La società della Poesia estinta

La settimana scorsa abbiamo letto su internet lo sfogo di una casa editrice di poesia, Albalibri, nella persona dell’editore Çlirim Muça. Lamenta il dispiacere nell’annunciare ai suoi autori e ai suoi lettori la necessità di prendersi una pausa di riflessione, di sospendere per un periodo non meglio precisato le pubblicazioni. I motivi? Non economici, non una perdita pecuniaria, ma la consapevolezza che purtroppo in Italia la poesia non è letta, non è pubblicizzata, non è insegnata. Chiude con un suggerimento e consiglio ai nuovi autori: stampatevi voi i libri, divulgateli da soli, nelle librerie, nelle piazze, diffidate di critica, TV, giornali.

Che dire? Non posso dargli tutti i torti.

Alcuni, però, sì!

In Italia si legge poco: eh, capisco lo sconcerto che lascia una scoperta di questo spessore! Soprattutto perché è successo tutto così in fretta! Deduco che Albalibri è stata aperta in quei meravigliosi giorni in cui in Italia si leggeva tantissimo e si passavano le serate a declamar poesie, quindi direi all’incirca prima dell’avvento della televisione. Diciamo 1950? Con un rigurgito, lo ammetto, e per sentito dire che io non ero ancora nato, attorno al 1968/69. Questo perché grazie agli acidi molti non capivano nemmeno cosa era letto.

Nelle librerie non si trovano libri di poesia: vero. Verissimo. Se per libreria si intende la corsia dedicata ai libri nei supermercati. Nella libreria dove vado io, il libraio (che è anche editore, e anche di poesia) ai libri ci tiene. A tutti quanti. Quindi, oltre a trovare bellissime chicche di narrativa si trovano tutti i volumi di poesie che si vuole. E se non ci sono, li ordina. Altro punto: se al mio libraio dico cosa mi piace, lui mi tira fuori il libro che voglio.

Stampatevi i libri da voi e divulgateli da soli: ma allora, a cosa serve un editore? Intendo non Albalibri, ma uno qualunque. A cosa serve, se non a impegnarsi a divulgare lo scritto che lui stesso pubblica? Io ho sempre creduto che quello fosse il lavoro dell’editore, perché a correggere il libro ci pensa il correttore di bozze, a stamparlo la grafica. Tenderei a dire che se un libro non è conosciuto, la colpa principale è della mancata capacità dell’editore di pubblicizzarlo nel modo giusto.

Ci sarebbe da parlare anche della qualità della poesia, ma qui si tratta di gusti personali e quindi fatene ciò che volete: ho letto la poesia che è riportata sul sito, e di seguito, come poesia del mese.

 

Un invito a scoprire l’ignoto

il precipitare della curva del cielo,

la netta linea dell’orizzonte.

Anela scogli la spumeggiante onda

scintille e suoni d’acqua mi giungono

nitidi come il grido dei gabbiani.

Con rapide ali spicca il volo l’anima,

desiderosa di superare l’orizzonte,

mentre un altro ineffabile le si presenta.

E se fosse la linea che divide

due pagine dello stesso libro?

La porta di passaggio all’altra sponda?

Il mare sempre agitato della vita

dalla quiete di quel che m’attende?

A orecchie di pietra

la verità

ultima

rivelano le onde.

La poesia inizia con la minuscola, non è un errore.

Parlare di scelta banale del tema e di utilizzo delle solite immagini trite e ritrite è troppo semplice e troppo poco, certo. Ma a questo arrivo. Quando leggo una Poesonza, mi annoio subito e non riesco ad andare oltre con spirito critico. Rimando il tutto quindi al nostro esperto Raffaele Abbate, che magari avrà il piacere di smentirmi o di aggiungere altro.

Comunque dicevamo che non ha tutti i torti. I motivi per cui si legge poco per esempio, non sono sue colpe, ma dipendono in principal modo da:

Famiglia: mio figlio legge. Per avere otto anni direi che legge anche molto. Soprattutto essendo maschio (di solito le femmine leggono di più). Ma non è che si è alzato un giorno, di colpo, e ha detto: da oggi, leggo. Questo è capitato perché fin da piccolo abbiamo passato molto tempo a leggergli storie, a raccontargliene. E vede anche noi che leggiamo tanto, che a volte teniamo la televisione spenta, accendiamo la radio, e leggiamo un libro. Insomma, ha un esempio. Se a casa l’esempio è “Accendi la TV che inizia il Grande Fratello” allora è abbastanza difficile che il bimbo prenda gusto a leggere. Più facile che cominci a canticchiare la canzone di Emanuele Filiberto.

Scuola: arriva dopo la famiglia, ma arriva. Del resto, cosa si può pretendere da una scuola nella quale devi passare 2 anni (DUE – ai miei tempi almeno, mi sembra che ora sia un anno, che è comunque di gran lunga troppo), dicevo, 2 anni a studiare uno dei peggiori libri mai stampati in Italia, I Promessi Sposi? Forse dei peggiori no, dai, ora che ci penso c’è pure Moccia. Sicuramente però il più sopravvalutato. E per colpa di questo, a scuola non si legge Sciascia, Benni, Fo (premio Nobel), Moravia, Rigoni Stern, Primo Levi. Come si fa a interessare un ragazzo alla lettura con I Promessi Sposi? Dopo aver finito quel libro non ho certo avuto l’urgenza di andare a leggere altro, come invece mi successe dopo aver letto Benni. E se mi dite che Benni non offre uno spaccato della società come è stato offerto dai Promessi, allora non avete mai letto bene né l’uno né l’altro.

