Quando ero un extracomunitario

Era il mese di luglio del 1970, vinco il concorso all’INPS ed emigro a Trento, senza valigia di cartone.

Dopo tre mesi trovo casa abbastanza facilmente, grazie ai buoni uffici delle antiche amicizie ferroviarie di Don Peppino (papà).

E nel frattempo mi sposo.

La vita di una coppia giovane di napoletani a Trento in quegli anni è abbastanza difficile: è una città che più chiusa non si può ma cerchiamo di integrarci.
C’è una regola essenziale: quando arrivi in una tribù nuova e devi, per forza, inserirti in essa, cerca di assumere ed accettare i loro modelli culturali, le loro abitudini, in caso contrario resti isolato, diventi un disadattato.
E dopo qualche mese ci rendiamo conto che le cose stanno proprio così.
Siamo considerati “napoletani” nell’accezione più negativa del termine.

Piccoli segnali, ma molto indicativi.
Nel condominio nessuno risponde più al saluto.
Davanti al garage c’è sempre qualche macchina che ostruisce il passaggio.
I negozianti si rivolgono a mia moglie in dialetto stretto.
L’amministratore del Condominio chiede informazioni al proprietario, se sono persona affidabile. 

Intanto nasce mia figlia a Trento.
Forse troppo presto, ma sicuramente troppo a nord.
La notte non dorme e non ci fa dormire.

Di giorno il lavoro mi pesa.
Ma forse più che le ore di sonno perse è la disaffezione al lavoro e all’ambiente.

Di già, qualcuno potrebbe dire, ma se hai appena iniziato!
Ma quello che è peggio, “il boicottaggio” nel condominio continua.

 Solo per dirne una: lamentele presso l’amministratore per i pianti notturni di mia figlia!
Beh, i figli dei terroni sono molto rumorosi.

Mi offrono un incarico più importante a Bolzano ed allora accetto il trasferimento.

Non può essere peggio.

E poi mi libererò dell’oppressione dell’amministratore, dell’intolleranza di qualche vecchio bacucco trentino che non sopporta il pianto di mia figlia, dei negozianti che parlano solo il dialetto.

A Bolzano parlano il tedesco, ma conoscono anche l’italiano.

Il lavoro a Bolzano inizia subito, vuol dire che farò il pendolare Trento– Bolzano tutti i giorni.

Cosa vuoi che sia! Sono solo 50 chilometri.

E poi tempo un mesetto e trovo casa.

Consulto l’elenco telefonico. Una mezza dozzina di agenzie, tutte con nomi tedeschi.

“Ma cosa vai a pensare? Si vede che il mercato immobiliare è nelle mani del gruppo etnico tedesco. Si sa che gli italiani sono nella pubblica amministrazione. E poi sono di bella presenza, di livello culturale alto, parlo un corretto italiano con un leggero accento napoletano, non ho problemi economici. Cosa vuoi che sia a trovar casa!”

Contatto le agenzie, cortesissime impiegate si informano sulle mie esigenze, sulle mie referenze lavorative, sulla mia situazione familiare. Mi vengono mostrate le foto di almeno quattro appartamenti molto belli.

Tempo pochi giorni e vengo chiamato da una delle Agenzie. Un tale mi scarrozza in giro per la zona industriale e per le colline circostanti Bolzano e mi fa vedere: fatiscenti appartamenti con vista sulle Acciaierie (quelle della lametta super inox Bolzano), cadenti bicocche in tratturi di campagna impraticabili.


Cambio agenzia, ma la storia si ripete più o meno identica con tutte.
E intanto è passato un mese.

E continuo a “pendolarizzare” tra Trento e Bolzano (partenza ore 6,30 rientro ore 21.00 e la qualità della vita sta andandosene a donne di facili costumi).

Ma cosa vuoi che sia!

E poi con le agenzie è tutta una camorra.

Di offerte sui giornali di lingua italiana neanche a parlarne, su quello di lingua tedesca (non lo nomino per non fargli pubblicità) due pagine ogni giorno.

Ma ci rinuncio presto perché non appena al telefono sentono parlare italiano: riattaccano!!!


Sono trascorsi due mesi.

E mia figlia la vedo solo nei fine settimana e neanche tanto perché in quei due giorni dormo tantissimo per recuperare. Difatti quando esco dorme e quando rientro è egualmente addormentata.


Allora mi decido.

Contravvenendo ai miei principi etici mi avvalgo delle “conoscenze” lavorative.

Il mio capo, un vecchio triestino lungo lungo e con un vocione da baritono è ben felice di aiutarmi.

Muove le opportune pedine e dopo qualche giorno mi chiama in Direzione e mi fa: “C’è una possibilità. Parla con il proprietario e vedi se concludi. In città l’INPS ha numerosi appartamenti, ma non c’è nulla di libero. Ti prometto che il primo che si libera è il tuo. Devi pazientare”.

