L’articolo che non sto scrivendo

 
scrivere

 

Non me ne frega niente. Non mi interessa se i miei pochi lettori sono abituati ormai da tre anni a leggere un mio pezzo ad inizio settembre sulle mie vacanze calabresi di agosto. 

Quest’anno l’articolo non lo scrivo.

Perché non lo scrivo?
Potrei dirvi che questi sono cazzi miei, ma sarebbe una risposta scortese ed io solitamente non sono scortese. Potrei dirvi che in realtà non so il motivo preciso della mia decisione di violare questa tradizione e non scrivere niente. E già questo sarebbe più esatto… e magari motivi ce ne sono più di uno… intanto non scrivo da mesi… mancanza d’ispirazione? No, più che altro poca avvedutezza e sfiga… io sono un maestro nella sfiga… che mi hanno fatto arrugginire
All’inizio di aprile il mio PC mi ha clamorosamente lasciato senza segni premonitori. Molte delle cose che ho scritto le avevo salvate su una pendrive, ma non tutto. Per esempio, non avevo aggiornato il mio nuovo romanzo Col tempo sai che era prossimo alla fine e sulla pendrive mancavano le ultime dieci pagine che avevo scritto. La cosa più logica da fare sarebbe stata riscrivere quelle dieci pagine… e questo normalmente io avrei fatto, pur sacramentando, se il tecnico che mi aggiustava il PC non mi avesse dato false speranze di recuperare tutto, rinnovando queste false speranze con cadenza quindicinale. Invece a tutt’oggi non ha recuperato una benedetta minchia. Ed io per pigrizia e per stizza non ho ancora riscritto la parte perduta. E questi mesi d’inattività senza scrivere mi hanno arrugginito come uno dei prototipi dei robot di Asimov dimenticato per 10mila anni in una caverna.
Definizione non del tutto esatta… i robot di cui Asimov racconta non arrugginiscono mai, ma io sono come quel primo robot difettoso di cui Isaac ha preferito non parlare.
Questa mia inattività amanuense… e qui si può tranquillamente aprire un dibattito sulla possibilità di parlare di inattività amanuense quando ormai a mano non scrive quasi nessuno, me compreso… questa mia inattività amanuense, dicevo, è stata comunque compensata.
Non potendo o non volendo scrivere mi sono reinventato in una nuova attività iniziata alla mia venerabile età, la scultura, con mio grande divertimento. Un po’ meno si è divertita mia moglie, iinsetto miei quadri riuscivamo a sistemarli magari mettendoli l’uno sull’altro e poi negli ultimi anni ne ho fatti pochi e le vendite compensano le nuove creazioni e a volte le superano.
Mentre invece le mie sculture fatte dei materiali più compositi e a volte grandi e pesanti hanno invaso la casa. Tutto questo non l’ha resa felice e mi ha pregato di lanciare un appello nel mio solito articolo di fine agosto… digli di andare per favore a vedere le tue sculture sul tuo sito www.giovannimerenda.it… magari a qualche pazzo piacciono e se le compra così libera un po’ di spazio in casa… peccato che io quest’anno l’articolo non ho nessuna intenzione di scriverlo e non la posso accontentare.
Questa mia nuova vena creativa… o vena di follia… ha comportato, però, la mia dedizione totale e ho smesso di scrivere pure gli articoli online e sulla carta stampata. Evidentemente il mio cervellino è limitato e non riesce a creare in due campi differenti.
Come vedete di motivi per non scrivere il mio pezzo ce ne sono… dolore per la perdita di una parte di una mia creazione… vena creativa dirottata…
E poi c’è la questione dell’aggancio… nei miei precedenti articoli ho sempre parlato dei libri che stavo leggendo in quel momento… stavolta sto leggendo Red Square di Martin Cruz Smith, cercando di completare tutte le vicende dell’investigatore Arkady Renko, ma procedendo senza seguire un ordine cronologico man mano che mi procuro i libri. Red Square è il terzo della serie e lo sto leggendo dopo il secondo Stella Polare, ma ho già letto diversi libri che vengono dopo.
