Il massacro di primavera

noir

Il giorno in cui, per esigenze di calendario, doveva cominciare la primavera, il commissario Luigi Martino si sentiva proprio male, si sentiva male come non si era mai sentito nel cuore dell’inverno che detestava.

Tornato a casa per la pausa di un pranzo nominale – il commissario a pranzo mangiava pochissimo – stavolta non aveva toccato niente e, contrariamente alle sue abitudini, si era messo a letto.

Poi dal letto si era alzato, vagando dieci minuti alla ricerca del maledetto termometro messo al suo posto dalla maledetta donna delle pulizie, secondo i propri criteri personali di ordine, che non corrispondevano quasi mai a quelli del commissario Martino.

Tornato a letto, si era tolto il maglione per mettersi il termometro sotto l’ascella, aveva acceso lo scaldasonno, e col termometro sotto l’ascella si era addormentato.

Il telefono continuava a suonare e Martino cercava disperatamente di arrivare a prenderlo, ma quel maledetto continuava a spostarsi verso il bordo opposto al letto del tavolo che gli faceva da comodino.

Era il brigadiere Di Blasi:

“Dottore, c’è stata una chiamata da via Giuseppe Impastato, 13. Abbiamo mandato una volante ma sembra che sia successo qualcosa di grosso. Ma lei, dottore, come si sente? Oggi aveva una faccia…”

“Mi sento come uno che avrebbe bisogno di un dottore, se fossi qualcuno che nei dottori ci crede. Ed io non ci credo. Ma siccome mi son perso il numero di cellulare dello sciamano del villaggio, prenderò due aspirine e mi farò, eventualmente, vedere dal medico legale, se arriva a dare un occhiata a qualche eventuale cadavere.

Passami a prendere.”

Il medico legale, il dottor Camillo Rinaldi, in via Giuseppe Impastato numero 13 non c’era perché non era stato chiamato, ma qualcosa di grosso, come diceva Di Blasi, doveva essere successo.

Era una villetta bifamiliare con il giardino in comune. La villetta era di proprietà dei signori Nicolosi: padre geometra, madre e una figlia con acne di 18 anni circa. I signori Nicolosi abitavano in un appartamento e l’altro lo affittavano per brevi periodi. Stavolta lo avevano affittato per una settimana di vacanza fuori stagione ai signori Terranova, che lo avevano preso in affitto altre volte.

I signori Terranova erano, a detta dei signori Nicolosi, quattro persone. Padre bancario, madre casalinga, figlio di 14 anni, figlia di 12 anni. Erano arrivati il giorno prima verso le 19 dopo un viaggio in macchina di circa 200 chilometri. La macchina, una Ford Focus, era parcheggiata in giardino accanto alla Panda dei signori Nicolosi.

Quando erano arrivati avevano salutato i signori Nicolosi e sotto i loro occhi avevano scaricato i bagagli. Avevano scaricato dalla macchina pure una grande busta di plastica con il logo di una vicina rosticceria. La signora Terranova aveva detto alla signora Nicolosi che quella sera non aveva proprio voglia di cucinare.

I signori Nicolosi, marito e moglie, erano usciti verso le 20,15… no… non verso… esattamente alle 20,15, aveva precisato il geometra Nicolosi, per andare a cinema. La figlia con acne era rimasta in casa.

Quando erano usciti avevano visto luce nell’appartamento dei Terranova. Quando erano tornati, esattamente alle 22,45, sempre a detta del geometra Nicolosi, tutte le luci dell’appartamento erano spente.

Ma i signori Nicolosi tornando avevano notato che qualcosa non andava. Era sparito dal giardino, dove passava tutta la giornata, il loro cane nero Alano… no, non era un alano puro, lo era solo al 50%, la madre era certa, ma il padre… Alano era il nome del cane.

In teoria il cane doveva essere ancora nel giardino, c’era un’inferriata troppo alta per lui lungo tutto il perimetro della villetta, però non c’era più.

I signori Nicolosi lo avevano chiamato, mentre il signor Nicolosi rimproverava la signora Nicolosi, perché, a suo dire, uscendo si era attardata col cancello aperto e Alano era un cane che sapeva sfruttare tutte le occasioni di fuga, come altre due volte era successo e… magari ti è passato proprio sotto il naso distratta come sei… poi tutti e tre, figlia compresa, si erano dati alla ricerca nei dintorni… Alano nelle due precedenti occasioni non si era allontanato di molto… ma non l’avevano trovato.

Sì, prima di uscire, avevano chiuso il cancello a chiave come facevano sempre e chiuso lo avevano ritrovato al loro ritorno dal cinema.

No, non avevano voluto disturbare i signori Terranova per chiedere se lo avessero visto. Alano stava simpatico a tutti, ma gli ospiti sapevano che non doveva entrare in casa. Nonostante avesse due anni aveva ancora un’insana passione per i calzini.

Del resto lo avevano chiamato prima dal giardino e se Alano per caso fosse rimasto chiuso nell’appartamento dei Terranova avrebbe risposto. Alano aveva l’abbaio facile e fragoroso. E qualche volta abbaiava. I suoi padroni dicevano che era un buon cane da guardia e non ci si poteva avvicinare alla villetta senza che desse l’allarme.

La mattina dopo Alano continuava a non esserci. Nessuna notizia dei Terranova, dovevano essere usciti presto e, cosa strana, erano usciti a piedi, la Ford era al suo posto, e non era nelle loro abitudini. Via Giuseppe Impastato era lontana dal centro città.

Arrivate le tre del pomeriggio la signora Nicolosi aveva pensato al peggio e aveva convinto il marito a usare la chiave in loro possesso dell’appartamento dove stavano i Terranova.

Avevano aperto, avevano chiamato, erano entrati. E avevano trovato… mai, signor commissario, mai, campassi cento anni me lo potrei dimenticare…

Sul tavolo da pranzo c’erano gli avanzi del cibo da rosticceria, alcuni sbocconcellati e non finiti, come se bocche che li avevano morsi fossero pronte, dopo un sorso della bottiglia grande di Coca Cola che c’era sul tavolo, a riprendere il pasto.

Ma quello che si notava subito non erano certo i resti delle arancine e delle mozzarelle in carrozza sul tavolo, quello che anche un cieco avrebbe notato, non vedendo ma odorando, era il sangue.

Tanto sangue, per terra, sul tavolo, sulle pareti, perfino qualche schizzo sul soffitto, tanto sangue come se fosse stato lanciato nella stanza con un grande secchio. Sangue e odore di sangue.

Di certo il sangue dei signori Terranova, il bancario, la casalinga, il ragazzo e la ragazza. Erano quattro, ma c’era tanto sangue che potevano pure essere in otto. Ma solo sangue, e solo in quella stanza, il resto della casa, la cucina e il bagno di quel piano e le stanze da letto e l’altro bagno, che si trovavano al piano di sopra, erano in perfetto ordine e dei corpi non c’era traccia.

Mentre gli uomini della scientifica eseguivano i loro rilievi, il commissario Martino girò per la casa con Di Blasi.

Quella casa faceva una strana impressione, certamente per il sangue ma non solo per quello. al commissario Martino. Uscì a guardarla da fuori e poi rientrò dentro. Era come se internamente le stanze fossero molto più grandi di quello che la visione da fuori faceva logicamente supporre.

E poi… e poi… era come se in quella casa il commissario Martino ci fosse già stato. Girava sicuro di quello che si trovava al di là di ogni porta e anche i mobili, tutti degli anni Cinquanta, e alcuni soprammobili gli erano familiari.

Ma come era mai possibile? Non solo non era mai stato in quella casa ma nemmeno in quella parte della città.

La fanciulla Nicolosi con acne, che la sera prima era rimasta in casa, non aveva sentito alcun rumore insolito… pure vero è che, come aveva onestamente precisato, aveva ascoltato tutta la sera musica in cuffia.

Ma forse… potevano essere le nove e mezza… lei era in camera sua al primo piano, aveva sentito al di là della parete, nell’appartamento vicino, nella camera gemella della sua – gli appartamenti erano uguali – un boato sordo durato qualche secondo, tanto che aveva pensato che i Terranova, chissà perché, spostassero i mobili. E… ora che ci pensava… dopo il boato Alano aveva cominciato ad abbaiare, ma poi aveva smesso subito, proprio lui che quando abbaiava ce ne voleva per farlo smettere.

Erano stati interrogati i vicini, che erano davvero pochi, due villette simili, abbastanza distanti, un solo appartamento abitato in ogni villetta.

Erano in casa quella sera, ma non avevano sentito e visto niente di particolare. Sì, se si fosse fermato per un po’ di tempo un veicolo col motore acceso probabilmente… ma non sicuramente… le loro finestre erano chiuse, l’avrebbero sentito.

Il giorno dopo arrivarono i primi rilievi della scientifica e anche notizie dalla città di origine dei Terranova. Era anche stata perquisita l’abitazione dei Nicolosi, non si sa mai, alla ricerca di indumenti sporchi di sangue che naturalmente non erano stati trovati.

A quanto pare i Terranova erano noiosi. Non nel senso che annoiavano la gente, cosa che comunque non si poteva escludere, ma nel senso che la loro vita era di una normalità esemplare. Niente droghe, niente alcool, solo Coca Cola, niente cattive frequentazioni, mansioni in banca di nessuna particolare responsabilità e con zero opportunità di fare qualche giochino per il capo famiglia. Con quasi assoluta sicurezza niente amanti, uomini o donne che fossero, per i due coniugi, che a detta dei signori Nicolosi erano un po’ sovrappeso e sovrappeso erano pure i loro figli e certo nessuno poteva restare colpito dalla loro avvenenza. Un conto in banca in cui c’erano i soldi che era normale ci fossero, qualche piccola rata trattenuta sullo stipendio.

I rilievi della scientifica dicevano che il sangue apparteneva a quattro persone differenti ed era in quantità tale da escludere che le persone che lo avevano versato fossero ancora vive. La cosa curiosa era che nella sala da pranzo c’era pure una gran quantità di sangue di cane, evidentemente del povero Alano.

In ogni caso che aveva trattato, al commissario Martino sin dal primo momento, senza che le cercasse, arrivavano delle idee su come potevano essere andate le cose. Quelle prime idee non sempre si rivelavano giuste alla fine, ma comunque arrivavano. Stavolta niente. E per giunta, la cosa che più lo angosciava, ancora più del sangue e dei probabili morti, era la sua familiarità inspiegabile con quella casa.

Ma come mai… eppure… certo la casa non era quella, ma di assomigliare gli assomigliava, e sicuramente non l’aveva vista in quel posto dove non era mai stato… era come se fosse un ricordo di tanti anni prima… era un ragazzo e portava i pantaloni corti… ma veramente lui i pantaloni corti non li aveva mai portati… escluso che… sì, d’estate li portava corti per il caldo, d’estate quelli corti erano più comodi… d’estate… d’estate al mare… ecco! Proprio d’estate al mare! La casa che i suoi avevano affittato in agosto per due anni consecutivi in un villaggio di pescatori.

Ma che ci faceva ora quella casa d’agosto del bambino Luigi Martino a 150 chilometri di distanza in una città che il mare non ce l’aveva…

No, era un caso, probabilmente ricordava male e c’erano solo della vaghe somiglianze. Ma come mai era così sicuro andando in giro per casa su cosa avrebbe trovato in ogni stanza, anche la statuetta della ballerina con la gamba rotta nella stanza da letto più piccola…

“Questo caso, Di Blasi, è un incubo. L’incubo di ogni investigatore.

Che, con una scusa, qualcuno possa essere entrato in casa, non ci sono segni di effrazione, oppure i Terranova hanno aperto a qualcuno che conoscevano… sì, entrare era possibile e uccidere pure, con tutto quel sangue è escluso che ci sia qualcuno ancora vivo… ma i cadaveri, Di Blasi, i cadaveri che fine hanno fatto? Qua si tratta di quattro persone, abbastanza grasse e di un grosso cane. Se li hanno portati fuori dopo averli uccisi come mai non c’è nessuna macchia di sangue sul percorso dalla porta di casa al cancello, né sulle mattonelle, né sulla terra?

E perché uccidere poi delle persone come i Terranova? E il cane? Se non lo conoscevano come hanno fatto a farlo entrare in casa? Non era più comodo ucciderlo fuori? E poi come mai il cane aveva abbaiato solo per pochi secondi in coincidenza col misterioso boato?

Certo, se sono stati i Nicolosi, alcuni pezzi del puzzle vanno a posto. Ma anche loro sono gente normale come i Terranova. Anche la ragazza esce poco di casa, dice sua madre che si vergogna per l’acne, e va a scuola dalle suore. Nessun amico poco raccomandabile. E i genitori ieri sera al cinema ci sono andati davvero, erano con un’altra coppia.

