La sfida educativa

 

di Margherita Merone

educare

Affrontare nel nostro tempo il tema dell’educazione è molto difficile, questo perché piuttosto che essere vista come un compito da parte di ogni comunità umana – importante e fondamentale poiché stabilisce giuste regole che vanno seguite e rispettate – è diventata un problema pesante e indesiderato, qualcosa che va continuamente cambiato, rivisto, corretto e reinterpretato. Se un tempo esistevano modelli da seguire credibili e di senso che scorrevano di generazione in generazione, che garantivano la formazione solida e autentica di ogni persona, permettendo di seguire con serenità e senza grandi problemi un proprio percorso di vita, oggi si può parlare più propriamente di frattura, di disgregazione, di una quasi totale indifferenza. Si costruiscono più modelli educativi che spiazzano completamente soprattutto i giovani, che più facilmente di un tempo si perdono non trovando giuste motivazioni ad agire; e che col tempo arrivano a perdere se stessi.

Se torniamo per un momento al passato, scopriamo che l’educazione era un compito potremmo dire comunitario, una condivisione relazionale. La famiglia principalmente educava i figli secondo il dettato ricevuto, senza che nulla di buono andasse perduto. La tradizione lasciata in eredità non subiva cambiamenti rilevanti come avviene al momento attuale, in cui facilmente si perde il bello, il buono e il vero lasciando spazio a ciò che è relativo e può creare le massime opportunità. A soffrirne maggiormente sono i giovani lasciati soli, anzi spesso abbandonati a sbrigare da sé delle faccende senza sapere minimamente come affrontarle. Gli adulti non se la passano meglio: insicuri, fragili, spesso non sanno assumersi un impegno educativo capace di garantire un risultato che sia almeno sufficiente.

La società in cui viviamo ci vuole convincere che non c’è nulla che non sia possibile, che ogni scelta di vita è sullo stesso piano e il suo valore non cambia. All’inizio questa può sembrare la soluzione migliore, con l’illusione di non creare danno o responsabilità; ma un bel giorno la nave comincia a fare acqua e ad andare alla deriva. Scatta dunque l’emergenza: l’educazione va riportata al suo giusto valore e alla sua originaria dignità. La realtà va affrontata, non fuggita, la fuga non dà soddisfazione e non risolve i problemi. Ciò di cui si ha bisogno realmente è la figura di un educatore serio e ben formato che sappia educare in senso lato, insegnando la giusta disciplina, ciò che è giusto, che è un bene, un valore, nonché il fine che ogni persona deve raggiungere e per il quale vale la pena impegnarsi e dare il massimo.

La situazione, però, non deve essere vista solo e prevalentemente in modo negativo perché ci sono genitori assolutamente all’altezza del loro ruolo di educatori, così come maestri che danno l’anima e sono disposti a sacrificare il loro tempo per trasmettere con passione quanto di buono è stato loro insegnato. I frutti di tanto impegno si vedono e ne sono testimonianza tutti quei giovani che offrono un po’ del loro tempo per servizi di volontariato, assistendo persone che hanno bisogno di supporto fisico, psicologico, spirituale, siano essi bambini, adulti o anziani.

Occorre aggiungere a questa un’altra riflessione. L’educazione è un naturale processo umano nel quale si manifestano le basi fondamentali dell’esistenzaeducare umana, come il percorso di conoscenza, il bisogno di amare e sentirsi amati, di prendersi cura di qualcuno, di essere liberi e responsabili; ma soprattutto si costituisce su un tessuto che è relazionale. La dimensione antropologica che ha a che fare con l’educazione chiama in causa la relazionalità. L’attenzione viene quindi incentrata sui differenti ambiti della vita sociale in cui si costruiscono relazioni: oltre alla famiglia, il contesto lavorativo, quello del divertimento, il luogo in cui si pratica lo sport, i circoli ricreativi, certamente la scuola e altri luoghi in cui si stabilisce una comunità di persone, come nel caso della parrocchia.

La sfida educativa è un problema serio nella cultura contemporanea e va affrontato riappropriandosi della saggezza antica cercando di operare una trasposizione nell’oggi, tornando a parlare non di insensatezza della vita quanto piuttosto di un profondo senso della vita con una proiezione verso il futuro. Il concetto di senso non è limitato, si riferisce a ciò che dà significato, che fa seguire una determinata direzione, regola le proprie azioni e tutte le relazioni, orienta la persona verso un progetto di vita che è legato ad una realtà infinitamente più grande di noi. Se il senso manca, o col tempo viene a mancare, allora ci si conforma a vivere in una società dove non c’è alcun limite, dove tutto diventa lecito e manipolabile, non solo verso se stessi, ma anche nei confronti degli altri. Ad imperare è l’egoismo, il cinismo; si può resistere o rifugiarsi in paradisi artificiali che spesso portano alla morte. Viviamo l’intelligenza separata dall’affettività e questo non può che provocare un certo squilibrio. È necessario dunque ripristinare quella razionalità affettiva che porta la persona ad avere una personalità determinata, ben educata e soprattutto equilibrata.

albero e futuroLa sfida allora diventa riportare tutto al giusto equilibrio cominciando dalle relazioni che si vivono quotidianamente e riaffermare un’educazione che sia costruttiva per la generazione odierna e per quelle che verranno, senza scindere il soggetto umano in due creando una frattura che pregiudichi il suo progetto di vita. Questo vale tanto per colui che educa quanto per colui che viene educato, superando la deriva contemporanea che l’educazione sia un mezzo per sfruttare al massimo le opportunità che si presentano nella vita, adeguandosi così alla cultura attuale; va piuttosto focalizzata l’attenzione sul senso e sui valori veri per esaltare un soggetto veramente umano.

La chiesa non può sentirsi non interpellata quando si parla di educazione, anche se a lei spetta primariamente il ruolo di educare alla fede, certamente non in modo astratto, disgiunto dall’umanità delle persone. La chiesa non ha la pretesa in proposito di fare tutto da sola, ma collabora con gli ambiti che specificatamente sono addetti all’educazione, come la famiglia e la scuola, per far sì che essa sia di qualità. Si crea un lavoro di squadra in cui tutti, la società e non meno la cultura, sono responsabili del processo educativo.

Sono d’accordo con quanto dichiarò papa Benedetto XVI a proposito dell’emergenza educativa nella società contemporanea in un discorso su famiglia e comunità cristiana (6 giugno 2005), in cui secondo il pontefice ad imporsi è il relativismo che oscurando la verità spinge la persona a mettere in dubbio «la bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune». Il problema allora esiste sul serio perché tutto questo non porta ad altro che un profondo senso di vuoto esistenziale, di instabilità, di perdita delle radici che diventa sempre più forte nel corso delle generazioni e di una profonda insoddisfazione che può portare alla depressione e di conseguenza alla perdita del senso della vita. Quelli che nel passato erano vincoli inscindibili, legami che non si potevano spezzare, affetti considerati sacri e intoccabili, relazioni che una volta iniziate duravano nel tempo anche se messe costantemente alla prova, compresa la stima di se stessi, sono ora fragili, precari, oscillano col pericolo di spezzarsi.

Ma in questo deserto, dove sembra prevalere impietosamente l’insensatezza, c’è la possibilità di comprendere che con un’ottima educazione la nostra esistenza non solo si edifica e porta frutto, ma si riempie di speranza per il futuro perché la vita non è un dono meraviglioso di Dio privo di senso.

 

 

 

Gamy Moore
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