Intervista a Piero Pieri

di Domenico Letizia

 

 

 

 

 

 

 

 

Piero Pieri, docente di Letteratura italiana contemporanea per il corso D.A.M.S. di Bologna, ha pubblicato nel 2010 per Transeuropa Edizioni il suo ultimo romanzo, Les nouveaux anarchistes – Atti intollerabili di disperazione a Bologna.

 

Come guarda oggi alla città di Bologna, cosa ama di questa e cosa odia?

Pur essendo Bologna per molti una città-simbolo, il romanzo la guarda come un aspetto generale dell’attuale identità italiana. Quella del precariato economico, che colpisce in modo particolare le ultime due generazioni, in ogni settore, dal mondo del lavoro in generale a quello della ricerca scientifica universitaria, in particolare.  A questi giovani una politica dissennata, che vede coinvolti da anni entrambi gli schieramenti politici, non offre più la certezza di un lavoro sicuro. Fatto in sé inconcepibile solo venti anni fa. Bologna non è diversa dall’Italia. E tanti bravi precari dell’università hanno cominciato ad emigrare all’estero per vedere riconosciuto il loro valore scientifico. Poi, non è detto che i pochi assunti dagli atenei italiani siano sempre all’altezza.

Cosa intende quando scrive di “annoiati tentativi abortiti di ribellione?”

In modo particolare guardo al passato rivoluzionario della generazione che ha preso parte al ’68. Ma anche alle proposte rivoluzionarie presenti nelle avanguardie letterarie degli anni ’60. E faccio un confronto fra le loro dichiarazioni teoriche e le contaminate finalità pratiche alle quali sono arrivati pur di gestire qualunque forma di potere. Gli esempi che faccio non sono paradossali o assurdi. Vengono dalla realtà. In questo senso non immagino nulla. Certo, come narratore ho il dovere di scrivere un romanzo coerente, propulsivo, avvincente. Di guardare alla realtà e di domarla, per così dire. Se non facessi questo scriverei un diario.

Come guarda alla rabbia dei giovani di oggi? Cosa produrrà? Che messaggio vuole “consigliare” alle giovani generazioni?

Al solito i giovani che protestano sono una minoranza politica, rispetto alla loro stessa intera generazione. Tuttavia, noto che le forme di protesta sono sempre più diffuse e organizzate. Non si limitano a fuochi improvvisi, che poi rientrano, ma perdurano, insistono, si rinnovano ogni qual volta la società civile è chiamata a dare il suo parere, come sul nucleare e sulla gestione dell’acqua. In questo senso vedo una maturità politica maggiore, non estemporanea, capace ogni volta di denunciare le schifezze della politica governativa in una prospettiva di continua protesta. Il solo messaggio che posso dare è di non cadere nella deriva terrorista degli anni ’70. Se Bersani e Di Pietro si adeguano a salire sui tetti per condividere la protesta contro la riforma Gelmini, questo è il segnale che la protesta giovanile mostra una vitalità nuova: ha un futuro politico che può essere gestito per cambiare lo stato delle cose. In un certo senso, i “nuovi anarchici” sono i giovani che protestano contro la riforma Gelmini o che fanno scelte di vita anti-sociali, che non si riconoscono più nei partiti storici e nelle culture politiche del passato. Questi giovani sono una minoranza, non discuto, ma è una minoranza “intelligente”. Quando fanno un corteo cercano di isolare i provocatori, non spaccano più le vetrine: sono la generazione degli internauti, abituati al franco dialogo all’interno dei loro blog.

Ad una prima e fredda riflessione, cosa manca di primario a Bologna?

Credo che la Bologna bottegaia, come una volta era chiamata, abbia conservato del passato le precedenti disattenzioni nei confronti del problema enorme degli studenti universitari. Per i fuorisede gli affitti sono sempre molto alti, per esempio.  Bologna è una città cara anche quando prendi un cappuccino e una brioche. Paradossalmente, a Cortina costano meno. Detto questo, per chi è curioso, Bologna offre tanti locali live, occasioni artistiche, luoghi di ritrovo e di scambio.

Qual è il suo rapporto politico e interiore con l’anarchismo?

