Il diritto di… pensarla diversamente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Papa Benedetto XVI l’altro ieri (ma anche in molte altre occasioni) ha dichiarato: «Il diritto alla vita è inalienabile. La vita umana sia riconosciuta sempre come soggetto inalienabile di diritto e mai come oggetto sottoposto all’arbitrio del più forte».

Ebbene, circa un anno fa “moriva” Eluana Englaro. Il virgolettato è dovuto a una mia personalissima opinione del concetto “vita/morte”.
In breve, per me Eluana Englaro ha smesso di vivere il 18 gennaio del 1992, giorno in cui un incidente stradale l’ha ridotta un vegetale. Da quel giorno, la sua per me non è più stata “vita”, e per quanto ne sappiamo nemmeno lei l’avrebbe considerata tale.
Il 10 febbraio del 2009, dopo quasi venti anni di lotte, il papà Beppino Englaro riuscì a far staccare la spina che alimentava il respiro di Eluana. Oggi, a un anno di  distanza, leggendo alcune considerazioni mi viene da riflettere a più ampio raggio.

È stupefacente constatare come tra coloro che accusano alcuni paesi islamici di fondamentalismo religioso, vi siano anche quelli che – nella “civile” ma poco laica Italia – professano la stessa idea di Stato Confessionale. Cos’altro vorrebbe dire altrimenti, da parte di certi cattolici, pretendere che quel che per loro è peccato – porre fine alla propria esistenza – sia reato per qualsiasi altro cittadino?  Cosa sarebbe questo se non voler imporre le regole della (propria) fede a tutti, esattamente come accade in quei paesi che tacciamo quotidianamente di medievale integrlaismo?

E, si badi bene, qui non si tratta di ammettere per legge un omicidio a terze persone, né di legalizzare l’aborto che pone a  tutti l’intricatissimo dilemma di dover scegliere tra due vite, una delle quali rivendica il diritto a non essere considerata “un’incubatrice”.  No. Qui siamo di fronte ad una questione che pone “semplicemente” – si fa per dire – un problema di laicità, di libertà individuale e di rispetto del prossimo: il caso di un cittadino che, non avendo di certo scelto di subire un incidente che l’ha ridotto in stato vegetativo incurabile, chiede almeno di poter autodeterminare la propria “fine ufficiale”. Diritto che, chi gode di buona salute, paradossalmente, può esercitare senza impedimenti.

Mi viene in mente il caso del buon Gianluca Pessotto. Un ragazzo con moglie, figli, fama, soldi etc. Apparentemente felice, cade in depressione e si lancia nel vuoto. Pessotto, a differenza di Eluana, ha provato con le sue forze a farla finita, cosa che Eluana avrebbe fatto ben volentieri se avesse potuto. Ma mentre il caso Englaro ha sollevato polemiche a go-go, Pessotto ha avuto – sia chiaro, anche la mia – la solidarietà di tutti. Non si tratta quindi, di dover essere tutti d’accordo sul fatto che ognuno sia padrone o meno della propria esistenza. Il vero nodo è riconoscere a qualcuno il DIRITTO DI PENSARLA DIVERSAMENTE e di agire di conseguenza. Anche perché se almeno la Chiesa avesse una linea di condotta coerente, si potrebbe soprassedere su molte questioni. Ma se da una parte si negano i funerali a Piergiorgio Welby, e dall’altra qualcuno viene sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare, beh, i conti non tornano.

La realtà, è che siamo alle solite: c’è un mondo “cattolico” che diventa strenuo difensore delle libertà  –  di imporre l’ora di religione, di non pagare l’ici per i milionari possedimenti immobiliari, di promuovere l’astensionismo per invalidare un referendum – soltanto quando gli conviene.

E poi, tornando all’inizio: «Il diritto alla vita degli uomini è inalienabile. »
Già, mentre quella degli Ermellini può essere riconosciuta come oggetto sottoposto all’arbitrio del più forte.

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8 Replies to “Il diritto di… pensarla diversamente”

  1. Sottoscrivo in toto, virgole comprese, il pensiero espresso da Maestra Carla.

    Come Manny ho accudito per due anni mia mamma colpita da ictus. Spesso mi chiedeva: "Che vita è mai questa?". Anch'io non sapevo cosa rispondere. Tutto il giorno, spesso sola, su una poltrona a guardare la televisione. Lei che fino a 78 anni aveva battuto il ritmo della vita con frenesia. Lei che amava l'aria aperta, il mare e la compagnia. Credo che se avesse avuto le forze avrebbe emulato il gesto di Gianluca Pessotto. Perché l'istinto dell'uomo ferito a morte è quello. Perché c'è una bella differenza tra vivere ed esistere.