Altro punto importante: la scuola tende ad analizzare la poesia punto per punto, spiegandoti quello che l’autore voleva dire. Oh, ma è proprio tonto questo autore che non riesce a trasmettere le sue idee?

La scuola dovrebbe andare oltre, spiegare cosa sentiva l’autore, i sentimenti di quando ha scritto la poesia. E non basta dire: “Era in guerra, ha scritto questo”

Si sta come,

d’autunno,

sugli alberi,

le foglie.

G. Ungaretti.

Chi non è stato in guerra non può capire. Allora per capirlo bisogna arrivarci per modi diversi: io ho capito questa poesia dopo aver letto Il Sergente nella neve di Rigoni Stern, perché quel libro spiega veramente la guerra, il dolore, i sentimenti. Solo dopo, rileggendo Ungaretti, si capisce l’enorme dolore e tragedia descritti in 4 versi.

Televisione: la metto, ma solo per l’uso improprio che se ne fa: la televisione è un mezzo, si può tenerla spenta. Se invece la si usa come babysitter o come unico modo per passare le serate, allora è ovvio che il cervello va in pezzi.

Infine, vorrei aggiungere alcune riflessioni mie: è morta la poesia?

No.

La poesia ha subito delle trasformazioni nel tempo, soprattutto nel modo di esporsi e nei luoghi di declamazione. Ma la poesia è terribilmente viva.

La prima trasformazione della poesia è avvenuta con l’arrivo della musica leggera, di quelle canzonette che durano dai 3 ai 7 minuti, circa. Rock, pop, country, jazz: in ogni genere musicale si possono trovare dei testi che sono poesia pura. Per farla breve, molti poeti hanno semplicemente musicato i loro versi, rendendoli in tal modo anche più appetibili al grande pubblico. E che qualcuno mi dica che i testi di Dylan, De Andrè, Cohen non sono poesia. Questo di seguito è l’estratto di quello che è per me una delle più belle poesie d’amore:

Ti offro una doccia ai bagni diurni

che son degli abissi di tiepidità

dove come oceani notturni

rimbombano le voci della tua città

Un gelato al limon – Paolo Conte

La seconda trasformazione è stata Internet. Internet non è la televisione: è uno schermo, ma su questo schermo si legge. E leggono in molti. Internet permette a chiunque di condividere i propri scritti, racconti, libri o poesie che siano. Del resto, non mi state leggendo pure voi qui? E lo sfogo di Albalibri non è uscito su questo mezzo?

Quello che intendo dire è che è molto più semplice che a scomparire saranno i libri, come li intendiamo adesso: fogli di carta incollati assieme. Kindle è sulla buona strada, e seppur io sono del tutto contrario (adoro il contatto della carta sulle dita) penso che quello sarà il futuro: democratico ed ecologico.

Democratico perché permetterà a tutti di scrivere e di farsi leggere, praticamente a costo zero. Ecologico perché non distruggeremo più foreste per pubblicare Moccia.

La terza trasformazione è recentissima, ed è il modo e il luogo nel quale vivono le poesie ora. Qui in Germania, e sono sicuro anche in Italia, ogni fine settimana i locali (e intendo anche le discoteche) si riempiono per ascoltare gruppi di persone che si danno battaglia nei “Poetry Slam”. Funziona così: un gruppo parte con una poesia, all’inizio si decidono ritmica, tipo, etc. Il secondo gruppo risponde a tono al messaggio, sempre in poesia, sempre improvvisando.

Alla faccia della poesia estinta.

Questa comunque, è solo la mia opinione.

 

Con Affetto

 

IK

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2 Replies to “La società della Poesia estinta”

  1. In memoria della poesia morta:
    Funeral Blues
    Stop all the clocks, cut off the telephone,
    Prevent the dog from barking with a juicy bone,
    Silence the pianos and with muffled drum
    Bring out the coffin, let the mourners come.
    Let aeroplanes circle moaning overhead
    Scribbling on the sky the message He Is Dead,
    Put crepe bows round the white necks of the public doves,
    Let the traffic policeman wear black cotton gloves.
    He was my North, my South, my East and West,
    My working week and my Sunday rest,
    My noon, my midnight, my talk, my song;
    I thought that love would last for ever: I was wrong.
    The stars are not wanted now: put out every one;
    Pack up the moon and dismantle the sun;
    Pour away the ocean and sweep up the wood;
    For nothing now can ever come to any good. (W.H. AUDEN)

  2. Mi sento chiamato in causa e mi limito ad una osservazione: da una prima lettura della poesia che citi ho avuto l'impressione che fosse una "lirica" che avessi composto tu nell'occasione utilizzando tutti gli stilemi poesonzici.
    Se la poesia è ridotta così ben venga la sua morte per eutanasia.

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