L’anarchismo m’identifica da sempre. Almeno da quando ho cominciato, da adolescente, ad avere una più esatta coscienza di ogni prevaricante forma di potere autoritario. Prima la subivo, poi ho cominciato a reagire. Ho avuto i miei guai fin da ragazzo.

Che cosa pensa delle “proteste” che si stanno sollevando nel nord-Africa?

Gli studenti medio-orientali che frequentano i miei corsi mi tengono aggiornato sugli sviluppi politici della protesta sociale in atto nei loro paesi. La realtà è piuttosto complessa e andrebbe analizzata paese per paese. Poiché gli studenti con cui parlo sono figli del ceto benestante il loro punto di vista è angolato sempre su un doppio passo: i ceti medi perdono sempre più il loro potere economico, causa la dissennata politica finanziaria di chi li governa (vedi il caso Iran), e, nello stesso tempo, regimi paternalistici e autoritari, se non dittatoriali, non sono più adeguati a controllare i nuovi rapporti economico-sociali. In Tunisia e in Egitto la protesta è stata di tutto un popolo privo di risorse economiche (e qui ha vinto un concetto avanzato di democrazia). In Giordania certe riforme erano state fatte e per questo il paese per ora non è stato toccato dalla rivolta. In Iran e in Siria ci sarà ancora spargimento di sangue. In ogni caso, è vero, il Medio Oriente vuole modernizzarsi; e la rete in questo ha dato una mano.

Come fuggire dalla claustrofobica realtà bolognese, soprattutto se si è studenti alla rincorsa dei propri sogni?

Già oggi, a mia figlia che ha quindici anni, consiglio di studiare bene le lingue e di pensare di trovarsi un lavoro all’estero. Personalmente non ho nulla contro la migrazione dei giovani. Conoscere altri paesi, altre mentalità, altre abitudini per me è un arricchimento. Tanto più che chi ha talento all’estero trova più in fretta chi è disposto a riconoscerlo. In Italia è tutto più faticoso e, a volte, devi scendere a compromessi con te stesso. Siamo una nazione in progressiva decadenza, in ogni senso.  E per ora non vedo nessun nuovo Rinascimento.

Cosa pensa dell’attuale letteratura?

Come narratore ho sempre cercato di tenermi lontano dai feudi letterari, in parte forti o prestigiosi. Il mio anarchismo è anche in questo. Parlare della letteratura italiana nel suo complesso mi è difficile; ma qualche segnale posso darlo. Uno è il Premio Strega, da tutti considerato il più importante concorso letterario. Ho trovato strano che pur valenti scrittori d’assalto o editori di alta tenuta etica, abbiano poi sponsorizzato alcuni giovani scrittori per lo Strega. Si vince allo Strega se hai alle spalle un potente editore che può orientare la votazione. Lo Strega è il premio dell’editoria industriale. Se sei uno scrittore che dà l’assalto a “un tempo devastato e vile” escludi lo Strega in quanto tale dai tuoi interessi. Ecco, gli scrittori alternativi dovrebbero avere una più esatta coscienza politica del loro ruolo.  Semmai organizzino un controStrega.

Cosa l’ha spinta a scrivere questo romanzo? Perché?

Io ho una visione drammatica del presente e l’essenza di questo romanzo è il dramma. Sono stato per parecchi anni un precario dell’università e questa dolorosa esperienza mi ha guidato nell’osservare le attuali forme del precariato. Per molti lettori il romanzo sembrava scritto a ridosso degli ultimi avvenimenti politici. In realtà, i segnali c’erano già da anni. Bastava vederli. In questa direzione Les nouveaux anarchistes è un romanzo politico ed è un romanzo generazionale; è soprattutto un romanzo che non fa sconti contro le attuali violenze istituzionali. Forse è il romanzo più “politicamente scorretto” che ho scritto, forse è politicamente scorretto perché è un pugno dato al ventre molle di un Potere che sta mandando al massacro l’attuale generazione.

Molti personaggi fanno parte del mondo universitario, ma l’università, in un certo senso, è poco presente come luogo fisico delle singole azioni. Solo nell’ultimo capitolo, