Storia di Igwald (parte VII)

 

viola

 

Sono sconvolto.

Mark, il mio amico Mark è morto.

E il peggio è che forse non saprò mai chi è stato e cosa è successo esattamente sabato scorso, da quando lui ha riaccompagnato a casa la sua ragazza al momento in cui l’ho trovato per puro caso disteso sul ciglio della strada ormai in fin di vita, senza che la mia corsa all’ospedale servisse a molto.

Non capisco e non riesco a farmene una ragione.

 

Io ed Elke eravamo stati invitati a cena da Egon e verso le 11 avevo riaccompagnato Elke a casa poiché era molto stanca ed era pure leggermente raffreddata; sono poi uscito per comprare delle aspirine, impresa non facile data l’ora e le poche farmacie di turno aperte durante il fine settimana. Perciò ho pensato di avventurarmi sulla strada statale che porta al più grande ospedale del distretto nel quale è sempre aperta una specie di rivendita di medicinali e altri generi per il pronto soccorso.

C’era una fitta nebbia lungo la strada e procedevo lentamente quando a un tratto ho intravisto un’auto dall’aria familiare, e ancora di più, uno speciale adesivo sul vetro posteriore che conoscevo assai bene per averne regalato uno identico a Mark.

Mi dicevo che non poteva essere lui, che cosa mai doveva fare Mark da quelle parti e a quell’ora… In quel momento ho pensato a tutte le cose possibili tranne che a un incidente.

Accostandomi ho allungato i fari per capire se al volante ci fosse qualcuno ma non vedevo nessuno, mentre ormai ero sicuro che quella era proprio l’auto di Mark.

Poi quella scena che non potrò dimenticare.

Pochi metri più in là, immerso in una pozza di sangue giaceva un uomo e quell’uomo era Mark, ancora vivo. Mi precipitai dopo avere accostato la mia auto al bordo della strada, sperando si trattassemark di una cosa non grave. La sua voce era debolissima ma capii che era stato investito da una macchina con dei ragazzi a bordo, probabilmente ubriachi, che andavano a forte velocità. Mark si era fermato con i fari accesi e i segnalatori di emergenza perché la sua macchina aveva avuto un guasto, ed era sceso sperando nell’aiuto di qualcuno o al limite in un passaggio fino in città. Loro non l’avevano forse neanche visto e in ogni caso non si erano fermati a soccorrerlo. Le nostre leggi puniscono severamente la guida in stato di ebbrezza e si può ipotizzare che forse per questo quei giovani non si sono fermati. Ammesso che l’abbiano visto…

 

Con grande difficoltà riuscii a sollevarlo e a raggiungere in fretta l’ospedale del distretto verso il quale, come ho detto prima, mi stavo già dirigendo per motivi assai più banali. Di lì, dopo aver lasciato Mark alla cura dei sanitari, telefonai ad Elke per metterla al corrente della situazione. Dopo circa mezz’ora Elke, che era riuscita a rintracciare Edwin e Dora, giunse all’ospedale. Erano tutti e tre trafelati e agitati in quanto non avevo potuto spiegare loro nei dettagli quello che era successo. Quando i medici uscirono dalla sala di rianimazione notai l’espressione dei loro volti e capii che non era stato possibile salvarlo. Si avvicinarono a noi chiedendo se eravamo suoi parenti e con delicatezza ci confermarono che per Mark non c’era più niente da fare e che avevano fatto tutto ciò che era umanamente possibile per strapparlo alla morte. Elke scoppiò a piangere, mentre io ero impietrito per la notizia. Nella fretta avevo dimenticato di avvertire i genitori di Mark dell’incidente e adesso non avevo più neanche il coraggio di affrontare il loro comprensibile dolore.

