Il senso profondo di Evenu Shalom Alehem (Sia la pace con noi)

di Cinzia Randazzo


Rintracciabile in una canzone popolare ebraica, l’espressione Evenu Shalom Alehem (che i primi cristiani rivolgevano sotto forma di saluto), si ritrova in un canto liturgico tuttora attuale. Questo ritornello, che è in uso anche nelle nostre chiese e accompagna molto spesso le celebrazioni liturgiche, viene mantenuto nell’originale ebraico: ciò porta a riflettere sul significato del termine shalom e sul senso profondo che il termine conserva al suo interno. Proprio perché lo shalom è un tema di grande attualità, al quale tutti – indipendentemente dalla razza o dalla religione – dovrebbero anelare, cercheremo di spiegarne il senso “nascosto”.

 

Originariamente il termine shalom ha il significato di integrità e di benessere materiale, con una forte accentuazione dell’aspetto materiale. La prosperità materiale, e quindi anche la salute fisica, è appannaggio esclusivo  dell’uomo che vive in modo equilibrato e ordinato sia esternamente che internamente. Ambedue le condizioni sono determinate da uno stile di vita sano e non corrotto da parte dell’uomo, che consente così la perfezione e la compiutezza fisica, materiale e collettiva.

 

Ma alla base di una vita prospera, ordinata ed equilibrata, sta il giusto rapporto di amicizia che l’ebreo instaura con Dio e con gli uomini; per questo shalom esprime anche un significato sociale, nel senso che suppone e include la relazione con gli uomini e quindi con Dio.

È così che l’ebreo vive la pace, caratterizzata dalla condizione di benessere fisico e spirituale, dalla sicurezza e dal giusto ordinamento giuridico di una comunità sia nei rapporti con le altre tribù, che all’interno di se stessa. Ed è questa forma di pace che viene espressa nella formula di saluto “la pace sia con te”, diventata oramai non solo nell’ A.T., ma anche nell’uso attuale, il saluto per eccellenza. Dal significato concreto che il termine ebraico di pace racchiude in sé, possiamo dedurre che anche oggi tale significato viene ripresentato nelle nostre chiese, per cui chi vive lo shalom è colui che vive in pace con se stesso e con gli altri.

 

Rifacendoci ad alcuni testi antico e neotestamentari tale pace è possibile realizzarla e viverla attraverso i seguenti motivi biblici:

  • la speranza. Essa gioca un ruolo chiave nel mantenere le membra del corpo in armonia tra di loro, in quanto la realizzazione di un proprio e singolare – diciamo singolare perché ognuno lo può realizzare nei modi e nei tempi che egli stesso sceglie – progetto di vita è per ognuno di noi motivo di pace. Chi persegue un progetto di vita e gradualmente lo realizza vive in pace con se stesso e con gli altri, in quanto ha reso concreto il progetto che da tempo perseguiva. Quindi la meta ideale, divenuta reale, è la base su cui ognuno di noi costruisce la pace con se stesso e con il prossimo. In tal senso la speranza di realizzare un proprio e specifico progetto di vita personale diviene per molti la piattaforma o meglio le fondamenta su cui poggiano le colonne della propria pace, perché grazie alla speranza si intessono buoni rapporti con se stessi e con i propri simili. Questo progetto di vita che il cristiano intende realizzare risiede sia direttamente che indirettamente nella fiducia di poterlo realizzare, e tale fiducia (dono del Cristo risorto, nel quale tutte le speranze sono realizzate) riempie di gioia e di pace.
  • il pentimento. Oltre alla speranza concorre al raggiungimento della pace il pentimento, perché colui che si pente dei propri peccati si riappacifica con il suo prossimo: “Correggetevi l’un l’altro non nell’ira, ma nella pace, come leggete nel vangelo, e a chi manca contro l’altro nessuno parli né venga da voi ascoltato sino a quando non abbia mostrato il suo pentimento” (Didaché 15,3). Sulla falsariga di Mt 5,22-26 e 18,15-35 il didachista vuole affermare che chi conduce il suo simile sulla via della salvezza è in pace con se stesso perché ha salvato il proprio fratello come se stesso. È anche in pace con se stesso colui che ha fatto di tutto perché suo fratello non abbia qualcosa contro di lui. La riconciliazione, che avviene dopo il pentimento, è dunque un’altra base su cui è possibile costruire la pace con se stesso e con il proprio simile. Colui che si riconcilia fattivamente con il fratello è colui che vive la pace profonda; pace che scaturisce solo da un cuore volto interamente a seguire gli insegnamenti di Dio.
  • la meditazione. L’uomo, sviato dal peccato, riconquista la pace del cuore meditando le parole di Gesù, grazie alle sue lividure e contemplando il volto di Dio. L’uomo corretto da Dio con un santo rimprovero vive in pace con sé e con gli altri.
  • la concordia. La pace viene avvertita anche come sinonimo di concordia con tutto il creato e con gli altri simili; immagine riflessa della pace del creatore nel settimo giorno. Dio contempla ciò che ha creato, perché tutto era retto dall’armonia e dalla concordia. Alla stessa stregua del creatore noi godiamo la stessa pace che Dio assaporò all’inizio della creazione, in quanto noi siamo stati creati ad immagine e somiglianza di Dio per esercitare al sicuro la sovranità concessa.

 

Pertanto chi ama l’altro e lo tratta come se stesso vive in pace in quanto è unito all’altro e i due formano una sola cosa. Il Signore gioisce quando vede colui che coltiva la pace nel cuore, e a coloro che amano la pace il Signore pone nel cuore la propria dimora, mentre invece i calunniatori non hanno pace in sé. La preghiera e la carità portano alla pace e quindi alla serenità.

 

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