Le scarpe viola di Jo

Quando ero alle medie, c’era un amico, a dire il vero non era proprio un amico, ma si sa, non è che a scuola ti puoi scegliere i compagni di classe, comunque c’era questo tizio chiamato da tutti il Bestio, sì il Bestio perché era enorme, il più alto di tutti, il più grosso e pure il più forte e il più prepotente di tutti. Non so quanti anni potesse avere, ma girava voce che la mattina si facesse la barba! Io non lo so, so solo che il Bestio una mattina, insieme a De Francesco il serpente e Vitiello l’infame fecero un’irruzione che passò alla storia delle irruzioni nei bagni della Scuola Media Villanova di Via Caravaggio.

C’era un’amica, una tipa strana, fu lei la causa di quella maledetta irruzione. Era strana perché calzava sempre delle scarpe colorate, dove diavolo le prendesse quelle scarpe proprio non si sapeva. Penso che le colorasse lei, a volte ne metteva di colore diverso, non perché fosse distratta, ma proprio le piaceva. Che tipa la mia amica, si chiamava Pino, ma lei preferiva Jo ed io la chiamavo Jo.

Comunque, stavamo facendo la ricreazione, al bar della scuola, avevo acquistato una pizzetta rotonda perché saziava più di quella quadrata. Non so se fosse per un fatto geometrico, immagino di no, ma la pizzetta rotonda saziava di più. Ero lì che masticavo quando sentii schiamazzi e risa provenire dalla zona dei bagni. Ingoiai con non poca difficoltà, tanto che per poco non mi strozzai e raggiunsi l’epicentro dell’evento. Mi feci spazio tra gente ridente che urlava non so che cosa e vidi Jo.
Era a terra, una scarpa viola con il disegno di una farfalla bianca era rotolata poco distante. Guardai fissamente quella Superga in tela colorata con vernice ad acqua, ancora allacciata, posata su un lato, come quelle che si vedono per strada dimenticate oppure, peggio, dopo un incidente. E quello era incidente, di sicuro, perché Jo era a terra, con le brache calate e le mutande di pizzo come quelle che si vedevano su quei cataloghi di vendita per corrispondenza che io e i miei amici guardavamo per vedere e fantasticare su quelle più trasparenti.

Anche io risi per quella scena così esilarante, ma quando Jo si alzò, dopo l’intervento di Cirillo il bidello, anche lui con una faccia strana, quasi di disgusto, i miei occhi si stamparono in quelli di Jo, fu come sbattere contro un camion che ti colpisce all’improvviso mentre attraversi la strada.
Non fui in grado di capire cosa quegli occhi mi stessero dicendo, ma di sicuro smisi di ridere e non riuscii a staccare lo sguardo. Non ho più dimenticato quegli occhi, occhi che non rividi mai più.

Ritornammo tutti in classe, tranne Jo che non so dove fu portata, qualcuno disse che non s’era sentita bene, qualcun altro che era fuggita via. Fatto sta che il professore di religione ci chiese perché fossimo stati così crudeli con Pino e il Bestio, senza nemmeno alzarsi, rispose che non dovevamo poi prendercela più di tanto poiché alla fine si trattava solo di un frocio di merda.
La merda… La merda mi fece subito pensare a mio padre, non pensate male di mio padre, ho un ottimo rapporto con lui, è vero non parliamo mai, però non litighiamo nemmeno. Comunque mio padre, quelle poche volte che non guarda la TV e dice qualcosa, ripete sempre che viviamo in un paese di merda. Io non lo so e poco m’importa, tanto io ci vado solo a scuola in questo paese…

Il professore di religione disse al Bestio di fare silenzio e che non avremmo dovuto usare quella parola… frocio. Quindi si fece serio come mai lo avevamo visto prima, spalancò la bocca, roteò gli occhi ed entrò in trance. Si alzò in piedi, allargò le braccia e iniziò a roteare, noi lo guardavamo con gli occhi spalancati, immobili e sorpresi, lo vedemmo sudare, sbavare e ricadere sulla cattedra.
Riaprì gli occhi e ci guardò, sembrava invecchiato di vent’anni. Con voce tremante, come se avesse appena avuto una rivelazione divina, disse: “Che Giuseppe detto Pino venga da tutti chiamato semplicemente e democraticamente diverso” e poi svenne.
Così disse il mio professore di religione: diverso.

Io c’ho pensato molto nei mesi a venire, ho rivisto quegli occhi e ho anche pensato alle sue scarpe viola…
Diverso… Forse io ho studiato poco, non sono un professore, certe cose non le comprendo, ma a me bastava chiamarla Jo, Jo e nient’altro.

Massimo Petrucci
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