“Caterina” di Vincenzo Zonno

 

(recensione e intervista di Flavia Chiarolanza)

 

Caterina

 

Da amante dell’horror, e fruitrice abituale del relativo genere, comincio a chiedermi – ormai assuefatta – cosa possa ancora impressionarmi a livello estetico ed emotivo.

Siamo avvezzi a ogni genere di perversione, che sia letteraria o filmica, o che addirittura provenga dai banchi della realtà. Chiunque può riprendere le scene di morte che ormai ci capitano in diretta sotto gli occhi, e così l’horror diventa artigianale. Come dire, ce lo fabbrichiamo in casa.

Eppure esistono ancora artisti della carta stampata, in grado di distoglierci dagli schermi anonimi e tetri dei nostri tablet; capaci di evocare immagini che prendono vita dal caro, vecchio inchiostro, e si imprimono nella mente più di qualsiasi fotogramma creato al cinema.

Prima di parlarvi di Caterina, l’ultimo bellissimo romanzo di Vincenzo Zonno, vi propongo un gioco.

Provate a immaginare uno dei luoghi che di solito sono graditi all’universo infantile: il circo. Pieno di quei colori con i quali i più piccoli amano imbrattarsi quando giocano; pieno di quei rumori e schiamazzi che gli adulti solitamente zittiscono nelle loro case. Vuoto di quel silenzio che perfino in età adulta si continua a temere. E ora immaginate di prendere cotanta bellezza e di distorcerla, come una bambola di pezza che viene strizzata. Alle vostre spalle sentite applausi insistenti, e poi vi accorgete che provengono da una platea fantasma. Risate invisibili echeggiano tra le mura di tela. Voltandovi, vedete solo spalti deserti, la vostra ombra solitaria proiettata sui quattro lati del tendone. La musica, che di solito annuncia festosa l’arrivo del carrozzone, risuona macabra nell’arena. Sembra di vedere il carillon delle favole circensi che, gettato sul tappeto, vomita e sparge ovunque le sue note distorte. Le marionette, ospiti predilette di ogni teatrino amato dai piccoli, tagliano i fili della loro prigionia e diventano carnefici, manovrando le membra altrui.

Bene. Ora chiudete il libro e godetevi per qualche istante la sensazione di paura e smarrimento che Vincenzo Zonno, con la sua penna magnetica, ha saputo instillare nel vostro animo.

Quando ho iniziato a leggere Caterina nutrivo legittime aspettative, perché conosco l’autore e ho già avuto il piacere di recensire il suo primo romanzo. Ne ho amato l’eleganza, così rara in tempi di distorsione della nostra bella lingua. Anche questa volta il suo stile, leggermente più ricercato rispetto alla prima lettura, mi ha completamente presa, spingendomi a immergermi a capofitto nelle pagine. Cosa c’è di diverso? Il genere prescelto, perché Vincenzo non ha nessuna difficoltà nello sperimentare nuovi codici narrativi. Caterina è un horror, o meglio ancora un thriller psicologico: una trama dal sapore noir e dall’intreccio dinamico, che vede un gruppo di circensi viaggiare in lungo e in largo, come impone il difficile mestiere dell’artista ambulante.

Uomini e donne dall’animo rude, abituati all’essenziale, che condividono con malanimo nelle loro baracche promiscue.

Spettegolano, schiamazzano, si lanciano occhiate, si criticano a vicenda, ma nessuno osa discutere l’autorità del capo, il Bulgaro. È lui che tiene saldamente le redini del comando, è lui che agita la frusta per ricordare a tutti dove risiede l’autorità. E il circo, pur malandato, rimane in piedi, pronto a raddrizzarsi alla prima scudisciata, proprio come le marionette del Bulgaro. Piccoli miracoli in legno, vera attrazione del circo a dispetto delle brutali mani che le manovrano.

Tra di loro vive Caterina, adolescente minuta e dolce che trascorre le sue giornate in solitudine, circondata dai rumorosi compagni di viaggio. I più la ignorano, alcuni la maltrattano, in molti si interrogano sulla sua stessa presenza nel circo gestito dal Bulgaro, a cui ella è avvinta da un ambiguo legame.

Cat, come l’autore ama chiamarla, lavora al servizio di tutti e nel circo si esibisce solo tra un numero e l’altro, allietando l’attesa del pubblico con piccoli passi di danza. E sguardi lascivi si posano su di lei, perché quando volteggia nella sabbia dell’arena non riesce a contenere quella sensualità che durante il giorno rimane nascosta sotto uno strato di goffi vestiti.

In segreto, di notte, la vediamo maneggiare una lettera dal contenuto misterioso, che poi ripiega e ripone con cura. Ma non è questo il suo unico segreto. Cat è in grado di cogliere presenze che sfuggono a tutti gli altri; di mantenere celata un’indole oscura che, prorompendo, lascerebbe atterriti i suoi stessi compagni, pur così cinici e bruschi.

Noi lettori ce ne innamoriamo all’istante. E l’ameremo fino alla fine, quale che sia la deriva della sua fragile esistenza.

