Ah, l’Amour!

Ah, l’Amore. Che bella cosa. La testa che gira, gli ormoni a mille, il sentirsi imponente e invincibile. Quante volte abbiamo provato queste sensazioni, o quanto abbiamo sognato di farlo.

Si sta bene quando si ama. Solo che, a volte, capita di amare troppo, di amare talmente da non renderci conto che l’amato è diventato pericoloso per noi, un danno.

Succede con le persone, le droghe, l’alcool.

Margherita ama troppo le parole.

Premessa: Cum Pane è troppo lungo per poter essere postato per intero, dunque a mia assoluta discrezione ho postato tre capitoletti dello stesso (nel link).


Trama

Racconto autobiografico: nascita e sviluppo della vita assieme alla classica amica del cuore con cui ci si trova e lascia e ritrova… ad libidum. Insomma, una storia narrata mille volte. È un limite? No, per me no.

Le storie biografiche permettono sempre di inserire dei dati nuovi, delle sensazioni. Sono mezzi per raccontare luoghi, periodi storici, emozioni personali. I famosi sentimenti.

Margherita ci parla dei suoi sentimenti, di come evolvono nell’arco della vita. Parla di come cambiano i rapporti tra le persone, pur restando, sottotraccia, nel fondo, sempre uguali, sempre legati da quel filo sottile.

Parte spiegandoci di cosa siamo fatti, che non è solo carne e sangue, ma il fine ultimo dei nostri antenati, e il motivo per il quale loro hanno vissuto e imparato dalle tante esperienze (il nome che diamo ai nostri errori).

Insomma, ce ne sarebbe. Il problema è che Margherita ci racconta tutto con troppe parole. Belle parole, difficili, ricercate, ma troppe. E il troppo non funziona. Mai.


Forma

Il racconto è in prima persona, attraverso i pensieri vaganti della protagonista. I pochi dialoghi sono riportati, non diretti.

I pensieri sono trasmessi in una forma molto frammentata. Brevi, brevissimi periodi che dovrebbero trasmettere l’irrequietezza d’animo della protagonista.

Dovrebbero, ma non riescono. Essenzialmente perché, come detto brevemente prima, ci sono troppe parole.

Il ricorso a una scrittura barocca non la trovo funzionale quando si vuole narrare una storia biografica. I sentimenti si trasferiscono meglio usando parole semplici. Uno dice “Ti amo”, non “La mia vita, che nel profondo sento ancora legata agli antenati miei che per secoli hanno vagato raminghi quali foglie spazzate dal vento, agogna ogni tuo respiro. Anelo a congiungermi con te, sicchè le nostre anime possano formare quell’uno che io so, nel profondo del mio animo, essere l’Uno Vero e Assoluto. A te dono me stesso, per essere di te zerbino e appoggio, calore e rifugio. Il mio cuore, il mio sangue non sono che mere appendici del tuo cuore e del tuo sangue. A te, con te, per sempre!”. Ti amo è più immediato e rende meglio, no?

Il racconto, il modo di scrivere mi ha ricordato Michele Perreira, A presto. Anche quello un racconto biografico, ma messo in una cornice fantascientifica (una Palermo futura), dove l’uso di una scrittura ricca aiuta a rendere l’assurdità di quello che succede attorno. In quel caso non sono solo le parole a rendere il racconto, ma il modo di usarle, così come una canzone non sono solo parole, ma anche musica (si nota che non ho mai amato particolarmente il rap?)

Poi c’è un tema a me caro: la punteggiatura. Troppi punti e troppe virgole sono nei posti sbagliati, creando confusione, rendendo il tutto troppo difficile da seguire. I pensieri, invece di costruirsi attraverso le tanti frasi spezzettate, si rompono, si perdono. In definitiva, non rendono il senso.


Verdetto

Cum Pane ha una storia di fondo, e questo è qualcosa di importante. Non ha invece una struttura narrativa a sostegno.

Il verdetto è inevitabilmente di Condanna.

Margherita ha molto da narrare, si vede. Credo, spero, che la condanna le sia lieve e di aiuto per le sue future composizioni.


Con Affetto

IK


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7 Replies to “Ah, l’Amour!”

  1. Credo anche io che bisogna incoraggiare a scrivere.Chi scrive sente che ha qualcosa da raccontare e condividere con gli altri(a prescindere dal desiderio di emergere come scrittore).Credo che,Margherita abbia tanto da raccontare,ma ,leggendo il suo racconto, usa una scrittura che non coinvolge chi legge.Troppe parole quasi studiate.Il racconto è interessante,potrebbe riproporlo diversamente.Naturalmente la mia è solo l'opinione di una lettrice.

  2. Caro killer, incoraggio a scrivere chiunque, a prescindere.
    A maggior ragione qui, dove c'è stoffa!

  3. Ho letto per intero i tre racconti.
    Premesso che nel secondo ho ritrovato qualcosa di me ed a livello emotivo le parole hanno assolto alla loro funzione di far "vedere" le cose, concordo con il killer sulla sovrabbondanza di parole che dicono troppo, senza dare possibilità al lettore di diventare co-autore del racconto.
    Penso che la scrittura sia come il teatro. Bisogna togliere, non aggiungere, limare all'inverosimile finchè non resterà altro che la sostanza.

  4. Ti ringrazio Juan, poichè io sono chi assolve anche i killer, se sono mandatari, se guadagnano molto, se lo fanno per passione,insomma bisogna sempre comprendere il movente per giudicare un delitto. Io evinco una lettura attenta e capace di capire gli stridii, te ne sono grata perchè altrimenti nn capirei mai dove e se pecco, come è il segno che arriva al lettore, e quindi ti sorrido se mi pugnali brindando, ciao e buon lavoro.Margherita

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