Appunti di scrittura creativa (n. 6)

Riassunto degl’incontri precedenti:

  • Si scrive per raccontare qualcosa.
  • Questo qualcosa deve valere la pena di essere raccontato e poi letto.
  • Evitiamo, ad esempio, le pesantezze stilistiche o i sermoni.
  • Scegliamo un linguaggio immediato, quotidiano e diretto.
  • Impariamo a scrivere tutti i giorni.
  • Scegliamo con attenzione: il luogo, il periodo storico, un personaggio principale, un’idea forte come filo conduttore del nostro romanzo.
  • Caratterizziamo con chiarezza i personaggi principali.
  • Riduciamo al minimo i dialoghi e manteniamoli variegati nello stile.
  • Cerchiamo di essere quanto più veri nella finzione: la verità emotiva.
  • Il lettore vuole leggere di un “conflitto” e vedere come va a finire.
  • Pensate ai dettagli dell’universo che state costruendo.

Bentornanti! State scrivendo? Molto? Poco? Niente? Isak Dinesen (pseudonimo di Karen Blixen, scrittrice danese), diceva di sé: “Scrivo un po’ ogni giorno, senza speranza e senza disperazione”. Una frase come questa andrebbe incorniciata.

Essere scrittori, lo abbiamo detto, passa per l’artigianato dello scrivere e quindi dalla cura dello strumento. Ezra Pound diceva: “Una fondamentale accuratezza dell’espressione è il solo e unico principio morale della scrittura”. Certo, non possiamo basarci solo su questo, ma una fondamentale accuratezza d’espressione è almeno un buon inizio.

Immaginate: siete dal medico, non vi sentite granché, lui vi guarda e vi dice che avete una piccola infiammazione gastrica all’occhio destro. Anche un bambino saprebbe che “gastrico” è qualcosa che ha a che fare con lo stomaco e non con gli occhi. Che cosa pensereste di quel medico? Non so voi, ma io mi alzerei e, con un sorriso di circostanza, mi dileguerei nel giro di tre secondi!

Allora come può qualcuno definirsi uno scrittore se scrive bestialità come (tra parentesi le versioni corrette): pò (po’), stà (sta), qual’è (qual è), perchè (perché), fà (fa) e via discorrendo. Come è possibile iniziare una strada irta come quella dello scrittore non sapendo nemmeno le basi della lingua italiana? D’altra parte, come disse il drammaturgo russo Isaac Babel, parlando di tecnica narrativa: “Non c’è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di un punto messo al posto giusto”.

In fin dei conti – anche questo lo abbiamo detto, ma si sa che repetita iuvant – le parole e la punteggiatura sono gli unici strumenti che abbiamo per dare vita alla nostra narrativa. Raymond Carver, nel suo “Mestiere di scrivere”, scrive: «[…] le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste, con la punteggiatura nei posti giusti in modo che possano dire quello che devono dire nel modo migliore. Se le parole sono appesantite dall’emozione incontrollata dello scrittore, o se sono imprecise e inaccurate per qualche altro motivo – se sono, insomma, in qualche maniera sfocate – fatalmente gli occhi del lettore scivoleranno sopra di esse e non si sarà ottenuto un bel niente. Il senso artistico del lettore non sarà affatto stimolato.»

Proviamo ora ad entrare più nel merito della scrittura. Ogni racconto, o romanzo, ha un inizio particolare e magico: l’incipit.

Chi non ricorda il cane Snoopy seduto sulla cuccia davanti alla macchina per scrivere, col fumetto “Era una notte buia e tempestosa”? Uno degli incipit più noti al mondo; forse non tutti sanno che quell’incipit è una celebre frase di Edward Bulwer-Lytton nel racconto Paul Clifford pubblicato nel 1830 (It was a dark and stormy night).

Roberto Cotroneo, nel suo Manuale di scrittura creativa, dice che scrivere un libro vuol dire sedurre il mondo e l’incipit non è altro che un principio di seduzione. Per tale, motivo iniziare con il giusto ritmo e nel modo corretto, è fondamentale.

Vladimirovic Nabokov diceva che l’incipit è il palpito iniziale del racconto, l’opera che si fa realtà.

Un buon incipit introduce ma non dice, è un’ombra dietro ad una finestra che attira la vostra attenzione, è un passante che vi guarda negli occhi come per dirvi qualcosa e poi continua per la sua strada. L’incipit dà la spinta iniziale, quella che vi fa lasciare gli ormeggi ed iniziare il viaggio.

Vediamone qualcuno.

The Eye (L’occhio) – di Nobokov

Conobbi quella donna, quella Matilda, durante il mio primo autunno di émigré a Berlino, all’inizio di due segmenti di tempo: gli anni Venti e gli anni venti di questo schifo di vita. Mi avevano appena trovato un posto d’istruttore presso una famiglia russa che non era ancora riuscita a cadere in miseria, e che viveva dei fantasmi di antiche abitudini pietroburghesi. Non avevo precedenti esperienze nel tirar su bambini: neanche la minima idea di come parlare o comportarmi con loro. Erano due, due ragazzini. Al loro cospetto provavo un impaccio umiliante.

Il pendolo di Foucault – di Umberto Eco

Fu allora che vidi il Pendolo.

La sfera, mobile all’estremità di un lungo filo fissato alla volta del coro, descriveva le sue ampie oscillazioni con isocrona maestà.