 

Non volevo lasciare ad Edwin questo compito, così mi avvicinai al telefono e composi quasi senza guardare il numero: mi rispose sua madre e con grande difficoltà ed emozione la pregai di raggiungere l’ospedale dove avevo portato Mark dopo l’incidente. La sua voce divenne flebile e rotta dal pianto, poi lasciò il posto a un singhiozzare convulso. Nel giro di mezz’ora i genitori di Mark erano là, entrambi stravolti. I medici ci avevano detto che Mark era morto a seguito di un’emorragia interna causata dalla rottura della milza e per le numerose ferite che aveva riportato cadendo sull’asfalto. Forse un soccorso più tempestivo avrebbe potuto salvargli la vita. Doveva essere rimasto lì per terra almeno un’ora prima che io passassi su quella strada. Mi passò per la testa in quel momento che se non l’avessi raccolto e trasportato in ospedale Mark sarebbe morto senza che nessuno si accorgesse di nulla, in una fredda notte di nebbia, per colpa di alcuni ubriachi…

 

Ai genitori fu chiesto di rimanere per le pratiche di riconoscimento e altre formalità; davanti alla porta però sua madre non ce la fece e lasciò che soltanto il marito entrasse. Si diresse verso di noi, che eravamo in disparte, e rivolta a me mi fece capire che era comunque grata per quello che avevo fatto, anche se, purtroppo, non era servito a salvare la vita al suo Mark.

 

Il corpo di Mark dovette restare in ospedale per la necessaria autopsia. I suoi genitori restarono là tutta la notte, perché non se la sentivano di tornare a casa soli e dovevano anche disporre il necessario per i funerali. Noi altri invece andammo a casa di Edwin, ancora increduli e incapaci di riprendere le nostre abitudini. Tenevo Elke sempre stretta quasi nel timore di perderla da un momento all’altro. Arrivati da Edwin mi accorsi che il mio paletot era macchiato di sangue in più punti. Istintivamente lo allontanai da me, ma già allora capii che non avrei avuto più il coraggio di indossarlo una volta smacchiato. Perciò decisi di lasciarlo in quello stato, tinto del sangue di Mark, ultimo ricordo del mio amico, un ricordo che non potevo, e non dovevo, cancellare.

 

Quella sera siamo rientrati tardissimo, ho subito tolto il cappotto, riponendolo nello sgabuzzino e mi sono accasciato su una poltrona, sulla quale, senza che me ne rendessi conto ho trascorso il resto della notte.

Al risveglio, il mattino seguente, ho notato che Elke era rimasta lì accanto, stesa sopra il divano, con indosso ancora il cappotto. Doveva essere esausta anche lei…

 

(Negli ultimi tempi i suoi ritmi di lavoro sono stati a dir poco frenetici, e forse adesso lei accusa un crollo di energie causato anche dallo stress che i suoi genitori non mancano di procurarle… siamo sposati da poco ma già tutti quanti le chiedono quando si deciderà ad aumentare la famiglia, cosa alla quale lei non pensa affatto, e che invece sembra turbare i sonni di molti fra parenti e colleghi).

 

stradaMi guardai attorno, fissando lo sguardo su quegli oggetti familiari che ora per la prima volta mi sembravano estranei, diversi; pensavo a tutte quelle cose che Elke, notoriamente sbadata, aveva distrutto e alle volte in cui l’avevo rimproverata per questo. Che cosa stupida, priva di senso prendersela per una cosa rotta: tutto era destinato, prima o poi, a usurarsi, comunque a trasformarsi, e niente può fermare questa degradazione, naturale o provocata dall’intervento umano.

