Città nera – Giorno 1

città neraTocca affrontare il giorno.

Doccia, caffè, biscotti, denti, vestiti, giacca, scarpe.

E fuori in strada.

Bisogna aprire il negozio, vendere qualche bottiglia. Se l’acqua sembra un optional, la corrente elettrica potrebbe essere più importante non perderla. E allora bisogna pagare la bolletta.

Il sole mostra finalmente la sua faccia. Sono 10 giorni che è nuvoloso. Fa quasi piacere camminare lungo il naviglio, fino al negozio.

La fine dell’inverno è indicata da qualche fiore qua e là, e dalle gemme sugli alberi. Su una panchina resta un cartone usato da qualcuno per cercare un po’ di calore la notte passata.

Il sole basso e il riflesso sull’acqua accecano come lampade puntate addosso. La mezza bottiglia entra in campo visivo troppo vicina al naso, tanto che gli occhi non riescono a metterla bene a fuoco. Ma la gola sente bene le punte.

–    I soldi!

Dario prende dalla tasca i pochi spiccioli.

–    Mi prendi in giro? Solo cinque euro?

“ Mi spiace, il portafoglio è in negozio, non ho nient’altro, ti prego, calma con la bottiglia”. Pensieri. La paura blocca il fiato e le corde vocali non producono suoni.

Il coccio di bottiglia gira di fronte agli occhi di Dario, prima di scomparire di corsa in mano a qualcuno con una lunga treccia bionda, uno zainetto e vestiti troppo leggeri per questo fine inverno.

Sul naviglio arriva il solito jogger che, come ogni mattina, non ricambia il saluto di Dario.


 

Ore 10:15

–    Insomma questa ti pianta il coccio di bottiglia davanti agli occhi senza che tu te ne renda conto. Forse è meglio che ti svegli prima di alzarti…

Giulio sorseggia il caffè seduto ad uno dei barili del negozio.

“L’angolo di Dario” non è solo un’enoteca. È il punto di ritrovo degli amici di Dario. Alla mattina, caffè e brioches sui barili, le chiacchiere riempiono l’aria con suoni di vera amicizia.

Giulio fa il sarto. Ha il negozio affianco a quello di Dario, aperto dal nonno, mantenuto dal padre e quasi perso da Giulio al gioco. Vizio dal quale ora è guarito.

 –    Avevo il sole contro.

–    Beh, si sa che tu ti alzi alle 7 ma ti svegli alle 10…

–    C’era anche il riflesso sul naviglio.

–    E dopo che ti ha preso i soldi?

–    Niente altro da raccontare, Hans. È sparita con i miei cinque euro. È che non sembrava una sbandata, una drogata.

–    Scusa?

–    Era vestita bene, solo troppo leggera. Come se fosse uscita da un ufficio senza giacca, capisci? da qualche parte al caldo e poi si fosse trovata di colpo al freddo… non per sua scelta. Siamo a fine inverno. Puoi trovare senzatetto con troppi abiti invernali addosso ora, ma non con abiti leggeri. Non era un vestito da festa. Era vestita da… lavoro. Mi spiego?

–    Un po’. Come tuo solito. Ti serve qualche spicciolo per oggi?

–    No, cucino due spaghetti qui. Se ti va.

–    Ok. Porto da bere?

–    Giulio, non hai da fare oggi?

–    Ma lo sai che per te, lascio pure perdere il negozio!

In radio Tom Petty canta 

Well I won’t back down, no I won’t back down

You can stand me up at the gates of hell

But I won’t back down

Il caffè va giù piano. Prima delle 11, di solito non arrivano clienti.

 –    Visto che bella città con questo Sindaco? Altro che i tuoi amici!

 In Politica, Giulio e Dario sono cordiali nemici.

–    Più che altro mi sembra bella per i suoi amici, Giulio. Se non conosci nessuno, non puoi fare nulla.

–    Beh, ma almeno tutti i negri e gli zingari sono spariti dalle strade!

–    Sicuro. Ora i violentatori e i ladri son solo nostrani. Di che andarne fieri.

–    Dai dai parli solo per invidia!

–    Giulio, qui non hai il permesso per far niente se non paghi. E sai cosa intendo. Chi non vive nel centro storico non ha più nessun diritto. Hai visto cosa diventa il parco nord? Una nuova zona residenziale. Era l’ultimo parco in quella zona. Non ci sono asili. Non ci sono tram, bus, niente. I servizi sono a zero.

