Appunti di scrittura creativa (n. 11)

scrittura creativa

Una delle tecniche narrative che ci aiutano sia “ad allungare il brodo” che a interessare, se ben utilizzata, il lettore, è quella della digressione.

In realtà la digressione (dal latino escursione) è una parte del discorso narrativo che volutamente porta verso un cambio, un allontanamento da ciò che si sta trattando, quasi – se non proprio – un fuori tema.

La digressione va fatta con attenzione, altrimenti diventa solo un sintomo della confusione che avete in testa oppure può dare la sensazione a chi legge di stare a perdere tempo. Essa deve invece arricchire la storia principale, deve incastrarsi in modo coerente e funzionale.

Nella digressione gli elementi che ne fanno parte s’incastrano perfettamente nel testo narrativo, sono attinenti alla situazione che si va descrivendo; il suo scopo è dare contrasto, esaltare il chiaroscuro dell’immagine narrativa.

Ecco un esempio di un testo e poi dello stesso testo con l’inserimento di una digressione.

La situazione è questa: un tale va ad concessionaria per acquistare un auto nuova.

«La scelta dell’auto, per noi uomini, è come scegliere una donna con la quale passare il resto della vita; questo lo pensavo anche con Alice, la mia ex. Solo che sia con le donne, che con le auto, alla fine capita che si trascorra solo qualche anno. All’inizio si vive quello stato di effervescenza, quello dove tutto è bello. Anche con le auto è così, almeno finché pervade quel profumo di nuovo quando si entra nell’abitacolo.  L’auto ti deve sedurre e questa che ho di fronte ha tutte le caratteristiche che mi piacciono: è rossa, è sportiva e ha un muso grintoso».

Vediamo questa stessa versione con delle digressioni.

«La scelta dell’auto, per noi uomini, è come scegliere una donna con la quale passare il resto della vita. Solo che sia con le donne, che con le auto, spesso si trascorre solo qualche anno. Un po’ come con Alice, che all’inizio ero certo avremmo trascorso insieme il resto della vita. Anche a lei piacevano le auto, quelle sportive. Spesso fantasticavamo su un viaggio a Londra con una bellissima Corvette; solo che all’epoca non avevamo nemmeno i soldi per uno scooter, figurarsi per una Corvette. Però era bello stare insieme, all’inizio si vive quello stato di effervescenza, quello dove tutto è bello, e anche se non avevamo un’auto sportiva, arrivare la mia vecchia Alfa Sud rossa fin solo in centro per una passeggiata ci sembrava già un lungo viaggio. Che tempi, non avevo nemmeno l’autoradio, però si cantavano insieme quelle vecchie canzoni di Battisti. Anche con le auto è così: all’inizio è tutto bello, le curi, le lucidi, almeno finché pervade quel profumo di nuovo quando si entra nell’abitacolo, come in questa. Ora che ci penso, che quest’auto sarebbe piaciuta anche ad Alice: è sportiva, ha un muso grintoso ed è rossa. Ha anche l’autoradio, ci si può collegare perfino l’iPOD; altro che andare in centro, con questa arrivi in capo al mondo. Peccato non arrivarci con Alice, peccato che alla fine quel profumo di nuovo svanisce sempre».

Come potete vedere, il racconto si arricchisce di esperienze, colori e chiaroscuri, rendendo la lettura più vivace. Abbiamo i ricordi, scopriamo alcuni episodi divertenti come cantare le canzoni di Battisti nella vecchia Alfa Rossa e ci facciamo un’idea più precisa del personaggio.

Una cosa a cui bisogna prestare attenzione, “nell’allungamento del brodo”, è non annoiare il lettore. L’errore più comune è quello di farcire il testo con un’interminabile fila di particolari. Come scrive Roberto Cotroneo nel suo “Manuale di scrittura creativa”: «Il lettore vuole capire vedendo. Non vuole leggere una mappa geografica, per quanto dettagliata. Nessuno riesce a intuire un luogo attraverso la lettura di una mappa. Vuole degli elementi che non siano soltanto descrittivi, ma che siano descrittivi ed emozionali insieme».

Siamo tornati ancora una volta sullo stesso punto fondamentale della scrittura: riuscire a suscitare nel lettore un’emozione. È l’emozione che tiene incollato il lettore, altrimenti anche l’elenco telefonico susciterebbe interesse nella sua lettura!