Io ammiro molto Martin Cruz Smith, ma non posso parlare dei motivi della mia ammirazione perché l’ho già fatto in un articolo precedente della serie parlando di Lupo mangia cane e non voglio ripetermi.
Visto come sono bravo a trovare scuse per la mia pigrizia?
Contemporaneamente, il pomeriggio prima del tramonto leggo i cinque libri editi di un certo Giovanni Merenda, libri che avevo già letti, ma in alcuni casi molti anni fa.
E di Giovanni Merenda non credo che sia il caso di parlare, non ha molti lettori, solo i primi due volumi con la Sellerio sono andati esauriti con gli anni e non più ristampati. Sicuramente non è famoso, quindi deve valere poco come scrittore. Sappiamo tutti che diventano famosi in Italia solo gli scrittori che meritano, quelli bravi.
Naturalmente indipendentemente dalla casa editrice che li pubblica. Il fatto che i loro libri siano editi dalle quattro o cinque case più potenti in campo editoriale è solo un caso.
Comunque di Giovanni Merenda debbo citare un fatto strano: quelli che conosco che l’hanno letto lo apprezzano molto e vorrebbero leggere più spesso qualcosa di suo. Boh, contenti loro.
Prima di partire ho provato a intervistarlo nella sua casa piena di gatti, ma ho ricavato solo frammenti che c’entravano poco con i suoi romanzi.
viandanteLe mie virtù? Davvero poche. Al secondo posto metterei la mia creatività. Teatro, scrittura, scultura, pittura… mi sono perfino disegnato un pullover che ho fatto fare e anche delle ceramiche per casa mia… impegno a tempo pieno… magari facendo un’altra cosa… ho scritto il mio Riccardo III nella mia testa guidando ogni giorno per andare a insegnare a Letojanni e la trama di un mio romanzo inedito “La danzatrice di Ragusa” guidando fino a Roccella fuori dalle autostrade per andare a un convegno di giocatori di bridge…
Come mia prima dote metterei la curiosità, naturalmente non intesa come interesse per i fatti altrui, sono la persona meno pettegola del mondo…no, curiosità per tutti gli argomenti che mi interessano che mi ha portato al mio vizio preferito: “l’approfondimento di questi argomenti”.
Non sono specializzato in nessun campo, ma ho visto tante piante, anche strane, nate in tanti terreni…
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia…
oppure se non vogliamo citare Blade Runner possiamo dire che quando avrà fine il mio hard disk andranno perduti tanti giga, davvero tanti, di fatti interessanti.
E questa mia curiosità ha fatto sì che io mi formassi da solo le mie opinioni senza accettare supinamente quelle degli altri.
Fin da bambino se mi dicevano: Il sole sorge la mattina e tramonta la sera io dicevo: D’accordo, però domani mi sveglio presto e controllo.
I miei difetti? Cazzo, sono tanti, ma chiedili agli altri… non vorrai che io ti aiuti a scoprirli, chiedili magari alle donne della mia vita… te ne diranno decine… ma di una cosa non mi accuseranno: di averle fatte annoiare…
E qui il Merenda tirò fuori un’ottima grappa barricata e l’intervista praticamente finì… anche se non finì la serata…
Comunque vedete bene poca roba, niente da poter riportare e scriverci un pezzo.
Visto che ne ho di motivi per non scrivere il mio solito articolo a parte la pigrizia?
Per quest’anno fatevene una ragione!
Certo se l’avessi scritto mi sarei magari levato un po’ di ruggine… no, non sto scrivendo il mio romanzo e mi metto a scrivere per LetterMagazine… non esiste…
Però, peccato… prima di prendere questa decisione, quando ancora pensavo di scriverlo, avevo deciso di raccontarvi la storia di Norman e Norma… e doveva essere una storia piuttosto lunga… avevo deciso di chiamarla Trasformazioni, una storia che poi non ho scritto e non scriverò.
Mi restano i frammenti che avevo annotato prima di partire.

