Soddisfatti o rimborsati, anche questa è satisfaction

Correva il 1997, annata feconda e densa di lusinghieri successi al botteghino per la filmografia di Sua Maestà che, se arricciato il naso per Trainspotting, andava perlomeno più preparata alla seconda prova da grande attore di Robert Carlyle.

Qui sua Maestà a fatica doveva trattenersi dallo sbirciare i poco regali forse, ma non fuori luogo, lati B del gruppo di squattrinati organizzati che, per onorare i debiti contratti per la mancanza di lavoro nell’area urbana di Sheffield (un tempo fiore all’occhiello della produzione di acciaio) non trovano altra soluzione che immortalarsi in una esibizione dal vivo davanti a una platea di astanti, e non solo donne, assatanati.

A onor del vero, la scena cult della pellicola in questione, frutto di una feconda collaborazione fra cineasti britannici e un lungimirante finanziatore italiano, è piuttosto quella dell’ufficio di collocamento, nella quale i 6 baldi giovani accennano ritmicamente dei passi di danza mentre sono ordinatamente in fila.

Ma andiamo anche noi con ordine.

 

Gaz e il suo amico Dave, l’uno magro l’altro cicciotello, si ritrovano a spasso, benché intenzionati a non rimanere con le mani in mano. Alcuni lavoretti non fanno decisamente per loro, e per poco non si cacciano in seri guai.

Gaz ha un figlio, Nat, cui tiene molto, ma al quale non può concedere il benché minimo lusso, a differenza di quanto fanno per lui la madre naturale e il suo nuovo compagno (che non perdono occasione per mettere Gaz in difficoltà agli occhi del ragazzino).
Dapprincipio anche Nat mostra un atteggiamento incostante nei confronti del padre, tuttavia ne percepisce l’affetto e forse anche le difficoltà.

Serve rapidamente un modo per evitare che Gaz perda la possibilità di incontrare suo figlio, un affido condiviso significa infatti partecipare alle spese di mantenimento, e Gaz ha un arretrato di ben 700 sterline.

In città impazza la moda dello strip dedicato, e le donne sono ben liete di spendere alcune sterline per solleticarsi lo spirito davanti ad una mostra di bicipiti e addominali scolpiti.

Alla folgorazione che infiamma Gaz si oppone presto il pragmatismo disilluso di Mark: trattasi di mission impossible, è matematico rimediare una clamorosa figuraccia, considerati con severa onestà i limiti di partenza.

Nonostante i dubbi l’operazione procede, vengono ‘assunti’ altri 4 disperati in astinenza da occupazione (ciascuno con le sue problematiche psicologiche e familiari che maldispongono verso l’impresa) indotti comunque a continuare, dal momento che peggio di come stanno è difficile immaginare.

La cosa si fa via via più seria, finché sparsa la voce, ci si prepara alla prima ed unica esibizione a ‘servizio completo’, vale a dire con strip integrale che li lasci come mamma li ha fatti negli occhi eccitati del pubblico.

All’ultimo momento, prima di entrare in scena, è proprio a Gaz a mancare il coraggio, ma l’intervento deciso di Dave e soprattutto di Nat, che incita suo padre ad andare fino in fondo, assicurano la perfetta, comunque ‘completa’ riuscita dell’evento, tra la soddisfazione di tutti.

 

Commedia amara ma brillante, un sapiente miscuglio di passi di danza e dialoghi efficaci, senza mai scadere nella volgarità nonostante l’argomento e le pose, questo cult degli anni ’90 resta sempre godibile, fa commuovere e riflettere, mantenendo il ritmo come poche lezioni di cinema sanno fare.

E sono certa che perfino Calvino di Lezioni Americane avrebbe approvato.

 

 

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The Full Monty, Gran Bretagna, 1997, regia di Peter Cattaneo

Gamy Moore
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