–    Che si comprino le auto se vogliono muoversi, oppure a piedi! Credimi Dario, la città è meglio così.

–    Sarà Giulio… io però questa Città non la riconosco più.

Il sole è sparito di nuovo sotto una nuvola, speriamo innocente. Con il polo chimico a due passi, non si sa mai.

La radio ora passa il telegiornale autorizzato, nuova regola comunale: altre ottime iniziative del consiglio comunale e la solita rissa tra extracomunitari dovuta sedare a colpi di pistola dalle ronde cittadine.

Suona il campanello. Oggi il primo cliente arriva con grande anticipo.

–    Beh, io ti devo salutare Dario. Cerco di fare qualcosa in negozio.

–    Ti saluto Giulio.

–    In cosa posso servirla signore?

 


 

Ore 23:00

Il negozio è piccolo, una stanza 4 per 4 con vetrina grande, tre pareti piene di scaffali e bottiglie. Una porta dà sul retrobottega e il bagno.

Il magazzino è un garage in uso promiscuo con Giulio. Pieno per metà di scatoloni di vino e per metà di stoffe e fili.

Una piccola scrivania, grande il giusto per la cassa e lo spazio per fare i pacchetti, uno scaffale centrale e un po’ di cesti formano l’arredamento del negozio.

Il retrobottega ha una piccola stanza con frigo, cucinino e macchina da caffè, una credenza con qualche stoviglia e un po’ di cibo per soddisfare l’appetito di Dario e degli amici che si presentano affamati.

“L’angolo” ha ormai i suoi clienti abituali. Non è difficile vedere dentro all’ora di pranzo persone in piedi attorno ai barili coperti con i piatti del Kebab e i calici di vino rosso. È vero che l’iper ha portato via clienti, ma chi vuole buon vino sa dove andare.

Il bilancio non ne ha risentito tanto. Era povero prima, lo è adesso. Dario ha una missione: diffondere il buon bere. Questo vuol dire rivendere le bottiglie buone a poco più di quello che le ha pagate. Alla fine, resta giusto di che vivere.

Però almeno è vita.

Il campanello sulla porta oggi ha suonato parecchie volte. Altre 4-5 giornate così e per questo mese le bollette sono pagate.

Il pranzo con Giulio ha lasciato mezza bottiglia di troppo aperta, quindi è stato necessario ritrovarsi all’ora di chiusura per terminarla. E aprirne un’altra.

Sono le 11 di sera quando Dario ripercorre il lungo naviglio. Di sera fa ancora freddo, e la giacca sta bene abbottonata.

Ora il cartone è sopra la panchina, a coprire qualcuno.

Solo quando ci passa affianco però che Dario nota la treccia bionda.

È distesa su un fianco, e dà le spalle alla strada, accartocciata sul suo zaino, stretto come si può tenere stretto un bambino, come si tiene stretta la vita.

Con quei pantaloni leggeri e la camicetta il freddo di stanotte se la mangerà tutta. Il cartone non riesce a coprirle nemmeno il tronco.

Dario pensa a tante cose. Svegliarla e dirle di venire a casa sua? Sicuramente scapperebbe.

Chiamare gli assistenti sociali? E da quando danno aiuto ai senzatetto? Specialmente negli ultimi tempi poi, con la nuova politica della tolleranza zero.

Dario continua a fissarla: non è tanto alta, forse raggiunge il metro e settanta. Magra, ma non secca. Gli abiti sono di buona fattura, e le scarpe sono quelle del negozio in centro. Non è una barbona, questo è certo.

Cosa l’ha spinta a restare al freddo rimane un mistero nella testa di Dario. Amante abbandonata? Litigio con il marito o la famiglia?

Dario si toglie il giaccone e glielo sistema addosso alla bell’e meglio. È caldo e lungo. Appoggiato sulle sue spalle la copre fin quasi alle ginocchia. 

“Ora di cambiare giaccone… questo è troppo pesante per me”

Poi si allontana verso casa, unica persona sveglia lungo i viali.

La luna danza con le nuvole in un inseguirsi continuo, e le ombre degli alberi, con i rami ancora secchi, disegnano nuovi Mondrian sulla passeggiata.

 

Solo quando arriva a casa Dario si rende conto che ha lasciato il portafoglio nel giaccone.

(continua)

 

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