Con la digressione abbiamo praticamente toccato tutti gli argomenti principali che interessano il processo creativo quando si scrive una storia.

Una cosa importante è cercare sempre di scrivere di qualcosa che si conosce, che ci ha colpito, di cui abbiamo ragionato, ci siamo interessati, abbiamo in qualche modo approfondito e che sentiamo nostro.

È difficile raccontare di qualcosa di cui non abbiamo alcun riferimento dentro di noi. È chiaro che possiamo raccontare di cose che non ci appartengono: se scriviamo di un serial killer è pacifico che non è necessario diventarlo davvero! Però dobbiamo sapere quanto più possibile sui serial killer, informarci, leggere storie di serial killer, approfondire la nostra conoscenza con delle ricerche che possano darci spunti illuminanti per la storia che vogliamo raccontare.

Anni fa era tutto più complicato, cercare le fonti era dispendioso, ma oggi non ci sono scuse: basta digitare qualcosa su Google e ci viene fuori l’impossibile! Forse abbiamo invertito il problema, da quando non avevamo nulla, ora ne abbiamo troppo.

Saltando di palo in frasca, voglio raccontarvi di una curiosità. Una volta chiacchieravo con un’amica che aveva letto un mio racconto, d’un tratto mi fa: “Ma tu come li scegli i nomi dei personaggi?”.

Ecco, questa è una cosa che mi fa penare, specialmente quando devo dare un nome ai personaggi principali della storia. Per una questione di egocentrismo, chiamerei il personaggio principale, se uomo, sempre con il mio nome. Tuttavia non è quasi mai permesso a un autore di battezzare con il suo nome il protagonista, insomma stona un po’ la cosa. A parte gli scherzi, credo che non ci siano regole ben precise.

Personalmente il nome non mi deve evocare cattivi ricordi, se lo do a un personaggio positivo, anzi posso fare proprio il processo inverso: penso a una persona positiva della mia vita e uso il suo nome. Questa cosa può anche aiutare all’inizio, perché ci aiuta a dare qualche tratto distintivo al carattere di quel personaggio. Partendo da una persona reale, è più semplice stilizzarne una di fantasia da inserire nel nostro romanzo. Allo stesso modo per un personaggio negativo posso pensare a qualcuno che mi stava sulle balle, qualcuno antipatico e che non potevo soffrire.

Potrei anche pensare a dare in nomi in ordine alfabetico, così il primo lo chiamo Arturo, il secondo Bruno, il terzo Cristiana, il quarto Dennis e così via. Magari il lettore non se ne accorge nemmeno, anche se, ne sono certo, qualcuno di sicuro ci farà caso.

Alcuni personaggio potrebbero anche non avere alcun nome proprio, ma essere chiamati sempre e solo con un soprannome: il Rosso, er Cimice, il Bestio, e così via. I soprannomi sono molto più evocativi di un nome. Se chiamo qualcuno Davide, non dico nulla al lettore, a parte che è un maschio; diversamente se lo chiamo il Bono, suscito immediatamente un’immagine.

Se poi non avete proprio voglia di pensare al nome, aprite l’elenco telefonico e scegliete una pagina a caso, ad esempio: il trentottesimo di pagina ottantaquattro. Di sicuro evitate nomi troppo evocativi per un verso o per l’altro. Se il vostro personaggio è alto due metri e fa il buttafuori, non lo chiamerete Giacomino, anche se nella realtà ho un amico alto almeno un metro e ottantacinque che tutti chiamano Giacomino! Potete anche pensare di mettere in gioco qualche nome particolare e chiamare il farmacista Arocle.

Quello che conta è che quel nome per voi abbia un senso, d’altro canto quando a un bambino viene dato un nome, non si sa se poi da grande farà il postino, l’avvocato, il politico oppure il ladro d’automobili.

 

Nel prossimo e forse ultimo incontro, tratteremo l’argomento: “E ora che ho scritto il mio romanzo come lo pubblico?” in cui prenderemo in esame cosa fare e cosa non fare per provare a pubblicare il nostro componimento. Non ho ancora ben chiaro se quest’argomento si risolverà in uno solo articolo o se ce ne vorranno due. Lo scopriremo solo vivendo.

Massimo Petrucci
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