Appunti di scrittura creativa (n. 1)

Ho scelto d’intitolare questi articoli “Incontro” perché “Lezione” mi sembrava troppo pretenzioso.  Una lezione presuppone un maestro ed io proprio non ho la vanità di esserlo. Meglio “incontro” quindi, anche perché di questo si tratta: un appuntamento in cui parlare di un argomento che interessa sia voi che me.

Visto il mio interesse, nel corso del tempo ho preso appunti da corsi ai quali ho partecipato, libri che ho letto, chiacchiere con addetti ai lavori. Di queste conoscenze apprese, ne faccio tesoro con voi, condividendole.

Bando alle chiacchiere ed entriamo nel merito.

 

 

  • Perché scrivete? Perché lo fate?
    • Annotate la risposta alla domanda. Farlo davvero, fatelo ora.

Se qualcuno tra voi ha risposto che si scrive per se stessi, è sulla cattiva strada oppure ha mentito.

Chi scrive, lo fa per farsi leggere e non soltanto – si spera – per far colpo sulla tizia che piace o per condividere qualcosa con l’amico del cuore. Si scrive soprattutto per farsi leggere da quanti più lettori possibili. Tutte le altre risposte, che di solito si rilasciano nelle interviste, sono balle o momenti di romanticismo intellettuale (altro modo di dire balle).

A una lezione di scrittura creativa, Roberto Cotroneo ci chiese: “Se domani il mondo scomparisse, continuereste a scrivere?” la giro a voi chiedendovi: “E voi che cosa fareste?”

Pensateci un attimo e poi continuate a leggere.

Se avete risposto: “Continuerei a scrivere!” allora davvero siete dei bugiardi oppure degli ingenui o siete ancora sulla cattiva strada. La verità è che nessuno scrittore scriverebbe ancora se domani mattina il mondo non ci fosse più. Il motivo è che uno scrittore senza lettori serve meno di un tostapane senza corrente elettrica.

Il fatto è che si scrive per raccontare a qualcuno una storia.

In un’intervista Carlo Lucarelli, parlando di scrittori e di scrittura, disse che se ad uno scrittore si chiedesse  di andare per tutta la vita in un posto magnifico, il luogo dei suoi desideri, questo stesso scrittore risponderebbe: “Posso andarci per metà della vita e poi tornare per raccontare tutto?”

Si scrive per raccontare una storia.

Questa considerazione ci porta ad un secondo concetto: la semplicità nel raccontare.

Un racconto è un racconto, niente di più. Un racconto non è un sermone, se c’è una cosa che non si sopporta è uno scrittore che sale, a mo’ di piedistallo, sul suo libro e ci fa una bella predica. Che noia! Per non parlare di quegli scrittori che dimenticano che “un racconto è solo un racconto” ed iniziano ad usare un vocabolario aulico, pieno di ghirigori letterari, metafore e iperbole.

John Gardner, in un corso di scrittura creativa, agli aspiranti scrittori, disse: “Per favore, usate il linguaggio comune, quello di tutti i giorni e con il quale parliamo”.

Se questa mattina un cane si è lanciato davanti alla vostra auto, costringendovi ad una frenata brusca che ha causato il tamponamento con l’auto che vi seguiva, dalla quale è sceso un uomo di un metro e novanta che per poco non vi ha polverizzato, voi come lo raccontereste ad un amico?

Ecco, immaginatevi al bar, il vostro amico che sorseggia il caffè e quindi vi chiede: “Allora, che mi dici di bello?” E voi, poggiando la tazzina sul bancone: “Quando ormai l’alba aveva lasciato luce al giorno, una pelliccia a quattro zampe ha deciso di materializzarsi davanti alla mia automobile. Lesto ho spinto sul pedale che aziona il sistema frenante del mio mezzo, ma pur evitando di mettere fine all’esistenza del quadrupede abbaiante, non ho potuto evitare che il mezzo immediatamente dietro di me, finisse per precipitarmi addosso! Preoccupato dell’accaduto, stavo per scendere, ma non ho neanche messo piede sull’asfalto bollente, che un uomo, dalla statura spropositata, ha sovrastato l’intera mia persona con un volto arcigno che non prometteva assolutamente niente di buono!”