Riflettevo sul fatto che pure gli uomini si trasformano nel corpo e nello spirito e qualche volta col tempo perdono qualcosa che non riescono a fermare, soffrendone crudelmente; così che anch’io avrei potuto trovarmi un giorno a constatare la perdita di un bene prezioso che nessuno avrebbe mai potuto restituirmi. Avevo perso Mark, ma temevo, ancor più, di perdere Elke, e con lei la mia ragione di vita. Non riuscivo a pensare a me senza coinvolgere anche lei, e per quanto talvolta mi sforzi di riconoscere la sua differenza, mi scoprivo incollato a lei, e lei a me. Il tempo che avevamo trascorso insieme aveva lasciato intatte certe nostre caratteristiche, ma aveva fatto sì che ci influenzassimo costantemente a vicenda. I nostri valori sono pressoché gli stessi e anche le nostre aspirazioni. Entrambi non accettiamo imposizioni o condizionamenti dall’esterno per motivi di convenienza, né ricatti affettivi; né temiamo ora il giudizio della gente. Forse anche per questo i nostri amici veri sono sempre stati pochi, ma con loro non abbiamo mai dovuto mentire.

 

I giornali riportarono la notizia dell’incidente di Mark e dell’avvio di indagini a riguardo.

Si chiedeva a chiunque fosse in grado di fornire indizi utili di collaborare con le autorità (il padre di Mark era un noto funzionario di polizia); ma i giorni passarono senza che niente di nuovo emergesse. Dei ragazzi che l’avevano investito, consapevoli o no, sembrava non esservi traccia. Qualche sospetto destò una macchina bianca di grossa cilindrata – appartenente al giovane rampollo di una nobile famiglia locale, assai facoltosa – rinvenuta, qualche giorno dopo l’incidente, all’interno di un garage, con una grossa ammaccatura e tracce di sangue nella parte anteriore destra. Ma le analisi della scientifica non riuscirono ad appurare nulla, dal momento che qualcuno si era adoperato rapidamente per cancellare le tracce di sangue ed eventuali impronte. Dunque qualcuno sapeva, ma si guardava bene dal parlare.

 

Dopo tre mesi di indagini il caso era stato praticamente archiviato e il padre di Mark se ne andava in pensione senza suo figlio e senza più alcuna gioia di vivere.  (Tracy)

 

Ai funerali eravamo in tanti. Cercavo in quei volti qualche risposta, ma rimanevano muti, per lo più immersi nei loro pensieri.


Dov’era quel Dio che doveva donare la pace eterna, mentre Mark si spegneva sul bordo della strada, un Dio che lasciava la sua morte impunita?

 

divisorio

 

Da qualche tempo seguo quasi alla lettera certe abitudini. La mattina sono assorbito dalla frequenza dei corsi all’università; di pomeriggio dopo il pranzo e i lavori domestici (non me la cavo poi tanto male…) passo qualche ora a casa dei miei genitori, dove è rimasta, per il momento, la mia vecchia stanza e lì, se Louise lo consente, riesco a studiare. Dopo le cinque mi raggiunge Edwin, che ha finito tutti gli esami e sta preparando la tesi, non senza difficoltà, dal momento che studia solo di sera, dopo il lavoro, e forse senza più l’entusiasmo di un tempo.

 

Maior è dovuto rimanere con i miei, dal momento che in questi ultimi mesi sono stato costretto anch’io, come Elke, ad assentarmi spesso da Vienna, per ricerche bibliografiche o per seguire dei corsi intensivi insieme ai miei colleghi. Da quando sono andato via di casa Maior si è molto affezionato a mio padre, con il quale passa la maggior parte del tempo, sdraiato sulle sue ginocchia. Ora sono meno geloso per questo, perché ho capito che Maior manifesta il suo attaccamento a chi vive sempre con lui, cosa che attualmente non mi è concessa.