Fiducioso (com’è giusto che lo siano i giovani, avevo 27 anni all’epoca) vado all’appuntamento.

L’appartamento è in una bella zona, ha una bella vista, è libero.


Il proprietario, Herr Hans Unterhofer, un allampanato ed ossuto sessantenne dai capelli brizzolati tagliati a spazzola e dagli occhi grigio acciaio, mi fa: “So tutto di lei. Mi è stato riferito che non fa questione di prezzo, spero che non avrà difficoltà per alcune clausole aggiuntive al nostro contrattino. La prima è che l’appartamento è dato in fitto come se fosse ammobiliato; la seconda è la durata, 9 mesi rinnovabile di volta in volta; l’ultima è un pochino più personale. Lei ha una sola figlia, vero? Beh se dovesse nascere un altro figlio il contratto finisce! Ehhhh voi meridionali siete molto prolifici e il mio appartamento è per massimo tre persone”


La mia risposta?

Sono passati quasi  40 anni, ma la sua eco risuona ancora in quelle vallate…”ULO ULO ULO”


Come è finita? Feci il pendolare ancora per un anno.

Ma cosa vuoi che sia!!!

Finalmente ebbi in fitto un appartamento dell’INPS.

Si era finalmente liberato.

La precedente inquilina, una vecchia signora di 96 anni, era salita nel Wahalla …


Sì, la vecchia era TODESCA!!!


E questi territori sarebbero italiani per i quali sarebbero morti tra il 1915 ed 1918 milioni di uomini.

Rilessi in quegli anni Un anno sull’altopiano di Emilio Lussu anche perché uscì Uomini Contro di Francesco Rosi tratto dal romanzo.

La lettura del libro e la visione del film fanno comprendere al meglio quanto sia stupida la guerra e quanto, pur se vinta, ne siano inutili i risultati.

Checché ne dicano i tromboni patriottici delle terre irredente, la maggior parte degli abitanti si sentono stranieri in Italia e considerano chi viene dal sud un’orda selvaggia di invasori.

Già dal nome della provincia di Bolzano si comprende il substrato psicologico, non Alto Adige, ma Sud Tirolo.

 

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7 Replies to “Quando ero un extracomunitario”

  1. Per caso mi sono imbattuto nel tuo sito e sembra che

    dalle tue esperienze e vicissitudini tu abbia un baule culturale che vuoi far apprendere

    a tutti per non incappare in situazioni spiacevoli…

    per lo meno da quel poco che sono riuscito a comprendere mi è sembrato di intercettare

    attuale. in ogni modo complimenti ci sono tanti bei suggerimenti su cui fermarsi e manifestare.

  2. Purtroppo ho l’occasione di commentare queste parole dopo più di un anno dalla loro pubblicazione, ma da quanto ho letto come trentino e in parte anche come sudtirolese mi sento in dovere di replicare.

    Signor Abbate, io ho 30 anni e nel 70 non era ancora nato, convivo con un extracomunitaria sudamericana in Trentino proprio sul confine con l’Alto Adige, sono di madrelingua italiana, biascico il tedesco, parlo bene il dialetto della mia località, e data la storia del mio territorio non c’è da stupirsi, se come molti miei compaesani ho origini sia italiane che tedesche. Dico questo per farle capire che nonostante vi sia un’evidente differenza di età so molto bene di cosa parlo, e non mi piace per nulla l’idea del mio paese che traspare dalle sue parole, perché lo ritengo un punto di vista unilaterale, di chi non ha capito nulla della cultura e dalla gente con cui stava vivendo.

    Nel 70 quando lei viveva a Trento molta della gente con cui avrà parlato era nata ancora sotto il regno Austroungarico, certo parlava una lingua italiofona, ma la cultura e la mentalità erano improntate su uno stile di vita più simile a quello teutonico che a quello napoletano.

    Lei descrive la chiusura dei miei conterranei negli anni 70 con vari episodi, lasciando intendere che ora non è cambiato quasi nulla, io non posso certo controbattere le sue esperienze personali e non nego nemmeno che per molti la gente trentina è chiusa. E’ vero, il trentino non regala la sua fiducia al primo che si presenta con un bel portamento o sventola un titolo o uno status. La fiducia del trentino deve essere guadagnata, ma non per questo la mia gente è ostile. C’è differenza fra ostilità e indifferenza, essere chiusi significa “vivi e lasca vivere” non certo importunare il prossimo, se qualcuno le ha tormentato l’esistenza a livello condominiale posso immaginare che sia stato un singolo, se invece era tutto il condominio forse ha tralasciato di raccontare qualcosa.