  2. Non posso parlare per esperienza diretta, ma qualore il Signore volesse cacciarmi in una situazione come quella di Eluana, mi conforta il pensiero di avere vicino persone che la pensano diversamente da lei.
    Per spiegare poi la differenza tra Chiesa e Fede, non basterebbe tutto il web…

  3. … purtroppo la vicenda di Eluana Englaro è stata oggetto di strumentalizzazioni, da parte di Stato e Chiesa… mi trovo in sintonia con quanto espresso da coloro che mi hanno preceduto, in particolare con Manny, per una storia che sto "vivendo" da sei anni e che ci accomuna…

    1. Raffaella,
      mi permetto di darti un consiglio, e ti chiedo scusa se lo faccio. Parlale, parla con lei, continua a farlo anche se non sei sicura che capisca. Raccontale la tua giornata, i tuoi sogni, i tuoi batticuore. Se ti va, cantale la sua canzone preferita o la tua. Serve a te, al senso d'impotenza che opprime…
      E' difficile sostenere quello "sguardo", ti resta appiccicato addosso…
      Ti esprimo la mia sincera solidarietà.
      M.
      ps: A Francesco dico che la sua precisazione è corretta.

  4. Occorre a mio parere fare dei distinguo.
    Per come la vedo io, non solo Eluana era morta nel 1992 perché quella in simili condizioni non può chiamarsi "vita" (come nel caso di Welby), ma anche perché (a differenza, stavolta, del caso di Welby), Eluana ERA clinicamente morta e il suo cadavere (scusate la necessaria franchezza) era tenuto in vegetazione forzata. Con buona pace delle malefiche suorine che raccontavano a tutti che sorrideva (spasmi facciali involontari) e dell'onnipresente Berlusconi che ha violentato l'immagine di questa ragazza spacciandosi per il suo mancato salvatore.
    Ciò detto, distinguerei ancora dal caso del ragazzo che si lancia nel vuoto. In quel caso infatti, siamo di fronte a una depressione enorme, e dunque penso che un medico (psichiatra) abbia l'obbligo di tentare una cura (della malattia mentale) prima che si riconosca un simile diritto a un individuo.
    Nel caso di un Welby o simili, infine, dove la dignità del vivere è perduta e sotto c'è la SANITA' mentale del disabile invece, trovo che l'eventuale voler morire (che non è detto che ci sia, ma nel caso Welby era così) possa e debba venire assecondato.
    Eluana, Welby, Pessotto: attenzione, sono TRE casi completamente DIVERSI l'uno dall'altro.
    Spero di aver chiarito il mio pensiero.

  5. Questa volta, pienamente d'accordo con te…
    Siamo quello che vogliamo essere, secondo me, se ci vene meno la volontà…rimaniamo nulla.
    Sono personalmene terrorizzato dalla possibilità di rimanere per così tanto tempo in un limbo che non si può chiamare vita…

  6. Fotografia bellissima…
    ma "dopo" Eluana non era più così. Parlano i Signori che non conoscono il dolore dell'assistenza e della "trasformazione". Parlano, speculano sul dolore a fini di potere mediatico. Loro mi fanno pena.
    Se ci fosse stata una spina da staccare, io, per mia madre, l'avrei fatto. Occhi che ti guardano e ti dicono: "è forse vita questa?" E tu non hai risposte.
    Ho scritto il mio testamento, essendo giovane e in piena facoltà mentale: "staccatemi la spina quando e se ne avrò bisogno. E voglio "volare" in cenere sulle onde del mio mare".
    Lo dico amando la vita, in tutte le sue meravigliose manifestazioni. Me l'ha insegnato mia madre.

  7. Bisognerebbe "staccare la spina" che tiene in vita i rapporti tra Stato e Chiesa. Da quel rapporto malato e di convenienza vengono tutte le storture che ci governano.
    Sono credente, praticante, ma la commistione stato-chiesa mi sta stretta.
    La mia coscienza segue un filio che posso proporre ad altri in assoluta libertà, ma non posso imporre il mio credo a chi ne segue un altro.
    Lo stato dovrebbe fare le sue leggi che siano di sostegno e guida a tutti, sta poi alla decisione di ognuno accettarle per sè oppure no.
    P.S. Nell'anno in cui mi sono sposata ho votato a favore del divorzio.

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