La sera la trascorro quasi sempre a casa: preparo la cena in attesa che ritorni Elke, che è fuori praticamente tutto il giorno.
Ci sono settimane in cui ci vediamo pochissimo perché rientra quando ormai sono crollato per il sonno e a stento la ritrovo per la colazione.
Non so realmente come faccia a resistere, e nessuno, tra quelli che conosco, sopporterebbe mai che la sua donna lavorasse tanto, tranne me, che invece so bene quanto lei tenga al suo lavoro. Per fortuna è libera nel weekend, anche se di tempo per noi non ne resta poi molto. Il sabato sera ci vediamo con gli amici, ma da quando è mancato Mark i rapporti non sono più quelli di un tempo: una specie di malinconia si è impossessata di noi e contribuisce a dividerci; così, anche senza dircelo, sta venendo lentamente meno la voglia di vedersi in gruppo.
Manuel ed Egon trovano sempre più spesso motivi per litigare, mandandosi per qualche giorno a quel paese, mentre io ed Elke siamo proprio scocciati di trovarci sempre invischiati nelle loro beghe. Gli unici con i quali non abbiamo problemi sono sempre Edwin e Dora; raramente coinvolgiamo Rudolph e Stephen e rispettive consorti, in quanto i loro orari non collimano coi nostri e soprattutto perché prediligono la frequentazione di un ambiente al quale io ed Edwin ci sentiamo estranei.

 

 divisorio

 

Ieri sono andato a informarmi in un consultorio sugli esami prescritti a chi vuole sottoporsi a vasectomia.
Quando la segretaria mi ha chiesto perché fossi interessato, le ho risposto che non volendo avere figli intendevo sottopormi all’intervento quanto prima, in modo da risolvere una volta per tutte il problema della contraccezione, finora sempre affidato ad Elke, che fin dall’inizio della nostra relazione aveva deciso di prendere la pillola (ritenuta, non a torto, l’unico sistema veramente affidabile per non correre il rischio di una gravidanza).

arancio
La signora è rimasta perplessa e mi ha chiesto l’età. Ha detto anche che si trattava di un intervento irreversibile al quale scelgono generalmente di sottoporsi coloro i quali, giunti a una “certa” età ed avendo “già” avuto figli, non desiderano averne altri, e non possono o vogliono adottare i metodi tradizionali.

Era opportuno, diceva lei, che data la “mia” giovane età, pensassi “attentamente” alla eventualità di cambiare idea sul fatto di mettere al mondo dei figli.

 

Le ho ribadito che ero più che sicuro; solo allora ha allertato lo psicologo del centro, che essendo libero per la mattinata mi ha sottoposto al necessario colloquio.

 

Sembrerà paradossale, ma i soggetti che come me ricorrono a questa pratica, così come coloro i quali vogliono adottare un bambino, vengono sottoposti a un vero terzo grado allo scopo di ottenere la certezza di poter procedere al passo successivo. Ma mentre tutti trovano “normale” che una coppia senza figli scelga di avviare le pratiche necessarie per ottenere l’adozione, sottoponendosi a vari test attitudinali, vengono guardati con sospetto quelli che, al contrario, potrebbero avere una “vera” famiglia e invece non la vogliono.

 

Lo psicologo, benché sapesse di non potermi impedire di decidere la mia sorte ha tentato in ogni modo di scoraggiarmi, ribadendo il fatto che qualunque altro collega, anche il chirurgo, avrebbe sollevato obiezioni non sul fatto in se stesso, quanto sulla mia giovane età.

Suo malgrado mi ha fissato un altro appuntamento per approfondire meglio la questione dei disagi psicologici che alcuni pazienti sottoposti a vasectomia avevano riscontrato anche a distanza di anni, e mi ha invitato ancora a pensarci su e a discuterne con Elke.

 

Ero infuriato.

 

Stamattina all’ora stabilita mi sono presentato dallo psicologo, e con lui c’era anche il chirurgo. Quest’ultimo ha ribadito quanto il collega aveva già anticipato; di fronte alla mia determinazione hanno dovuto desistere. Hanno concluso dicendo di avere la coscienza “a posto”. Domani mi sottoporrò alle analisi del sangue, e se tutto va bene l’intervento potrà essere effettuato la prossima settimana.

 

(continua)

 

 

Paola Cimmino, Storia di Igwald, 1993 (rev. 2012)

 

 

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