 Vincenzo Zonno

Vincenzo, è vero che l’innocenza non esiste?

Già questa domanda mi terrorizza, e scapperei via per non rispondere!

L’innocenza esiste, ed è una fortuna. Esiste come esistono la bellezza e l’amore. Sembra una risposta stucchevole, ma se non esistessero, la vita avrebbe forse valore? Sarebbe soltanto una costruzione laboriosa che non porta a nulla. È questo il compito dello scrittore, restituire bellezza e innocenza, mondando la materia grezza dalle brutture. Cat è una ragazzina innocente, e non posso aggiungere altro. Il mio obbiettivo era indurre l’amore per questo personaggio, così inusuale e a suo modo dolce. L’innocenza esiste nel mio mondo, non potrei vivere senza.

 

I tuoi personaggi femminili sono sempre attraenti, e sulle prime indecifrabili. Hanno il potere di ipnotizzare, oltre che di infrangere ogni stereotipo. L’ispirazione ti deriva dalla realtà, o da una tua personale visione dell’animo femminile?

Credo che derivi dalla realtà. Amo vivere intensamente gli amici, donne e uomini in egual modo, ma mi è capitato di vivere più intensamente le donne che ho amato, e che mi hanno lasciato un ricordo più vivido. Non trascuro quegli attimi in cui ci si mette a nudo, e ne ho fatto tesoro. In qualche modo per sopravvivere. È lì che le differenze prendono slancio, quando si condivide l’intimità, e ogni movimento, ogni sguardo o parola acquista un valore profondo, e svela le invisibilità che la vita ci impone. Quando scrivo non ho tutte queste certezze, e un po’ baro, cercando di tenermi ben distante dall’intero universo femminile che ignoro, muovendomi soltanto nelle strade che conosco bene e so percorrere.

 

E invece l’amore, o quanto meno la curiosità per il mondo del circo, da dove nasce?

Ti racconterò un aneddoto. Da ragazzino amavo gli animali, e il circo rappresentava soltanto questo per me: un luogo dove si possono incontrare gli animali. Non sopportavo tutti quegli esercizi che mi mettevano ansia, e non riuscivo a guardare gente che rischiava l’osso del collo soltanto per fare gioire il pubblico. Ma gli animali mi attraevano. Con gli amici, una mattina, ci imbucammo fra i tendoni. Mi avvicinai alle gabbie dei leoni. La zampa di una leonessa penzolava fuori dalla gabbia e io dovevo accarezzarla. Un desiderio grande come quello del ragazzino che vuole stringere la mano al suo eroe. Con cautela mi avvicinai, senza dar conto al terrore dei miei amici, e arrivai quasi a sfiorarla prima di udire un sibilo potente, che mi gelò in quella posizione. Era il signor Togni, l’addestratore di animali. Con la frusta si era frapposto fra me e l’animale, forse salvandomi dal rischio di un grave infortunio. Fece quello che doveva fare, ma io lo guardai in viso e in quello sguardo colsi la natura segreta del circo. Non ho più messo piede in nessun circo, consolidando nella mente la visione dura e contorta che si nasconde dietro la patina scintillante a cui siamo abituati.

 

Tra le immagini che la tua penna mi ha lasciato impresse, ricordo in particolare quella di Cat che disegna un semicerchio sul terreno con la punta del piede, mentre esegue alla sbarra alcuni esercizi di danza. Oltre che scrittore e musicista, tu sei anche ballerino e coreografo. Posso definirti un artista poliedrico?

Non so se posso definirmi così. Per essere un ‘Artista’ è necessario che qualcuno ti riconosca come tale. Artista è colui che riesce a cogliere il bello nelle cose, e poi a restituirlo con piccoli accorgimenti, rendendo tutti partecipi della propria visione. La musica, la pittura, la danza o la scrittura sono soltanto mezzi. C’è chi decide di utilizzare un solo attrezzo, chi tanti. Il fine non cambia, e il processo che porta al risultato è lo stesso: una visione, l’improvviso acuirsi dei sensi e delle emozioni. L’esigenza della condivisione.

 

Ho notato un cambiamento di stile rispetto al primo romanzo, Non è un vento amico. Si è trattato di una precisa scelta stilistica, o di una naturale evoluzione della tua scrittura?

Potrebbe essere un’evoluzione o involuzione, dipende dai punti di vista. Ma anche il frutto della mia irruenza. Scrivo tanto, ho già una collezione di manoscritti di vario genere. Mi piace sperimentare e mettermi alla prova. Chiedimi una storia, io ce l’ho. A parte le battute goliardiche, qualcosa è anche il risultato dell’editing. Cambia l’editore e cambiano alcune caratteristiche degli scritti. Si asciugano perlopiù. Io sono indisciplinato e metto a dura prova i miei editori. Vivo personalmente le mie storie, non so starne fuori e mi perdo gonfiandole di caos. Probabilmente la mia scrittura cambierà sempre, forse anche lo stile, rimarrà la voce che mi illudo sia facilmente riconoscibile.