Norman Bates nasce nel 1932, figlio di John Bates e di Norma Spool Bates. Il padre muore quando il piccolo Norman è ancora un bambino. Da allora dipende completamente dalla madre. Norman e la madre vivono assieme in uno stato di dipendenza emotiva, a causa della morte del padre del bambino. Lei abusa di lui emozionalmente e forse anche sessualmente. Norma lo convince che tutte le donne tranne lei sono malvagie e nient’altro che prostitute.

Norma Jeane Baker Mortenson nasce il giorno 1 giugno 1926 alle 9,30 presso il General Hospital di Los Angeles. La madre, Gladys Pearl Monroe, è una donna affetta da gravi disturbi mentali, che la costringono a frequenti ricoveri in un ospedale psichiatrico. Norma viene dichiarata come figlia del suo secondo marito, Martin Edward Mortenson, da cui però la madre era separata dal 26 maggio 1925. Probabile che il padre naturale sia Charles Stanley Gifford, capo turno di Gladys Baker alla Consolidated Film Industries in cui Gladys Pearl Monroe ha lavorato come addetta al montaggio dei film.

Quando Norman diventa adolescente la madre prende con sé un uomo, che la convince coi soldi del marito defunto a creare il motel vicino a casa Bates, rendendo il ragazzo estremamente geloso. Norman assassina entrambi con della stricnina. Bates sviluppa una dissociazione della propria identità, acquisendo la personalità della madre e reprimendo la sua morte per sfuggire al rimorso di averla uccisa.

La piccola Norma trascorre un’infanzia assai travagliata.
Gladys non riesce a prendersi cura della figlia che vive fino all’età di 7 anni con dei genitori adottivi, Albert e Ida Bolender, di Hawthorne in California.
Ritorna poi con la madre che, però, poco dopo viene ricoverata in un ospedale psichiatrico. Sua tutrice viene nominata la migliore amica della madre, Gladys Grace McKee. Vive per un breve periodo con lei, ma quando la McKee si sposa nel 1935, Norma Jeane è inviata al Los Angeles Orphans Home Society (in seguito ribattezzato Hollygrove), e poi ad una serie di case-famiglia.
Appena fatti 16 anni, Norma si sposa con il ventunenne James Dougherty, che sei mesi dopo si arruola in marina lasciando il lavoro alla Lockheed.

Norman, però, sente ben presto la mancanza della madre e così decide di tenere il corpo imbalsamandolo e mettendo invece nella bara dei libri, senza che nessuno sospetti di nulla. Da allora Norman conserva il corpo della madre nella propria camera e, per sfuggire al rimorso di averla uccisa, inizia a darle metà della sua vita ovvero a parlare come lei, a pensare come lei e a vestirsi come lei. Ogni volta che qualcuno tenta di passare tra lei ed il figlio, specialmente giovani ragazze, la madre furiosa si risveglia in Norman eliminando tali persone con un coltello da macellaio. Quando Norman ritorna in se stesso non ricorda alcuna cosa degli omicidi e, credendo fossero stati commessi dalla madre, per “coprirla” fa sparire ogni traccia pulendo accuratamente e soprattutto si sbarazza dei corpi mettendoli nelle loro macchine per poi farle affondare in uno stagno vicino casa.

Norma va a lavorare in una fabbrica di paracadute e lì conosce il fotografo David Conover, impegnato a documentare il lavoro femminile nel periodo bellico, che la nota e la convince ad intraprendere la carriera di modella e ad iscriversi ad una scuola specializzata.
Da quel momento in poi, sotto la guida di un altro fotografo, Andrè de Denes, conquista le copertine delle riviste, finché viene notata dalla Fox e le si aprono le porte di Hollywood. A vent’anni, nel 1946, divorzia e si schiarisce i capelli.

Norma Jeane Baker Mortenson è diventata Marilyn Monroe.

Norman Bates viene arrestato dopo l’omicidio di Marion Crane, giovane donna, e Milton Arbogast, un investigatore privato mandato a cercarla per furto. Bates viene diagnosticato come mentalmente instabile e viene mandato in un istituto di cura, dove la personalità della madre prende il sopravvento.

E Norman diventa per sempre sua madre Norma.

Peccato, Trasformazioni poteva diventare una bella storia se sviluppata, anche se Norma Jeane Baker Mortenson è una persona vera e Norman Bates è stato creato dallo scrittore Robert Block e reso celebre da Alfred Hitchcock, ma io in questo momento non ho voglia di scriverla.
Quante volte devo ripetervelo? Io per quest’anno il mio pezzo di fine estate per LetterMagazine non lo scriverò.

 

scultura Merenda  

 

 


Si ringrazia per l’editing Benedetta Volontè

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