Appunti di scrittura creativa (n. 5)

Riassunto degli incontri precedenti:

  • Si scrive per raccontare qualcosa.
  • Questo qualcosa deve valere la pena di essere raccontato e poi letto.
  • Evitiamo, ad esempio, le pesantezze stilistiche o i sermoni.
  • Scegliamo un linguaggio immediato, quotidiano e diretto.
  • Impariamo a scrivere tutti i giorni.
  • Scegliamo con attenzione: il luogo, il periodo storico, un personaggio principale, un’idea forte come filo conduttore del nostro romanzo.
  • Caratterizziamo con chiarezza i personaggi principali.
  • Riduciamo al minimo i dialoghi e manteniamoli variegati nello stile.
  • Cerchiamo di essere quanto più veri nella finzione: la verità emotiva.


Inizio questo quarto incontro con una frase di Sandro Veronesi: “Quando soffrono, i professionisti smettono di scrivere e i dilettanti si mettono a scrivere”. Pensare alla scrittura come terapia, può andar bene se il nostro lettore è anche il nostro psicologo, per il resto è un concetto per buona parte sbagliato.

Sempre Veronesi, in una lezione tenuta alla Minimum Fax, dice: «Il professionista lì si ferma [quando ha un problema], lotta con questo vento, risolve, per quel che può, o vi è travolto, se non riesce a risolvere i problemi, poi, dopo, quando questo momentaccio è passato, scrive.

Il dilettante, invece, BUM, subito prende questo flusso di merda che gli arriva addosso, e, per terapia, per consolarsi, per reggere meglio l’urto e illudendosi addirittura che questo nobiliti il suo gesto, scrive. In quel modo tu dai un imprinting alla tua natura di scrittore che non ti rappresenta. E ti porti appresso, anzi addirittura ci lavori… è come lavorare con una penna con un macigno sopra e scrivere con ‘sto macigno. Ti porti dietro questo ingombro addirittura nella pagina, addirittura dai alla pagina che scrivi, e che chissà perché io dovrei leggere, le dai addirittura il compito di guarirti, di farti star meglio, di lenire il tuo dolore, alla scrittura o all’arte, diciamo, terapeutica. L’arte terapeutica c’è: è per i dilettanti, quelli che oggi lo fanno e domani non possono più farlo perché hanno vinto il concorso alle poste e non possono più scrivere, più recitare, più dipingere.

Allora sì: scrivete quando state male. Se il vostro approccio alla letteratura è di tipo dilettantistico, ma ripeto… ci sono dei dilettanti straordinari in questo senso qua, proprio per la freschezza, la prontezza con cui trasferiscono nella loro arte quello che stanno vivendo. Il professionista si protegge, perché si deve proteggere, perché è oggi, è domani, dopodomani, è sempre. Non puoi permetterti di caricare su un momento molto difficile tutto lo stress che consegue a un lavoro letterario.

Perché, ok, scrivi, ti alleggerisci del peso perché l’hai trasformato in scrittura, l’hai trasformato in una storia, ti sei preso le tue rivincite, hai mescolato le cose – come diceva Sartre: «la letteratura è dove chi perde vince» – chi perde vince, e uno già sta meglio. Te lo puoi permettere dopo quello che stavi passando mentre scrivevi, quello che stai forse ancora passando, con una speranza aggrappata a questo manoscritto – te la puoi permettere tutta l’altra merda che ti arriva per il fatto che hai scritto? O ti spazza via? E adesso? Siamo sempre lì: perché io dovrei leggere quello che hai scritto? Perché la gente dovrebbe correre in libreria a leggere quello che avete scritto anche ove ve l’abbiano pubblicato? Allora lì sono botte vere.»

Scrivere, bisogna che tutti ce lo ficchiamo nella testa, è mestiere, almeno lo è scrivere per fare lo scrittore, per vedere il proprio libro in libreria e fare il figo autografandone copie. Tutto il resto è per Facebook, per il diario personale e cose così.

Non ricordo la fonte, il mio quadernetto indica solo 5 Aprile 2009, ricordo però che si trattava di una scrittrice, l’appunto dice: “I principianti riempiono i propri racconti di sentimento, mentre dovrebbero essere più incentrati sui fatti quotidiani del raccontare, non per forza una morale, un insegnamento, piuttosto una serie di azioni che vengono dal carattere dei personaggi”.