Io sapevo – ma chiunque avrebbe dovuto avvertire nell’incanto di quel placido respiro – che il periodo era regolato dal rapporto tra la radice quadrata della lunghezza del filo e quel numero “pi greco” che, irrazionale alle menti sublunari, per divina ragione lega necessariamente la circonferenza al diametro di tutti i cerchi possibili – così che il tempo di quel vagare di una sfera dall’uno all’altro polo era effetto di una arcana cospirazione tra le più intemporali delle misure, l’unità del punto di sospensione, la dualità di una astratta dimensione, la natura ternaria di “pi greco”, il tetragono segreto della radice, la perfezione del cerchio.

 

E poi un romanzo che lessi nella mia adolescenza e che mi piacque molto, l’unico libro di Susanna Tamaro che sono riuscito a leggere.

Anima Mundidi Susanna Tamaro

In principio era il vuoto. Poi il vuoto si è contratto, è diventato più piccolo di una capocchia di spillo. È stata una sua volontà o qualcosa l’ha costretto? Nessuno può saperlo, ciò che è troppo compresso alla fine esplode, con rabbia, con furore. Dal vuoto è nato un intollerabile bagliore, si è sparso nello spazio, non c’era più buio lassù, ma luce. Dalla luce è scaturito l’universo, schegge impazzite di energia proiettate nello spazio e nel tempo. Correndo e correndo, hanno formato le stelle e i pianeti. Il fuoco e la materia. Sarebbe potuto bastare questo, eppure non è bastato.

 

Esaminiamo proprio quest’ultimo incipit: ci racconta di un vuoto cosmico e di una scelta (o un obbligo?), ci descrive la nascita della materia, delle stelle, dei pianeti, della luce e dell’universo intero. Eppure, ci dice, tutto questo non è bastato. Non è bastato per che cosa? E perché? Che cosa deve ancora accadere? Non è possibile non continuare a leggere per comprendere cosa ci sia di più importante e degno di attenzione della stessa creazione dell’universo.

Questo è il compito di un buon incipit: conquistarvi.

Voglio proporvene un altro, molto particolare, direi geniale!

L’orribile karma della formica – di David Safier

Il giorno in cui morii non fu affatto divertente. E non solo a causa della mia morte. A voler essere precisi, in effetti, l’evento si conquistò appena il sesto posto nella classifica dei momenti più spiacevoli di quella giornata. Al quinto andò l’attimo in cui Lilly mi chiese con sguardo assonnato: “Perché oggi non rimani a casa, mamma? È il mio compleanno!”

“Il giorno in cui morii” ci svela subito che il protagonista muore, ma è strano perché è anche la voce narrante. Ci dice anche che fu una brutta morte (non fu affatto divertente). Dopo qualche parola veniamo informati che la brutta morte del protagonista non è nemmeno l’evento principale, nella classifica di ciò che è accaduto è addirittura al sesto posto! Quindi viene subito da pensare: nei primi cinque eventi, che cosa diavolo è accaduto? Alla fine scopriamo che il protagonista è donna, mamma e si chiama Lully e che il figlio, quella mattina, le chiede di restare in casa perché è il suo compleanno. E poi, Lilly è una donna o una femmina di formica?

Dite la verità, non avete voglia di sapere cosa accadrà? Non vi viene voglia di continuare a leggere?

È chiaro, a questo punto, che l’incipit deve avere una grande valenza in termini di suggestione.

Attenzione però! L’incipit non deve in alcun modo essere un riassunto di ciò che si leggerà, in esso non ci deve essere troppo della storia che andremo a raccontare, non deve svelare troppo. Il buon incipit fa intravedere, come in quello di Safier, ma allo stesso tempo rilancia dell’altro: dice che il protagonista muore, ma dice anche che ci sono altre cinque cose peggiori (tutte da scoprire). Quello di Anima Mundi addirittura non ci dice assolutamente nulla di ciò che andremo a leggere, però ci dice che tutta la creazione dell’universo non è bastata e che c’è dell’altro degno di essere raccontato e noi (lettori) siamo interessati proprio a quest’altro.

In altre parole, l’incipit deve suggestionare e creare un’attesa.

Italo Calvino scriveva: «Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo: […] il mondo dato in blocco, senza un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita. […] Ogni volta l’inizio è questo momento di distacco dalla molteplicità dei possibili: per il narratore [è] l’allontanare da sé la molteplicità delle storie possibili, in modo da isolare e rendere raccontabile la singola storia che ha deciso di raccontare».

Facciamo un esempio:

Quella mattina mi svegliai prestissimo. Non avevo dormito molto dopo che avevo ucciso mia moglie. Non lo sapevo ancora, ma tra un po’ sarebbe arrivata la polizia e sarei morto su una sedia elettrica.

Che ve ne pare? Secondo me svela troppo, ha raccontato tutto. Proviamo a renderlo migliore.

Il sole si affacciava timidamente dietro le tende della mia camera da letto. Era stata una notte lunga e insonne vicino al cadavere di mia moglie. Quello che poi sarebbe successo nelle prossime ore, avrebbe cambiato per sempre la mia vita.

Meglio no? Non ci dice che ha ucciso la moglie, ma ci dice (inquietandoci) che è stato tutta la notte vicino al cadavere della moglie, perché? È stato lui? La moglie è morta di morte naturale? E perché non ha chiamato la polizia o un’autoambulanza? E che cosa sarebbe successo nelle prossime ore? Chi è quest’uomo? Ecco, abbiamo una sospensione che ci spinge ad andare avanti per saperne di più.

Vi propongo qualche esercizio, se ne avete voglia.

Immaginate di far entrare in scena un personaggio, ad esempio una bambina col suo cane. Scrivete diversi incipit, tutti diversi, che introducono la bambina sempre in storie diverse: horror, fantasy, umoristico. Fate voi.

Alla prossima settimana!

Massimo Petrucci
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