Dimmi come ti chiami, languoroso

 

 – racconto e illustrazioni di Mauro Cristofani –

Stazione del mondo, gironzolo a vuoto forse aspetto un treno ma spero ritardi. Oh incrociare due occhi perforanti la folla come i miei! Ansia che annienta. Gabinetti, ombre che guatano si toccano vecchi guardinghi sgocciolanti e altra umanità sul ciglio di bàratri vari.

Faccio quel che devo fare poi esco. La vedo, sguardo che mi trapassa. Avrà sedici anni sì e no, tuffo nel vuoto. Sono in castigo, uno scolaretto che aspetta bacchettate.

Viso infantile ma espressione adulta guardi l’uomo che fui, ora un baccalà stecchito. Tu immagine tenera e selvaggia, io figura inerme un po’ pietosa. Voglio solo perdermi cerca di capire, ma ho bisogno d’aiuto.

Non poter toccarla mi fa male. Invidio quelli senza scrupoli e chi se ne frega, si buttano e fanno bene tanto siamo tutti nei cessi di qualche stazione.

Sentirmi sempre fuori posto e fuori luogo nostalgia solo del poi, unici miei doni sciagurati. E muoviti sfigato! Quando imparerai a stare al mondo, occasioni perse a migliaia.

Suoi passi in direzione opposta alla mia, mi disprezza e fa bene. Tenta la mossa del binario morto e deserto, lì si farebbe sotto pure un paralitico. Eppure io no, non trovo lo slancio decisivo.

Beve alla fontanella, chinarsi è una scusa per farmi vedere il culo e un po’ di cosce. Mi muovo, sono più sciolto, mi rifermo. Lei torna indietro passa vicino quasi mi sfiora sento il suo odore cuore a mille, istante eterno e infinito. Suoi occhi troppo dolorosi per essere una puttanella, con questo dubbio l’aggancio è più difficile. Di certo voleva esser seguita, su questo non mi sbaglio.

Sto lì a rimuginare, s’allontana. Sono un coglione imbranato che non vale niente. Ma si volta, brava grazie dammi un’altra possibilità. Il suo sguardo è un richiamo, una supplica, cuore mio che fa boom.

 

Scalinata uscita stazione, noi due seduti accanto. Rito offerta sigaretta, un classico. È fumatrice si vede da come aspira, ma lo fa col disprezzo di chi non vuole il vizio. Cerco una frase che non viene guardo intorno e sembra che tutti guardino me, mi sento più vecchio e lei mi sembra più bambina.

Gli sfidanti si scrutano in silenzio, rumore di parole taciute. Alla fine s’alza se ne va, ha ragione d’essersi stufata.

La seguo, dico una frase stupida e qualunque. Mi risponde appena, ma un lampo nuovo ha negli occhi. Se è ironìa allora è intelligente e un contatto c’è stato. Vecchio donchisciotte non cominciare a farti un film di certo è lì a smarchettare, aspetta solo la cottura giusta per spennare meglio i bavosi che smaniano per la carne fresca.

 

Ci sediamo di nuovo, mie banalità sue reticenze ma se non vado al dunque non saprò mai che pesce è.

Ed ecco improvviso un temporale la sconquassa, pioggia di lacrime e tuoni di singhiozzi goccioloni che le inzuppano tutta la maglietta. La gente si ferma a guardare, non voglio che rubino il tuo sfogo vieni andiamo via da qui.

Noi due in un angolo appartato. È una bambina impaurita, vorrei abbracciarla e forse anche lei lo vuole mentre consuma tutti i fazzoletti. Si calma, io predatore senza vocazione rientro nel mio ruolo preferito di consolatore d’afflitti.

 

Parla di sé, viene dal sud. Fuga da famiglia scellerata, padre che assaggia i figli come fossero bignè madre che fa la vita. Non vuole tornare in quella casa, è il minimo. S’è dovuta arrangiare come s’arrangia una ragazza giovane che ha solo una sottana da tirarsi su. Oggi cercava qualcuno che chiedesse subito quella cosa lì, non un sentimentale e un fesso cioè io.

È cambiato tutto, suo sguardo ora fiducioso e chiaro lavato dalle lacrime, mia vecchia vita che sussulta.

“Posso stare con te?” domanda semplice e grandiosa suoni fluttuanti e paradisi che s’aprono, ma anche visioni rapide che sporcano quel po’ di generoso che c’era nello slancio.

Sue ciglia abbassate in attesa di sentenza.

Un abbraccio, prendo tempo. Per lei è un sì ringrazia e ride, denti trascurati per miseria e ignoranza. Si tira su un ciuffo dei capelli color polvere, si bagna le labbra screpolate, gesto carnale che mi sbatte in faccia. Con la vita che fa sarà vecchia a trent’anni, allora avrà voglia di piangere alle stazioni, nessuno le chiederà perché.

Mi viene il dubbio che la sua sia stata tutta una scena, m’ha asciugato la bava alla bocca e m’ha incastrato, sono il solito illuso.

Ripongo velleità di sesso, zietto senza convinzione prendi il primo treno e torna a casa ché oggi un’emozione bene o male l’hai già avuta.

Lei di nuovo triste, s’è accorta che il pollo sta scappando. Ma deve sentirsi un’eroina da telenovela e vuol lasciarmi un buon ricordo, dice “Sali e non voltarti più”.

 

Sferragliar di rotaie

che inghiotte

attese imprevedibili…

 

Altra stazione, altri treni. Vanno e vengono, io preferisco quelli che vengono portando il nuovo e l’imprevisto. Oggi ha portato un lui che vuol essere una lei.

Adora andare al ristorante con un cavaliere, l’accontento e si accomoda come vera signora. Malignamente godo degli sguardi invidiosi dei maschi, fa colpo con quella cascata di capelli le sopracciglia disegnate e il corpo tutto curve, come uomo è una schifezza ma come donna è uno schianto. Qualcosa ci sarà fra noi, chissà. Le apparenze son salve perché è più femmina lui di tante squinzie che dicono d’esser vere donne.

Casa mia, languido e voglioso ci sa fare. Ha un corpo bianco su cui ci si può scrivere tutto e forse quel cosino che ha fra le gambe non sarà troppo d’impaccio, rattrappito com’è. Proviamo, dimmi almeno come ti chiami.

 

Si ringrazia Micaela Lazzari per l’editing.

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