Viene tirato in ballo nuovamente il concetto di “caratterizzazione del personaggio” di cui abbiamo parlato nell’incontro precedente. È chiaro quanto sia fondamentale concentrarsi sulla creazione del carattere, perché in base a esso, prima o poi, ci saranno delle scelte e, di conseguenza, delle azioni. I personaggi inizieranno a muoversi da sé e da questo movimento che poi si sviluppa il racconto, snocciolandosi una pagina dietro l’altra.

Ecco cosa vuole il lettore: un racconto, ma non uno qualsiasi. Chi legge vuole essere testimone di un conflitto, preoccuparsi per le sorti del personaggio principale ed attendere (leggendo) per sapere come va a finire.

Che cosa fa uno scrittore? Prende un tizio qualsiasi, un tale che, fino all’istante prima, conduceva una vita normale, con i suoi problemi quotidiani e tutto il resto (tanto per citare il compianto Salinger) e lo butta in un conflitto da risolvere. Ad esempio, don Abbondio, prima d’incontrare i bravi sul ponte, da dove veniva? Il giorno prima cosa aveva fatto? Che progetti aveva per la giornata? Io non lo so e nemmeno voi e forse nemmeno Manzoni. Lo scrittore si è solo limitato a “intercettare” il parroco e a mettergli davanti un bel conflitto: “Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani né mai”.

Lo scrittore intercetta un personaggio e gli cambia la vita, almeno finché ce l’ha sotto la penna. Prendiamo Marzio, ad esempio. Chi è? Non lo so, è un tale che sta andando al lavoro a piedi. È un salutista. Vi avverto: sto inventando all’istante, proprio mentre scrivo queste righe. Dunque, Marzio è un bel tipo, mangia sano, fa sport e sta andando al lavoro. C’interessa la vita di Marzio a dodici anni? C’interessa con cosa ha fatto colazione prima di scendere da casa? A me non tanto e forse nemmeno a voi. Seguiamolo un altro po’: eccolo che si ferma, perché? C’è una bambina disperata, il suo gatto è salito su un albero altissimo e non ne vuole sapere di scendere, è terrorizzato. A questo punto Marzio potrebbe chiamare i pompieri e proseguire per la sua strada, come ogni mattina, come sempre e a noi non importerebbe più niente di lui.

Invece no, Marzio è il personaggio della mia storia ed io, da buon “creatore”, non posso fargli vivere una vita tranquilla. Marzio, intenerito dalle lacrime della bambina, decide di arrampicarsi sull’albero e recuperare il gattaccio. Si arrampica per quasi venti metri, si allunga sul ramo, dove il gatto si è rifugiato, e guarda giù. La bambina è poco più di un punto, sembra che lo stia salutando, alza gli occhi, striscia ancora un po’ e in quel momento sente il frastuono di una motocicletta di grossa cilindrata e poi sente un urlo. Immediatamente pensa alla bambina, si sporge dal ramo e invece della moto, vede un pazzo munito di motosega, avventarsi sull’albero! Ecco, ora Marzio ha il suo bel conflitto da risolvere e il lettore ha qualcosa a cui appassionarsi: Marzio ce la farà? E se sì, come? E perché quel tizio vuole abbattere l’albero, chi è? I due si conoscono? Era una trappola?

Prima d’iniziare il nostro bel romanzo o racconto, dobbiamo sapere qual è il conflitto da risolvere, perché esso permeerà tutta la storia, farà in modo che accada questo e quello; successivamente il carattere dei personaggi farà in modo che ci siano delle scelte e non altre, che si compiano delle azioni e non altre. Solo allora il mondo del nostro romanzo inizia davvero a prendere vita.

Per delineare più facilmente i personaggi principali, di solito uso rispondere a una serie di domande che delineano la loro personalità. Le condivido con voi, magari qualcuno può adottarle nel suo modus operandi.


