la sequenza 2, in cui lo stesso tragitto comporta una serie di lievi, ma significative differenze. Lola esce di casa, cade per le scale ma prosegue imperterrita la sua corsa per raggiungere Manni. Arrivata in banca dal padre lo scopre con l’amante, litigano e lei sfascia un po’ di cose, sembra sul punto di andar via poi torna sui suoi passi, ruba la pistola alla guardia giurata e minaccia il padre, dal quale ottiene il denaro; quindi raggiunge Manni, il quale viene investito da un furgone e sta a sua volta per morire.
Si è andati troppo oltre, è necessario tornare indietro quel tanto che basta, non può finire così.

 

Nella versione 3, si rifà tutto da capo, magari stavolta la ciambella viene fuori col buco.

E in effetti va tutto bene, anche troppo. Ci rimette le penne il padre, col quale Lola non riesce ad incontrarsi, ma Manni recupera da sé la sacca coi soldi persi originariamente per una stupida distrazione, ragione per cui si trovava in un casino. E un casinò (ma guarda!) segna la fortuna di Lola che punta i suoi pochi spiccioli sul 20 nero e vince una somma che avrebbe coperto ogni debito di Manni.

Quella che era partita come una giornata sfigatissima si tramuta d’incanto nel giorno più fortunato (padre a parte) che ci si potesse aspettare.

Capita mai nella vita?

Sì, se uno nasce coi pantaloni della misura giusta, se cioè ti calzano a pennello soprattutto nella parte posteriore, che guardando bene Lola (Franka Potente) non si può non giudicare all’altezza della situazione…

È la vita, si vive sempre più di corsa, vivi con degli estranei accanto anche quando ritieni di conoscerli, il tempo cambia le cose e le persone, non si può arrestare il suo fluire, il suo continuo modificare.

Un secondo in più o in meno muta la nostra sfiga in fortuna, la casualità in destino, e davvero poche sono le cose su cui puoi scommettere.

L’unica certezza è che il pallone è rotondo e il gioco dura 90 minuti.

 

Restano alcuni dubbi, sottigliezze… ma vuoi mettere, avevano dubbi esistenziali i ragazzi degli anni ’90 del film, non dovremmo averli noi, maturi esponenti del nuovo millennio, incapaci di reggere anche solo 10 secondi di corsa a perdifiato senza cadere stramazzati al suolo?

 

httpv://www.youtube.com/watch?v=_9BcMsi3LhE

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Lola corre, Germania, 1998, regia di Tom Tykwer

Gamy Moore
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