E a giudicare dal cibo sulla tavola i Terranova sono stati aggrediti mentre mangiavano, né prima né dopo. Ho fatto chiedere ai parenti a che ora mangiavano di solito e non risulta che mangiassero mai presto, mai prima delle nove.

Quindi i signori Nicolosi non c’entrano niente.

Resta l’ipotesi di un serial killer.

Ma dovrebbe essere un serial killer esordiente, almeno in Italia. Stragi simili ne fanno solo gli americani oppure gli slavi nelle fattorie francesi nei romanzi di Simenon, ma almeno là c’è il commissario Maigret che ci pensa.

Avessimo almeno i corpi, Di Blasi… perché nasconderli dopo averli uccisi e nello stesso tempo lasciare la stanza in quelle condizioni?

E perché portare via anche il corpo di quel benedetto cane…

Forse i corpi sono spariti perché ci avrebbero permesso d’identificare l’arma con cui sono stati uccisi… quindi dovrebbe essere un’arma molto particolare… un’arma da taglio molto grande a giudicare dalla quantità di sangue… le pallottole fanno un lavoro più pulito… ma potrebbero anche essere stati uccisi con un’arma da fuoco e poi sventrati.

Nessuno ha sentito spari… ma se hanno sparato col silenziatore…

Stavolta, Di Blasi, sarà proprio dura.

Mai ci era capitato un delitto così.

Noi non riusciremo a risolverlo e ci puniranno. Sì, stavolta falliremo e se la prenderanno con noi… ci manderanno in Barbagia o in una sperduta valle alpina o nella Padania della minchia tra i leghisti e la nebbia… e poi la casa, Di Blasi, quella maledetta casa piccola di fuori e grande di dentro… perché hanno voluto ammazzare tutta quella gente e quel maledetto cane proprio nella casa dove io passavo le mie vacanze da bambino… non è giusto, Di Blasi, non è per niente giusto!

E tu poi che stai facendo, Di Blasi, perché non mi ascolti? Posa quella maledetta tromba che non sai manco suonare… chi te l’ha data questa tromba… non bisogna soffiarci dentro… posala mentre ti parlo, cazzo!

Di Blasi… di Blasi… Di Blasi…

La voce sembrava venire da lontano e il commissario Martino la sentiva appena, ma sapeva che quella voce chiamava lui:

“Commissario Martino…”

Il commissario Martino aprì gli occhi e vide davanti a lui un uomo che non aveva mai visto con un camice bianco e accanto a lui il medico legale, il dottore Camillo Rinaldi. Per un momento pensò di essere sul tavolo dell’obitorio.

“Non si preoccupi, commissario, è tutto sotto controllo. Lei è in ospedale. Si è presa una bella bronchite e la febbre era così alta che ha perso i sensi…”

“Esiste una bella bronchite?” si ritrovò a pensare Luigi Martino.

“Il suo uomo, Di Blasi, visto che non rispondeva al telefono è venuto a casa sua e l’ha trovato privo di sensi col termometro sotto l’ascella…”

Di Blasi si materializzò accanto al dottor Rinaldi:

“Mi spiace, dottore, abbiamo dovuto forzare la porta per entrare. Ma ho dato ordine che gliela aggiustino.”

Il commissario Martino sussurrò:

“Non potevi chiamare l’agente Impallomeni? Quello è più bravo di un ladro…”

“Era in licenza e non l’abbiamo trovato, dottore.”

“Non ti preoccupare, Di Blasi.” continuando a sussurrare, “L’importante è che non abbiano ammazzato i Terranova e il cane dei Nicolosi.”

E il commissario Martino si addormentò sotto lo sguardo preoccupato del brigadiere Di Blasi.

 

 

 

 

 

Postfazione

 

Questa storia del commissario Martino l’ho sognata nella notte tra il 18 e il 19 maggio 2011.

A un certo punto mi sono svegliato e così manca il finale.

Ho trovato una soluzione per la mancanza del finale e l’ho scritta.

Per un finale vero pensateci voi.

E magari scrivetemi se lo trovate.

 

 

 

 

 

 

 

 


Si ringrazia per l’editing Benedetta Volontè.

 

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