Antropologia di un fenomeno. Il ciclista romagnolo

Romagna

Come tutti sanno, la Romagna è una terra straordinaria e ricca di attrazioni. Il vino, le tagliatelle, le discoteche, i bagnini… non ci facciamo mancare niente, ma una specie particolare a mio avviso è degna di menzione d’onore: il ciclista. Dalla notte dei tempi i romagnoli amano le due ruote, si spostano in bicicletta e impazziscono per le moto – “e mutor”, come si dice da noi – e il ciclismo non poteva non diventare uno sport nazionale.

Anticamente la specie ha avuto origine davanti ai bar, dove gruppi di amici decisero di alternare le partite a marafone con sane biciclettate competitive al termine delle quali l’ultimo pagava da bere per tutti. Il ciclista è notoriamente un animale sociale e si sposta a branchi, come chiunque guidi un’auto ha avuto tristemente modo di constatare, e quando si tratta di vita sociale i romagnoli non hanno rivali nel mondo. Ogni bar in cui si trovassero almeno tre ciclisti ha così formato la propria squadra, nel nome della quale la creatività romagnola ha dato il meglio di sé, e ora possiamo vantare capolavori come Il Bradipo, Re Artù, Anomalo Team, Il Pedale Bizantino, fino al recente Piè e Parsot che tradotto significa piadina e prosciutto, notoriamente ottimo cibo per lo sportivo.

La specie del ciclista romagnolo era anticamente limitata al solo sesso maschile, prerogativa che aveva i suoi vantaggi, come le tagliatelle pronte in tavola al ritorno dalla biciclettata, ma anche i suoi svantaggi, come le mogli furiose per i sabati e le domeniche trascorse dai mariti a scalare colline invece di portare le legittime consorti al mare o a trovare i parenti al cimitero.

Poi un giorno un oscuro ciclista di cui non si conosce il nome, uno di quegli anonimi geni che hanno fatto grande l’umanità, ebbe l’idea di creare la femmina della specie. Alcuni pionieri più giovani e spericolati, gli intrepidi prometei che accendono la fiaccola del progresso, partorirono la pensata di portarsi dietro le mogli. Immagino che inizialmente l’idea sia stata accolta con le colorite esclamazioni che rendono unica e inimitabile la nostra lingua, poi qualche consorte, vista la natura intrepida della donna romagnola, decise di raccogliere la sfida trascinandosi dietro le amiche.

Gli inizi furono difficili ma una volta superate le prime asperità, come il cannone, il manubrio basso e infine l’ostacolo supremo, i temibili attacchi dei pedali, è nata la femmina della specie. La ciclista romagnola è ancora più competitiva e agguerrita del maschio e mostra in ogni occasione la sua natura pugnace. In un branco di femmine cicliste si nota con evidenza che ciascun esemplare è disposto a tutto pur di non farsi superare dalle altre, a costo di digrignare i denti e sfidare anche il più temibile nemico della femmina ciclista, la discesa. Una volta imparato come si fa una curva, attività complessa per la ciclista romagnola, che non è addestrata fin da piccola a guidare il motore come il maschio, la femmina della specie è una carogna completa, disposta a lasciare per strada anche il marito agonizzante pur di non dare soddisfazione alle sue rivali. Finiti i tempi in cui si accontentava della bici vecchia del consorte, ora si compra l’ultimo modello in carbonio, sa tutto di cambi e ruote superleggere e spende in abbigliamento ciclistico più di quanto già dilapidi nel vestiario normale, inconveniente che il maschio della specie non aveva previsto.

Il ciclista romagnolo mostra sempre una morbosa attrazione verso qualunque femmina della specie che non sia la moglie. Purché in sella a una bici da corsa e inguainata in una tutina variopinta, la ciclista romagnola, di qualunque età, stazza e pezzatura, diventa preda ambita dei maschi della specie, che la omaggiano sempre con il colorito stile di corteggiamento proprio di tali esemplari. Naturalmente occorre essere romagnole per capire l’approccio senza chiamare la Polizia o la Croce Rossa.

I due branchi, maschile e femminile, amano molto radunarsi in colorati tornei che si concludono a tavola con abbondante cibo e beveraggi, come è tipico in questa regione. Ultimamente si sta osservando una nuova evoluzione della meravigliosa e colorita stirpe: la comparsa del piccolo della specie. Si sa che in Romagna i bambini escono pedalando dalla pancia della mamma, e da qui la logica conseguenza. Appena in grado di togliere le ruotine e stare in equilibrio, il piccolo viene collocato su una mini bici da corsa, bardato come un grande con tanto di casco, divisa e scarpette, e buttato in pista con gli altri cuccioli, così che ora è facile vedere sulle strade di Romagna sciami di ciclistini pedalare in branchi scortati da due adulti, uno davanti e uno dietro. La continuità della specie è così assicurata, con sommo dolore degli automobilisti che si impegnano a sterminarci, ma il ciclista romagnolo, come qualunque esemplare locale, è combattivo e determinato, e ce la farà nei secoli dei secoli. E zò boti…

 

Latest posts by Beatrice Nefertiti (see all)

2 Replies to “Antropologia di un fenomeno. Il ciclista romagnolo”

  1. Dovremmo essere una specie protetta dal WWF, invece pare che agli automobilisti abbiano dato le quote per l’abbattimento, come per i cinghiali 🙁

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *