Il covo dei pensieri

 

bar insegna

Era uno di quei giorni in cui va tutto storto, fin dalla mattina.

Mrs. Rose m’aveva aumentato la pigione, la carretta m’aveva abbandonato, l’editore mi pressava perché gli consegnassi il fottutissimo romanzo.
E ovviamente la mia testa in secca.

 

Pensavo e ripensavo a quella scena, ma più la figuravo più mi scivolava via.

La stupida rapina di un balordo andata male.

A una roba così anche un principiante sapeva metter mano.

 

S’era fatto scuro.

Ciondolavo da ore senza meta quando vidi brillare quell’insegna.     interno caffè

Mi avevano parlato di quel bar, da Nico’s, la gente lo chiamava il covo dei pensieri

A vederlo da fuori altro non era che un insulso locale di periferia… giusto quello mi serviva, qualcosa da ingoiare e uno straccio di santo in paradiso.

 

Spinsi ed entrai. Mi colpì non il silenzio, ma la strana luce.    

Lui era in fondo, un omino pelato col grembiule.

Si diceva di Nico che di punto in bianco aveva smesso di parlare.

Chissà se le parole le aveva perse davvero o rinnegate.

 

Erano tutti là, seduti ai tavolini, simili a corvi appollaiati su uno stesso cavo, tra fondi di bicchiere e resti di croissant. 

Nico strofinava le tazzine, adagiandole con cura.

 

prototipo WurlitzerChiesi un caffè forte e scivolai nell’angolo più buio, accanto a un vecchio Wurlitzer impolverato.

 

Bevevo e li osservavo. Blocchi di cera venuti là a pensare o a svuotarsi dei pensieri.
Gran bella pensata.

 

Uno ad uno se ne andarono, senza sfiorarsi e neanche salutarsi. Sorridevano soltanto.

 

Ormai eravamo soli.

Scoppiai  a ridere, ma era un moto di disperazione.

Lui si avvicinò, prese la tazzina, scivolò via lasciandomi un foglietto.

«Cambiala la scena, Max».

 

 

 

 

 

Paola Cimmino (G. M.), Il covo dei pensieri (gen. 2010)

 

 

 

 

Gamy Moore
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