Storia di Igwald (parte IX)

 

futuro 

 

Manuel ed Elke decisero di parlare col dottor Hodler per sapere se fosse al corrente di qualcosa di più preciso.
Mentre Manuel imballava accuratamente il diario e tutto ciò in esso contenuto, Elke trovò dei fogli volanti con disegni e altri schizzi accompagnati da parole troncate all’interno di un altro cassetto, senza capire di che si trattasse. Sottoposero il tutto al dottore, sconvolto, come gli altri, per la notizia.
Dopo un paio di giorni Hodler li convocò fornendo loro la sua interpretazione di quel materiale.

Anche se con qualche difficoltà, dovuta all’utilizzo da parte di Hodler di un linguaggio piuttosto nebuloso, i due giovani capirono che ad un certo punto Daniel doveva aver deciso di abbandonare l’esistenza riconoscendosi estraneo ad essa, alla sua organizzazione, ai suoi schemi e ritmi di produzione, favorito in questo, probabilmente, dalla consapevolezza cui i suoi stessi studi di Filosofia lo avevano condotto. Una simile decisione, e la tenacia con la quale era stata perseguita, erano infatti possibili soltanto in un soggetto molto sensibile e di grande respiro intellettuale.
Hodler era convinto da tempo che Daniel fosse realmente un gradino più su di tutti i ragazzi che fino allora aveva conosciuto; la sua intelligenza era accompagnata da un senso profondo daniel sedutodi umanità e di coinvolgimento negli eventi del mondo al punto che, pur avendo raggiunto un livello accettabile di realizzazione personale, grazie anche alla presenza di Elke, non riusciva a goderne pienamente, per via di un senso di colpa che non sapeva come scrollarsi di dosso. Hodler non conosceva bene il passato di Daniel, ma faceva risalire l’origine di questo malessere al periodo infantile. Questo senso di colpa lo aveva portato a considerare la morte come l’unica possibile soluzione a quella che Daniel stesso chiamava la sua “malattia”. Non doveva essere una morte cercata d’impulso, sull’onda di una crisi emotiva, ma il risultato di un cammino al quale, volendo, avrebbe potuto sottrarsi. Quindi la scelta degli psicofarmaci, i cui effetti egli aveva imparato a riconoscere fin da bambino sul volto della madre.

Doveva aver cominciato così, con dosi via via crescenti che avevano il potere di allontanarlo da sé, creando il necessario distacco sia nei confronti del suo passato, che almeno in parte voleva dimenticare, per non esserne più totalmente condizionato, sia dal suo stato presente e dall’ambiente circostante con tutte le sue pressioni sulla psiche. Un distacco che avrebbe potuto ricomporre se solo avesse nutrito la speranza del rientro in un mondo diverso, migliore di quello conosciuto. Ma i meccanismi che non gli davano tregua avevano dimostrato di essere più forti di ogni sua resistenza: Daniel aveva capito che non avrebbe potuto vincerli e soprattutto di non poter, né dover coinvolgere alcuno nelle sue decisioni. Allora anche la morte doveva essergli apparsa meno brutale e paurosa di fronte all’assenza di qualsiasi speranza per il futuro.

Col passare dei giorni gli psicofarmaci avevano fiaccato sempre più la sua già debole volontà di resistere, fino ad annullare ogni opposizione e capacità di razionalizzazione. Restava traccia di questo processo nel confronto fra i primi schizzi e disegni dalla linea ferma e decisa e gli ultimi che apparivano invece imprecisi e spezzati, accompagnati da sillabe apparentemente sconnesse, in realtà frammenti di parole che non era riuscito a scrivere. Tutto ciò si intuiva nello stesso rifiuto della scrittura e della parola che Daniel aveva a un certo punto abbandonato, insieme ad ogni contatto con l’ambiente circostante. Unici punti di riferimento erano rimasti, fino alla fine, Elke e Maior ai quali lui era sempre stato profondamente legato, anche nella dissociazione.

Elke rimase sconvolta: se il dottor Hodler aveva ragione Igwald era uscito di casa, quell’ultima sera, imbottito di pillole, col fermo proposito di farla finita e non era caduto per caso, come qualcuno aveva riferito. Ma perché tutto ciò avesse un riscontro era necessario esaminare il referto dei medici e le analisi del sangue effettuate con l’autopsia.

Per non destare sospetti Elke pregò Egon, che prestava servizio notturno in uno dei reparti dell’ospedale, di dare un’occhiata, nella sua qualità di medico, ai dati rilevati e all’eventuale presenza nel sangue di un particolare preparato. Egon sapeva di non poter rifiutare ad Elke questo favore, e la sera stessa le telefonò confermando la presenza nel sangue di Danny di una massiccia quantità del prodotto che lei gli aveva indicato. Egon aveva intuito che quella richiesta nascondeva qualcosa di più preciso e a lei non rimase che raccontargli quanto aveva scoperto insieme a Manuel e al dottor Hodler. Nessuno in quel momento era più sicuro che se Danny si fosse salvato avrebbe deciso di continuare a vivere.

 

divisorio

Passarono così i primi giorni ma Elke, che si era sforzata in tutti i modi di reagire allo stato di abbattimento che l’aveva sopraffatta, si rese conto, ben presto, di non avere più voglia di pensare al futuro.
Il direttore del Dipartimento, che era per lei come un padre, la costrinse a prendere un periodo di riposo, anche se tutto ciò si rivelò controproducente, dal momento che Elke non sapeva come impiegare da sola tutto il tempo e soprattutto in quella casa che, anche se per poco, aveva diviso con Daniel.

I suoi genitori cercarono, e questa volta animati da propositi sinceri, di esserle vicini, assicurando tutto il loro appoggio; lei tuttavia continuava ad avere nei loro confronti un atteggiamento distaccato, quasi ostile.

Poteva continuare così, finché Elke non si fosse ripresa da quel terribile choc. Invece un’altra delusione l’attendeva di lì a poco, e questa, purtroppo per colpa mia.

Elke aveva acconsentito, pur con molta diffidenza, a consegnarmi il manoscritto che Daniel aveva lasciato, comprese le loro lettere. Manuel le aveva accennato che ero giornalista e che la loro storia mi aveva colpito al punto che avrei potuto, venendo in possesso dei documenti originali, scrivere qualcosa, un articolo sulla figura di Daniel, o addirittura un romanzo, ispirato alla sua vita. Elke non sembrava convinta, ma alla fine accettò, con la promessa che le avrei restituito quanto prima tutto il materiale, che voleva giustamente conservare fra le sue cose più care.

Sfortuna volle che durante una cena con dei colleghi giornalisti, uno di essi, in mia assenza, leggesse per caso, sul mio blocchetto degli appunti, alcune annotazioni tra le quali vi erano informazioni (che Elke e Manuel mi avevano pregato di non divulgare) sull’errata diagnosi dei sanitari. Fu abbastanza facile per il collega risalire ai nomi delle persone coinvolte, essendo specificato, a margine degli appunti, che si trattava della vicenda Mayerling.

Due giorni dopo i principali giornali locali riportavano la notizia del clamoroso episodio avvenuto all’ospedale distrettuale, nel quale erano stati coinvolti alcuni infermieri, il medico che aveva effettuato l’autopsia e lo stesso direttore sanitario. Fu addirittura ventilata l’ipotesi che non fosse stato fatto tutto il possibile anche per il leader scomparso. Daniel venne presentato come un caso di “dissociazione degenerativa” secondo la definizione del noto luminare, il dottor Hodler. Un vero scandalo e un altro colpo terribile per la famiglia Mayerling, già enormemente provata per la morte di Daniel.

A nulla valsero le spiegazioni e le mie scuse: Elke e Manuel mi ritennero responsabile di tutto l’accaduto. Purtuttavia lei non richiese che il materiale le venisse restituito, cosa che trovai un po’ strana al momento, attribuendola ad una dimenticanza, vista la confusione generata.

 

divisorio

Non osai presentarmi di persona neanche quando si spensero i clamori intorno alla vicenda. Avevo chiesto al direttore del mio giornale un periodo di ferie che trascorsi a Vienna proprio per cercare in qualche modo di riparare al male fatto. Elke rifiutò sempre di ricevermi, chiedendo di essere lasciata in pace, mentre Manuel si mostrò in seguito più comprensivo, dichiarando di credere alla versione dei fatti che avevo fornito.

L’autore dell’articolo, o meglio dello scoop, da me prontamente rintracciato, finì con l’ammettere di aver sbirciato nei miei appunti sottraendomi informazioni riservate. Ma ormai il danno era compiuto e Dio solo sa se non sto pagando per questo.

Alla fine di giugno ritornai a Boston portando insieme a me, oltre a una grande amarezza, il diario e il carteggio, lasciando detto a Manuel che ero pronta in qualsiasi momento a farlo recapitare ad Elke o ad altra persona di sua fiducia.

Venni a sapere, per caso, della morte di Elke.

Avevo spedito gli auguri di Natale a Manuel, chiedendogli notizie dell’amica. Non ricevetti risposta e a gennaio, dovendo tornare in Europa per alcuni reportages, mi fermai in Austria per qualche giorno. Fu allora che Manuel mi raccontò quel che era successo.

Elke aveva ripreso in apparenza la vita di sempre, tornando in laboratorio e lavorando per molte, forse troppe, ore al giorno. Si capiva però che non era più la persona di un tempo. Il elke disperatasabato mattina andava via per ultima, senza alcuna fretta di tornare a casa. Quella domenica, il 15 dicembre, dopo aver trascorso la serata con i suoi genitori, Elke non rientrò, ma si diresse al laboratorio del Dipartimento dove poi l’hanno trovata.

Accanto al corpo, che non lasciava dubbi sul fatto che si trattava di suicidio (Elke aveva chiuso a chiave la stanza dall’interno e si era iniettata dell’aria in una vena), furono rinvenute copie di quelle stesse foto che Daniel, in tempi non sospetti, aveva chiesto gli fossero seppellite accanto, se mai fosse successa una disgrazia.

Nella borsa, invece, c’era una lettera per i suoi genitori, ai quali, non chiedendo perdono per il suo gesto, spiegava le ragioni che l’avevano condotta a quella conclusione. Elke affermava di aver scelto di morire in piena consapevolezza e che nessuno doveva sentirsi in qualche modo responsabile della sua decisione finale; ringraziava i suoi genitori per tutto quello che avevano fatto per lei, e tutti coloro i quali avevano cercato di alleviare la sua sofferenza. Il suo unico rammarico era di non aver potuto lasciare un segno tangibile della sua dedizione alla scienza.

elke e dannyIl solo desiderio era quello di ricongiungersi a Daniel, ma per essere sicura di ritrovarlo doveva ripercorrerne il cammino. Era convinta che il mondo, popolato di insetti piccoli e grandi che giocano a distruggersi, non avrebbe capito le ragioni di Daniel e neanche le sue.

 

 

 

Tracy Heidelmann – aprile 1991

 

 

 

 

   

Paola Cimmino, Storia di Igwald, 1993 (rev. 2012)

 

ottava puntata

appendice

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