Il vostro amico, in silenzio, poggerà la sua tazzina sul bancone, vi guarderà con apprensione e vi domanderà: “Ti senti bene?”

Se non bastasse, ho il numero di un bravissimo psichiatra che potrebbe fare al caso vostro.

Quindi si scrive per raccontare una storia e lo si deve fare in modo che quella storia venga compresa. È necessario allora che il linguaggio usato sia semplice e comprensibile da tutti.

Una volta che abbiamo una storia e abbiamo scelto di raccontarla in modo semplice, perché raccontare proprio questa storia?

Se state lavorando ad un racconto oppure ad un romanzo, ponetevi questa domanda: perché lo sto facendo? Perché qualcuno dovrebbe leggere questa storia? Solo perché piace a voi?

Spesso si scrive per un impulso interiore, per un dolore o per qualcosa che ci ha colpito nell’intimo. Uno scrittore è un magnifico osservatore, uno che passa il suo tempo occupandosene, che assorbe situazioni e cose, le fa sue, le rielabora e le riporta su carta.

Tuttavia spesso si mette per iscritto la propria vita, il proprio caso personale e si finisce per fare autobiografia. Sappiate fin da subito – e prima che vi mettiate all’opera – che se non siete Maria Teresa di Calcutta, Michael Jackson o l’assassino di Kennedy, la vostra storia non intessa proprio a nessuno.

Ma se proprio avete qualcosa che vi appartiene e che desiderate raccontare, allora dovreste prendere il nocciolo della questione, sradicarlo dal vostro mondo personale e porlo in un “non luogo”, un posto dove possa acquisire un significato più universale, in cui il lettore possa in qualche modo scoprire che quel nocciolo appartiene anche a lui. Se ci riuscirete, avrete fatto un passo importante per far sì che ciò che state scrivendo smetta di appartenere solo a voi, per appartenere a tutti.

Su queste riflessioni, finisce il nostro primo incontro. V’invito a rielaborare quanto avete letto e a lasciarlo sedimentare un po’. Vi do appuntamento al prossimo incontro.

Massimo Petrucci
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12 Replies to “Appunti di scrittura creativa (n. 1)”

  1. Questi incontri sono davvero interessanti. Ti linko nel mio blog (è demenziale e sgangherato, ma non preoccuparti). La scrittura deve essere lieve e leggera, l'occhio e la mente devono volare sulle parole senza alcun intoppo. Del perchè scriviamo non ne importa granchè a nessuno.

    1. Ho visto il tuo blog, Stranoforte, ed ho letto spunti interessanti.
      Ti ringrazio per il tuo gentile commento e spero che continuerai a seguire quest'incontri.

      Sul "perché" si scrive, è vero che non interessa al lettore, non direttamente almeno. Se leggo un romanzo, principalmente voglio che quel romanzo mi prenda, il perché il suo autore lo abbia scritto, non è che poi m'importi molto.

      Il "perché" dovrebbe invece interessare colui che scrive: perché sto scrivendo questa cosa? Perché ne sento la necessità? A volte rispondere a queste domande, chiarisce molti aspetti di ciò che si sta per scrivere, aprendo spunti di discussione e riflessioni che possono arricchire la nostra opera. Scrivere tanto per scrivere va bene sul web, va bene per farci due risate con gli amici oppure condividere un pensiero o una piccola emozione. Scrivere perché si ha un'idea forte, che spinge per essere messa su carta, che diventa quasi una necessità, è un altro paio di maniche.

      A presto ri-leggerci.