    Non fatico a immaginare che a Trento molti si rivolgessero a lei e alla moglie in dialetto, consideri che pur essendo capoluogo di provincia è tutt’oggi una città abbastanza piccola e borghese, e comunque penso che fosse cosa comune in tutta Italia, non certo una nostra peculiarità. O in Campania nel settanta parlavano tutti l’italiano forbito con i forestieri?

    L’italiano era la lingua dello stato, delle autorità e di chi veniva dalle altre regioni, tutte persone che il trentino medio, per esperienza, preferiva evitare. Ma anche questa credo che non sia una peculiarità trentina, quando lo straniero pretende che sia il l’autoctono ad abituarsi a lui, in una terra in cui è ospite, rende solo più difficile la sua accettazione da parte della comunità. Molti forestieri vivono in Trentino, ma chi vuole integrarsi, impara a comprendere il dialetto anche dopo un mese.

    Se la può rasserenare comunque, ora a Trento la gente le si rivolgerà tranquillamente in italiano, dato che ormai in città a parte le persone di una certa età, nessuno parla più nemmeno il dialetto cittadino, si figuri quello stretto delle varie vallate.

    Riguardo ai cugini sudtirolesi invece, cosa poteva pretendere. Anche lei è a conoscenza dell’italianizzazione forzata che hanno subito, avrebbe dovuto anche pensare che pur non essendo arrivato in regione con una valigia di cartone, molti suoi conterranei lo hanno fatto, obbligando gli altoatesini ad una convivenza forzata con gente anche poco rispettabile. Pensava davvero che bastassero 50 anni per soppiantare la cultura di un popolo?

    Mi dispiace, ma per quanto riguarda la mia esperienza, leggendo le sue righe, a mio avviso emerge più la sua incapacità di integrarsi, di capire la storia e la cultura di una comunità a lei estranea, piuttosto che la villania di trentini e sudtirolesi.

    1. cro Signor De Gasperi, se ha letto con la dovuta attenzione il mio pezzo ed i miei commenti successivi, potrà rendersi conto che non è stata mia intenzione diffamare i trentini ed i bolzanini. E’ stato un periodo della mia vita del quale ho buoni ricordi. Ho conosciuto belle persone come persone con difetti, come avviene in ogni parte d’Italia. Ho riconosciuto che in Alto Adige sono stati commessi torti. Ma non vedo perché quei torti li ho dovuti pagare io.

      PS

      A Trento e a Bolzano sono nati i miei primi due figli ed anche per questo ci ritorno volentieri.

      PPS

      Ho cercato l’integrazione e molti mi hanno aiutato.

  3. a proposito di civiltà
    All’epoca mia figlia non trovava mai posto nelle scuole materne vicino casa, quelle erano per il gruppo etnico tedesco…
    le scuole italiane si trovavano all’estrema periferia…

    Nel 1976 sono andato via… anche se stavo frequentando il corso di tedesco per il patentino A …
    era necessario se volevo accedere alla Dirigenza.
    Ora si fanno solo concorsi locali.
    I Posti si ripartiscono 70% ai tedeschi e 30 % agli italiani

  4. Questa tua esperienza è un ottimo spunto di riflessione.
    Quanti italiani sono stati trattati da extracomunitari nella loro stessa Patria solamente perchè provenienti dal Sud.
    Meditiamo,allora,quando trattiamo uno straniero allo stesso modo,quando ci sentiamo in diritto di dare del “tu”a queste persone,quando vergognosamente nelle scuole le mamme straniere vengono isolate…Si tratta di civiltà e,a mio modesto parere,pochissimi eletti,conoscono il significato di questa parola.

  5. @Alan Conti

    Ho raccontato la mia esperienza che risale agli anni ’70 e le discriminazioni le ho subite.
    Che le cose siano totalmente cambiate non mi risulta, forse si sono ammorbidite grazie anche al riconoscimento dei diritti (è questo è giusto) al “gruppo etnico tedesco”.
    Ma resta il fatto e questa è storia che quelle terre sono state “annesse” all’Italia dopo la I guerra mondiale ed è anche un fatto che quelle terre hanno subito, durante il fascismo, una feroce operazione di “italianizzazione” con il cambiamento dei nomi dei paesi e dei cognomi.
    Sono ferite difficili da rimarginare.
    C’è stata la tutela dei diritti della minoranza di madre lingua tedesca, ma non c’è stata integrazione, ma separazione.
    E’ normale che vi siano scuole materne tedesche ed italiane?

    Che poi ho subito discriminazioni è anche un fatto e non ne capisco la ragione.
    In quelle terre ci sono andato per lavorare e non per pagare i debiti del fascismo.
    Resto poi perplesso che non sono stati rimossi i fasci dal momumento alla vittoria.

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