La morte cristiana

 

di Margherita Merone

 

 Klimt

 

Sant’Agostino ha detto: “La vita è fatta per cercare Dio, la morte per possederlo, l’eternità per goderlo”.

Due sono i modi in cui l’essere umano affronta il problema della morte, o non ci pensa mai o ci pensa spesso; quasi mai accade che lo faccia con la giusta considerazione. Non pensarci vale per coloro che hanno paura o vivono solo in superficie; gli altri possono rientrare tra i filosofi, i credenti, tutti quelli che costantemente si pongono domande su cosa ci aspetta dopo la fine della vita.

La morte è un evento certissimo, nessuno sfugge, l’unica cosa che non sappiamo è quando arriva. L’argomento fa terrore, l’impatto è traumatico, si preferisce non parlarne ma il problema della morte non si risolve tenendola lontana dai discorsi o ignorandola completamente bensì armandosi di consapevolezza e maturità, affrontandola con il senso che merita. Il filosofo Pascal diceva ironicamente: “Gli uomini sono tanto sciocchi che, non potendo sopprimere la morte, per essere più felici, hanno deciso di non pensarci più”.

La morte va presa in considerazione facendo il cammino parallelamente a quello di Cristo.

Da principio la morte non era prevista nel progetto di Dio ma il peccato di Adamo l’ha introdotta. È considerata sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento come la grande “nemica di Dio”. Pertanto è stata un evento contrario alla natura umana, non naturale, una maledizione, un castigo che ha colpito la creatura colpevole davanti a Dio. La morte pertanto non va affatto banalizzata, considerandola ovvia o il passaggio da una vita a un’altra più elevata o per tanti, il nulla. La fede cristiana ci dice che la morte non è liberare l’anima dal corpo che ne è la prigione, come asseriva Platone, né un evento estremamente doloroso che condiziona decisioni e orientamenti ma piuttosto la fine dell’esistenza terrena e l’inizio di una nuova vita.

Nel vangelo si può vedere come Gesù si commuova di fronte alla morte degli altri, ad esempio nell’episodio di Lazzaro, quando piange davanti alla sua tomba. Prova un grande turbamento anche davanti alla sua morte, infatti pregando al Getsemani dice: “Padre mio, se è possibile, allontana da me questo calice” (Mt 26,39). Gesù teme la morte ma l’accetta per portare a termine la missione affidatagli dal Padre. Ma è proprio la sua morte e resurrezione a trasformare la morte, dandogli un altro valore. Gesù morendo rovescia la situazione, cambia il senso del morire, distrugge la nostra morte. È Paolo a rendere chiaro questo punto di vista: “La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?” (1Cor 15, 54-55). La morte non è più onnipotente.

Gesù ci ha associati alla sua morte e ci ha fatto partecipi della sua resurrezione. La morte è stata eliminata per sempre. Scrive San Paolo: “Ora invece Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la resurrezione dei morti. Come, infatti, in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia, poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo” (1 Cor 15, 20-23).

La morte dopo Cristo non è più un muro, un ostacolo, un nulla ma un passaggio che porta oltre. È quel passaggio che, iniziato col battesimo all’inizio della vita, raggiunge la pienezza nel momento in cui ci sarà la resurrezione dei corpi. In quell’istante non saremo soli ma ci sarà Cristo che ci ha preceduto nella morte. Si capisce allora come la morte non è per il cristiano una disperazione, una preoccupazione che gli impedisce di vivere serenamente. Al contrario la solitudine e la paura sono un peso per chi non crede, per chi non è in comunione con Cristo, non per coloro che sono suoi, hanno Dio come fondamento di vita e Cristo come centro e senso totale di questa vita e della futura. Vivono la morte non più come una maledizione ma come preparazione necessaria per la resurrezione.    

Io penso alla morte, non sempre ovviamente. Fisso il pensiero su di lei per dare maggiore significato a tutto il mio operato su questa terra e vivo nell’attesa della vita futura, quando Dio vorrà. Non chiederei una festa, neanche lacrime ma una preghiera. Una cosa è certa, non sono ancora pronta per dire come San Francesco: “Benvenuta sorella morte!”, frase con la quale accolse la morte, pensando alla grandissima gioia che avrebbe provato nell’incontrare Cristo, il Signore!

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