SCHEDA GENERALE DEL PERSONAGGIO

  • Nome, cognome, soprannome (se c’è)
  • Luogo, data di nascita, età
  • Segni caratteristici (esempio: zoppica, è pelato, è molto alto, è molto basso, ecc.)
  • Un po’ di vita (esempio: dove ha vissuto, caratteristiche della famiglia, tipo d’infanzia, relazione con i genitori)
  • Carattere (estroverso, aperto, gentile, premuroso, calmo, spaccone, vergognoso, triste, cupo, spietato, indifferente, irascibile, violento)
  • Istruzione
  • Stato civile (all’inizio della storia) e soddisfazione dello stato attuale (se single, voglia di partner; se sposato, voglia d’amante; solitudine/benessere)
  • Vita nella storia (professione attuale/attività)
  • Rapporti sociali (con i colleghi/compagni/coetanei; fiducia/collaborazione oppure sospetto/dispetto)
  • Rapporti personali con altri personaggi della storia
  • Mondo privato (hobby, interessi, gusti, sport, manie)
  • Ideologia e filosofia (politica, religione, punti di vista sulle cose)
  • Conflitti e motivazioni (bisogno->conflitti al bisogno->decisioni/azioni sul bisogno)
  • Processo di crescita e fine (chi era il personaggio, cosa ha imparato, cosa ha guadagnato e/o perso, chi o cosa è diventato durante il corso della storia, se è maturato)

Queste domande mi spingono – e spingeranno anche voi – a riflettere per bene su chi è il personaggio di cui vogliamo narrare la storia. Sapere qual è il suo punto di vista politico, tanto per fare un esempio, potrebbe condizionarlo in un certo modo se si trovasse coinvolto in una manifestazione no-global. Sapere che tutte le mattine si alza alle cinque e va a correre oppure che è un tipo molto sedentario e sovrappeso, è importante se viene inseguito da due malviventi.

Sul concetto di “che lavoro fa il nostro protagonista”, Giulio Mozzi scrive: «Ricordo l’inizio di un romanzo che lessi dattiloscritto: “Il 2 novembre, Marisa mi disse: ‘Non ti ho mai amato, tu per me sei stato una disgrazia’; e se ne andò. Mi presi un mese di ferie per pensarci su”. Domanda: chi, oggi, in Italia, può prendersi un mese di ferie, di punto in bianco, in novembre?» [da (non) Un corso di scrittura e narrazione – Terre di mezzo Editore]

Mozzi pone questa domanda perché di solito ci si fa prendere da un’idea iniziale (“tutta la storia praticamente ce l’ho in testa!”) e si finisce per trascurare dettagli importanti. Sapere che lavoro fa il nostro protagonista, vuol dire sapere cosa può permettersi e cosa no, ad esempio che auto possiede, in quale quartiere abita, perfino la dimensione del suo televisore LCD e se lo ha comprato a rate o meno.

Quindi, prima di metterci a scrivere, come direbbe Umberto Eco, è necessario pensare ai dettagli per poter immaginare e inventare l’universo in cui la storia si svolgerà.

Alla prossima settimana.

Massimo Petrucci
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2 Replies to “Appunti di scrittura creativa (n. 5)”

  1. Buona sera,
    desidero ringraziarla. Il suo articolo risponde ad alcune domande che mi pongo da qualche giorno.
    Considero la Scrittura una magica alchimia, necessaria la conoscenza e fondamentale lo studio.
    Ma, seppure esercito la disciplina, ancora mi sento scrivano e scribacchino.
    Tanto amo la scrittura e tanto la temo. Alle volte "implodo" e lascio la penna, per tornare quando la leggerezza riaffiora. Ancora grazie, e grazie dai miei personaggi…

    1. Grazie a lei per il suo commento.
      Sulla scrittura aleggia l'idea che nulla si possa imparare e che il genio basta da solo.
      Eppure tutte le arti passano dalla "bottega": Leonardo Da Vinci, Michelangelo, prima di diventare ciò che sono diventati, sono stati a bottega. Perché uno scrittore non può fare lo stesso? Ecco, quest'equivoco va sfatato. Ma bisogna anche sfatare l'idea che basta frequentare un corso di scrittura creativa per diventare grandi scrittori. Molto dipende da noi, dal nostro impegno.

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