  2. Ho apprezzato tantissimo anche io… e d'accordissimo con le balle nascoste dal velo del romanticismo intellettuale. Quanto vorrei che quanto ho da dire venga letto, e se apprezzato ancora meglio ovvio. Comunque in generale penso che si scriva perchè si ha qualcosa da dire e non tanto perchè si vuole dire qualcosa.
    Aspetto lunedì, cioè domani, per rileggerti. Bell'incontro sì.

    1. Ti ringrazio Aida ed hai ragione quando dici che si scrive perché si ha qualcosa da dire e non tanto perché si vuole dire qualcosa, ed io aggiungerei "tanto per dire qualcosa".
      La storia da raccontare, se c'è, ad un certo punto diventa un'esigenza. Essa esiste già prima di noi ed attraverso di noi, viene fuori. Prende forma nel tempo, nelle vicende che ci sono accadute, che abbiamo ascoltato, visto e appreso. Tutto si fonde in un humus di sensazioni e azioni che generano, quasi alchemicamente, un'idea e, dall'idea, la storia a raccontare. Solo dopo viene tutto il resto, viene il "mestiere" di scrivere, il come si fa.
      Troppo spesso, invece, assistiamo al contrario: si parte dal "mestiere di scrivere" e si vuole creare un'idea, un racconto, una storia e si finisce per assemblare inevitabilmente prodotti prefabbricati e falsi.
      Scrivere è quasi sempre finzione, certo, ma deve essere fatto con onestà emotiva.
      A domani.

  3. Ci sto e vi seguo. Concordo assolutamente sulla falsità dello scrivere per se stessi. Così fosse, scriveremmo tutti in un libriccino piccino picciò da tenere chiuso nel nostro comodino, ed anche in quel caso ci accarezzerebbe l’idea di quando un giorno, noi mancanti, potrebbe essere letto da chissàchi.

    Grazie Massimo, ti aspetto al prossimo intervento.

    clelia

    p.s. Quando ho cominciato a leggere, ed immaginare certi miei scritti, la storia della cronaca di un fatto accaduto ad un amico al bar, beh … sono scoppiata a ridere. E’ vero! Ogni tanto perdiamo di vista la naturalezza. Ne farò tesoro.

    1. Salve Clelia,
      sono felice che questo primo incontro sia stato di tuo gradimento, in particolar modo sono contento che tu abbia apprezzato l’esempio (un po’ esasperato) del racconto dei due amici al bar.
      Molto spesso, leggendo un po’ qui un po’ lì, trovo dei testi molto simili a quell’improbabile discorso fatto dal tizio al bar.

      Sulla scrittura dei diari segreti, molti psicologi sono dell’idea che essi vengano scritti nella recondita speranza che qualcuno alla fine li legga. Quindi, come vedi, torniamo sempre al concetto iniziale.

      Ti do appuntamento a lunedì con il secondo incontro.

  4. Sono d’accordo con te che non basti vomitare parole, per fare letteratura. E che occorrano disciplina e competenza per dirsi scrittori o poeti. Per quanto riguarda il concepire la scrittura come un lavoro, no. La Scrittura è Arte: un miscuglio di talento, rigore, sostanza umana, cultura, bisogno, volontà, follia, ambizione, gioco. E’ il matrimonio riuscito tra disciplina e anarchia, ragione e sentimento, realtà e fantasia. Se diventa un lavoro perde ogni attrattiva, almeno per me. Se resta un gioco, serio come un gioco dev’essere, allora è un altro discorso. Perciò questo corso di scrittura creativa mi interessa moltissimo! 🙂

    1. E’ chiaro che per me è un “gioco serioso” in cui credo davvero.
      Questi incontri di scrittura creativa, vogliono proprio essere questo: un incontro, uno scambio di opinioni.
      Quello che io imparo da “altre parti” lo condivido volentieri con tutti voi. 🙂

  5. “Io scrivo perché sento il bisogno innato di scrivere! Scrivo perché non posso fare un lavoro normale, come gli altri. Scrivo perché voglio leggere libri come quelli che scrivo. Scrivo perché ce l’ho con voi, con tutti. Scrivo perché mi piace stare seduto in una stanza a scrivere tutto il giorno. Scrivo perché posso sopportare la realtà soltanto trasformandola. Scrivo perché tutto il mondo conosca il genere di vita che abbiamo vissuto, che viviamo io, gli altri, tutti noi a Istanbul, in Turchia. Scrivo perché amo l’odore della carta, della penna e dell’inchiostro. Scrivo perché credo nella letteratura, nell’arte del romanzo, più di quanto io creda in qualunque altra cosa. Scrivo per abitudine, per passione. Scrivo perché ho paura di essere dimenticato. Scrivo perché apprezzo la fama e l’interesse che ne derivano. Scrivo per star solo. Forse scrivo perché spero di capire il motivo per cui ce l’ho così con voi, con tutti. Scrivo perché mi piace essere letto. Scrivo perché una volta che ho iniziato un romanzo, un saggio, una pagina, voglio finirli. Scrivo perché tutti se lo aspettano da me. Scrivo perché come un bambino credo nell’immortalità delle biblioteche e nella posizione che i miei libri occupano sugli scaffali. Scrivo perché la vita, il mondo, tutto è in credibilmente bello e sorprendente. Scrivo perché è esaltante trasformare in parole tutte le bellezze e ricchezze della vita. Scrivo non per raccontare una storia, ma per costruirla. Scrivo per sfuggire alla sensazione di essere diretto in un luogo che, come in un sogno, non riesco a raggiungere. Scrivo perché non sono mai riuscito ad essere felice. Scrivo per essere felice.”
    (Orhan Pamuk, La valigia di mio padre, Einaudi)

    Mi piacerebbe far mio questo discorso, ma non posso che condividerlo in buona parte. Ciò che di questo discorso non posso prendere per me, sono alcuni passaggi che fanno la differenza. Sono una donna, non un uomo. Sono una persona disabile, non una persona normale. Ma sono costretta a lavorare per vivere, a fare un lavoro normale. Scrivo di notte o per buona parte della notte, e solo nel tempo libero o quando non posso farne a meno. Ho pochissimo tempo per star sola, anche se è quello che cerco quando scrivo. Star soli, quello è un bel motivo per scrivere. Scrivo poesie, non romanzi. E scriverei racconti, se avessi più forza di volontà e più tenacia. Ma ho solo una storia da raccontare, la mia. E mi basta un solo lettore, uno solo, per ritrovare il gusto della lentezza del ‘cuntare’, il piacere di cuntare perché qualcuno è in ascolto.
    Hikmet diceva che le parole sono un ponte; Octavio Paz cercava la palabra ‘puente’; io, senza avere la pretesa di somigliare a quei due, scrivo per trovare quella parola. Che sia depositata nel cuore di qualcuno o sugli scaffali di una biblioteca non è lo ritengo così importante.

    1. Cara Mariella,
      rispondere a questo tuo commento non è semplice e, per farlo bene, ci vorrebbero diverse pagine. Per questo, ti prego di perdonarmi se forse non sarò esaustivo come desideri e come il tuo commento merita.

      Orham Pamuk fa un elenco enorme di motivi per i quali si scrive. Sono tutti più o meno condivisibili, molti però sono solo dei punti di vista personali, tuttavia bisogna, a mio modo di vedere, comprendere una cosa essenziale: un conto è scrivere solo per se stessi ovvero per soddisfare una propria pulsione (es. scrivo per essere felice), un’altra cosa è scrivere per mestiere, per farne un lavoro.

      Posso scrivere anche un semplice elenco di cose ed essere felice (se è per questo Umberto Eco ha appena pubblicato un libro che è un elenco di cose più disparate – “Vertigine della lista”) ma ciò non vuol dire che la cosa che ho scritto possa poi interessare un pubblico più o meno vasto.

      In fin dei conti tutti scriviamo, ma non per questo siamo tutti scrittori. Il fatto che io senta un’emozione e la metta su carta non vuol dire che quella cosa che ho scritto sia per forza un’opera che valga la pena di pubblicare e che quindi sia “desiderabile” da un determinato numero di lettori.

      Il problema sta nel fatto che siamo abituati a digerire qualsiasi cosa arrivi sotto ai nostri occhi. Facebook ne è un esempio, come lo sono le migliaia di siti dove si prova a fare letteratura. Il web “letterario” si regge sulle parole di pseudo-poeti che non fanno altro che scrivere ed andare d’accapo molto più frequentemente e credono di aver scritto poesia. E per favore, non diciamo che tutto è poesia perché ha dietro un sentimento! Va bene su Facebook, ma la letteratura è un’altra cosa.

      Di certo hai ragione quando scrivi: “sono costretta a lavorare per vivere”. Il lavoro è deleterio, io sono contro, anche se passo l’ottanta per cento della mia giornata a lavorare, perché non si vive di sole parole (purtroppo). Oscar Wilde diceva che “Il lavoro è il rifugio di coloro che non hanno nulla di meglio da fare”, io dico che il lavoro (la costrizione al lavoro) toglie tempo alla realizzazione di noi stessi. Ma anche questo è un concetto opinabile.

      Infine, amica mia, trovo che scegliere di scrivere anche solo per se stessi, non credo abbia alcunché di negativo, anzi, se riesce a farti stare meglio, perché privarsene? Tuttavia, se della scrittura si vuole fare un mestiere, allora il “lavoro” presuppone delle regole di base, della “manualità” e delle norme, che spesso hanno molto poco a che fare col ritratto romantico dello scrittore ispirato.

      A presto.

  6. “Si scrive per raccontare….”
    non ho mai riflettuto molto sui motivi che inducono “la scrittura”,forse perchè ho sempre pensato che fosse un impulso dovuto alla grande passione per la lettura stessa.
    Il problema infatti non è la caratteristica di un autore, intrinseca e disegnata solitamente come “solitario e affamato del solo universo visto dai suoi occhi”,il vero quesito è insito in cio’ che si riesce a trasmettere attraverso l’uso delle parole.
    L’interesse non inizia per la singolarità di uno scritto…l’interesse culmina con la singolarità dell’arte di uno scritto.
    L’arte di scrivere si puo’ imparare?
    Si puo’ seguire un corso di scrittura e diventare automaticamente un bravo scrittore?
    I giudici poi dovrebbero essere chi?
    Uomini uguali ad altri uomini con prospettive e parametri di giudizi imparziali?L’imparzialità nell’arte non ha modo di esistere!
    La scrittura è soggettiva.Le parole sono voci solitarie che non possono far parte di alcun coro….possono solo echeggiare lieve in frastuoni di note…

    1. Ciao Angela,
      grazie per il tuo gradito ed interessante commento.
      La domanda che poni “L’arte di scrivere si può imparare?” porta con sé due concetti distinti: “arte” ed “imparare a scrivere”.
      L’arte fa parte della creatività e della sensibilità individuale ed è una caratteristica che o si ha o non si ha. Però, se si ha, si può imparare a gestirla al meglio.

      Imparare a scrivere si può, ma diventare scrittori di successo è un altro paio di maniche. Inoltre, oggi come oggi, “scrittore di successo” cosa vuol dire? Chi è uno scrittore di successo? Uno che vende tanti libri? Alessandro Greco si è interessato all’argomento scrivendo questo articolo che consiglio: Be(a)st Seller.

      La scrittura è soggettiva, hai ragione, ma ancora più soggettivo è ciò che si sente leggendo un testo.
      Tuttavia imparare alcuni concetti di base nella creazione di una trama, di un intreccio, di un dialogo, può di sicuro aiutare l’aspirante scrittore ad utilizzare gli strumenti di navigazione per muoversi nel suo stesso mare di parole che sta in procinto di attraversare.

      Al prossimo incontro, tra una settimana.

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