 

V. Zonno 

Tempo fa mi dicesti che non esiste solo la storia ideata dallo scrittore, ma anche quella che il lettore intimamente scrive da sé. Grazie agli indizi disseminati nel corso della narrazione, ognuno può costruire la sua personale trama, senza collidere con quella originale. È così?

Non vale per tutte le storie, ma penso sia importante rendere il lettore partecipe. Non posso costruire qualcosa senza considerare le emozioni o le aspirazioni altrui. Chiunque di noi ha una personalità unica che ci costringe a comporre la nostra favola, lo facciamo con o senza consapevolezza, quindi è utile fornire i mezzi appropriati. Io scrivo la mia vicenda ma lascio sempre dei punti aperti, affinché chiunque possa realizzare un percorso unico che lo appaghi con maggiore intensità.

 

Come nasce la storia di Caterina? E soprattutto, chi ti ha ispirato un personaggio così inquietante e struggente?

La storia di Caterina nasce in un piccolo circo, assistevo al numero del Bulgaro e da lì si è formato tutto. Nel brevissimo tempo di un numero di marionette. Tutti i personaggi dei miei libri sono donne e uomini che conosco o che ho conosciuto. Li prelevo dalla strada, dal mio vissuto, e poi ne amplifico le caratteristiche. Non saprei dirti chi è Caterina. Ho dei manoscritti in cui i personaggi hanno un proprio doppio nella realtà, ma Caterina nasce più da una sensazione e poi si materializza. Il suo essere è sfuggente, e la natura ambigua. Se qualcuno arrivasse a pensare che lei non esiste finanche nel romanzo, non potrei oppormi.

 

Quale altro genere ti piacerebbe sperimentare in futuro? La fantascienza distopica ad esempio potrebbe interessarti?

Come ti avevo anticipato ho già molti manoscritti finiti, non poteva mancare un romanzo distopico. Niente fantascienza però, non sono attratto da questo genere, perché eluderebbe ogni mio controllo. E io ho bisogno di creare storie che insinuino il dubbio di una possibile realtà, anche se al limite del credibile. Ho tanti romanzi già finiti, tutti diversi. In ognuno i personaggi sfuggono alla propria mente e si perdono in dimensioni diverse da quella usuale. Ma non si potrà mai dire con certezza che ciò che narro sia impossibile nella realtà, perderei il mio primo obbiettivo: rendere credibile l’impossibile.

 

Quanto dura il calvario di un autore emergente, che da solo si aggira nella giungla delle case editrici? E come sei approdato allaZonno Watson, che ha avuto il merito di credere in un romanzo come il tuo, così complesso e sofisticato?

È tutto complicato, e i meccanismi che ti fanno approdare a un contratto non sono mai casuali, come spesso la favola dei media vorrebbe farci credere. Per riuscire a forzare il sistema bisogna darsi tanto da fare. Pur avendo molti manoscritti da piazzare, non mando più mail agli editori da un anno e mezzo. Fra gli ultimi invii c’era proprio la Watson edizioni, il frutto di circa trecento spedizioni fra cartaceo ed elettronico. Il meccanismo editoriale è cambiato. Al centro di tutto non c’è più il libro ma lo scrittore, per cui vi è l’esigenza di costruire se stessi piuttosto che un racconto di valore. Io ho scritto e pubblicato tre romanzi, cinque o sei racconti sono apparsi su riviste specializzate, Non è un vento amico si è piazzato fra i primi cinque classificati a un concorso di un’associazione romana, e un altro mio racconto ha superato una selezione di radio RAI 1 ed è stato letto in diretta. Questo è un curriculum ridicolo. A chi annaspa in questo mondo, io apparirò misero. Sarei sicuramente più appetitoso come gelataio, perché vorrebbe dire che il mio potenziale di vendita è più alto. Potenziale di vendita, è lì che si decide tutto. Gli editori devono campare, dai più piccoli ai più grossi, e i soldi servono subito. Pochi ma buoni. Watson ha creduto nel mio romanzo e gliene sono grato. Non è facile piazzare un prodotto come il mio, che esula dalle tante regole. Watson rischia con i pochi mezzi a disposizione per portare avanti quasi un mandato, divenendo anche lui lo scrittore del mio romanzo.

 

Cosa suggerisci per rendere più accessibile il mondo dell’editoria, e meno perverso il meccanismo della distribuzione?

Per questa domanda ci vorrebbe qualcuno capace di fornire delle risposte. Dovrebbe tornare al centro di tutto lo scritto, poi succeda quel che deve succedere.

 

Che voglia mi è venuta di rovistare nel cassetto di Vincenzo, alla ricerca dei suoi manoscritti inediti. Qualcosa mi dice che ci incroceremo ancora…

Ciao, e auguri a tutti di simpatici esercizi funambolici!

 

http://watsonedizioni.it/prodotto/caterina-vincenzo-zonno/

https://www.ibs.it/caterina-libro-vincenzo-zonno/e/9788887224160

 

Gamy Moore
Follow me
Latest posts by Gamy Moore (see all)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *