Binari

Il primo ricordo che ho di un treno non è esattamente di un convoglio, ma della stazione di Paso Del Rey, Argentina. Due piattaforme in legno, coperte da tettoia, una ad ogni lato dei binari. Rosse. E dietro un parchetto pubblico, dove sostava, fissa, una vecchia giostra. Non ricordo altre giostre con lo stesso affetto. Era piccola, vecchia e malandata, ma quando riuscivo a convincere mia madre a comprarmi il biglietto, diventava la più grande giostra del mondo.

Il secondo ricordo è più doloroso, e data sempre Argentina: al tempo i treni che portavano alla Capital avevano le portiere che si aprivano a scomparsa, comprese le maniglie. Ogni tanto prendevo quel treno con mio padre. Lui andava nella capitale per comprare stoffe, filo, aghi. Mio padre era sarto. Adoravo quei viaggi, soprattutto perché sapevo che al ritorno,alla stazione di Plaza Once, mi avrebbe quasi sicuramente comprato un Pancho e una Coca.

Un giorno ho lasciato le mani sulle maniglie mentre le portiere si aprivano. Ricordo le lacrime, immediate, le persone che si davano da fare per disincastrare le mani e poi il sangue, il fazzoletto a chiudere il dito tagliato, la farmacia, un cerotto e una cicatrice che porto ancora. Non ricordo se al ritorno ho avuto il Pancho, ma credo di sì.

In treno sono andato con mia madre in Piemonte, appena arrivati in Italia. Lei voleva tornare nella terra in cui era stata sfollata durante la guerra. Ho ancora il classico Disney che mi comprò alla stazione, credo fosse “Pronto Topolino”. Sul retro sono scritte le stazioni che abbiamo passato per arrivare fino a lì.

Non ricordo tutto il viaggio, ma ricordo che arrivati a Ortona ci siamo incamminati verso la nostra destinazione e dopo poco un automobilista si è offerto di darci un passaggio: siamo arrivati alla casa degli ex-padroni di mia madre a bordo di una Duetto rossa, cappottina abbassata e tutto!

Il treno è stato il mezzo di trasporto per andare a scuola, 5 anni, due tragitti da 20  minuti al giorno, andata e ritorno, e un ritardo medio di 30 minuti, tratta Belluno-Padova. La stazione era a 150 metri da casa, eppure sono anche riuscito a perderlo il treno, qualche volta!

Ho fatto anche qualche viaggio verso il sud Italia, e ricordo sempre lo stupore ogni volta che il treno passava sotto il Gran Sasso, il trovare lì sotto uno scambio, binari che si perdono dentro il cuore della montagna. Per me, la porta verso i laboratori segreti dove esperimenti rivoluzionari avevano luogo. Dove in realtà vadano, non l’ho mai saputo.

Indimenticabili poi i viaggi in Cina (e le attese nelle stazioni gelate, in pieno inverno),soprattutto il primo: Shanghai-Nanjing. In ognuna delle vecchie carrozze un termos con acqua calda, per permettere ai passeggeri di prepararsi il tè.

Non ho particolari ricordi sul paesaggio: pianura e ancora pianura. Ricordo però di aver incrociato almeno due treni tirati da vecchie locomotive a vapore. E non stavano facendo servizio turisti.

È incredibile quanti miei ricordi siano legati al treno. Ultimo, il ritorno da Londra, poco tempo fa, a causa dell’eruzione del vulcano islandese, quello con il nome impronunciabile: Londra-Parigi-Mannheim, 5 piacevolissime ore di viaggio.

Tra tutti questi ricordi ce n’è uno che fa capolino ogni tanto. Un ricordo per nulla piacevole, un’immagine da una piccola televisione in bianco e nero, un giorno del 1984, vicino a Natale e al mio compleanno. Si tratta di un vagone, squarciato, aperto completamente da una forza impressionante.

Al tempo non capivo appieno cosa fosse successo, e soprattutto quale ragione ci potesse essere per compiere qualcosa del genere.

Il vagone era quello del rapido 904, teatro di un brutale attentato il 23 Dicembre del 1984. Morirono 17 persone.

Ricordo immagini di persone in lacrime, ma non capivo il loro dolore, non lo sentivo: da giovani non ci si riesce, occorre amare qualcosa talmente a fondo, avere terrore di perderlo, per avvicinarsi a capire lo strazio dei familiari delle vittime.

Questo dolore così forte si ritrova a volte nei libri migliori, quando lo scrittore riesce a trasmettere non la descrizione dell’avvenimento, ma il sentimento di chi quell’avvenimento lo vive da protagonista.

C’è, tra questi, uno scrittore italiano contemporaneo, non uno dei più conosciuti, ma a mio parere uno dei migliori. Il suo nome è Alessandro Perissinotto, e il primo libro che ho letto di lui si intitola Treno 8017.

Lì, nel contorno della storia vera di una tragedia consumatasi durante la seconda guerra mondiale, una disgrazia ai più sconosciuta, Perissinotto ci regala una figura di eroe vero, e un finale che si imprime nella memoria con la stessa forza della foto di una carrozza di treno divelta da un’esplosione.

 

Con Affetto

IK

 

Giudizio di Treno 8017, Alessandro Perissinotto, Sellerio 2003: vi porterà in una galleria: quando ne uscirete i libri avranno un altro sapore.

httpv://www.youtube.com/watch?v=lNMq-jxJ6qk

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4 Replies to “Binari”

  1. Anche io ho un ricordo di quel 2 agosto del 1980 e l’ho nascosto in un racconto de I fetenti.

  2. Io i treni li amo e li odio.

    Nel 1980, il 2 agosto, una mia compagna di scuola stava viaggiando verso il nord, per andare in vacanza con la famiglia.

    Non ha neanche saputo che voto aveva preso alla maturità.

    Non lo hanno saputo neanche molti dei suoi familiari.

    Ho conosciuto l’odore dei treni per molto tempo, anche forzatamente, e tante volte sono tornata a casa per accompagnare qualcuno nel suo ultimo viaggio.

    Forse per questo oggi preferisco solo i viaggi di fantasia, senza bagagli e senza il rombo dei motori.

  3. Io adoro i treni e amo raccontarli…
    A proposito di treni e di bombe ecco questo mio ricordo
    Estate del 1974.
    D’estate a Bolzano si muore dal caldo e la moglie con pargola e con il secondo nella pancia scappa via, verso le nostre terre.
    Mi brucio le ferie in luglio e all’inizio di agosto torno a Bolzano.
    Agosto a Bolzano non è il massimo della vita:si muore ancora di più dal caldo, è una conca dove l’aria non circola e si frigge. Allora non c’erano le manifestazioni per chi non andava in ferie, l’unica, per vincere l’afa e la noia e per non arrivare a parlare con i mobili di casa, era passare la serata nei pochi locali con l’aria condizionata, a farsi durare quando più è possibile un boccale di birra grande ed a parlare di nulla con i pochi avventori. La depressione psichica e metereologica arrivava a livelli insostenibili la domenica quando la città si svuotava ancora di più: la soluzione era prendere il treno e farsi 861 km fino a Napoli.
    In quell’anno ed in quell’estate ci fu la strage dell’Italicus, nella galleria di San Benedetto Val di Sambro, la notte del 4 agosto, una domenica, qualcuno mise una bomba sul treno Roma-Brennero.
    Quella domenica non ero sceso, ero arrivato da poco.
    Ma la settimana successiva mi feci coraggio e presi il treno.
    Vidi la carcassa del’Italicus, nella stazione di San Benedetto, anche se il treno passò a tutta velocità.
    Per oltre un mese tutti i treni erano pieni di poliziotti in cerca di bagagli abbandonati e di sospetti.
    Ed anche io guardavo il viso dei viaggiatori intorno a me: mi chiedevo che faccia potesse avere un terrorista che mette una bomba in un treno.
    Nessuno aveva la faccia da terrorista.
    E quando l’anno dopo arrestarono Tuti e compagnia, capii che non esiste la faccia da terrorista.

  4. Ho incontrato Perissinotto alla fiera del libro e mi ha colpito la persona.

    Mi sono detta: devo leggere qualcosa di questo scrittore. Non sapevo che cosa ed ora mi togli il problema.

    Comincerò dal treno, mezzo che metto al primo posto per i miei spostamenti.

    Ti farò sapere le mie impressioni.

    Intanto, lo leggerò in treno.

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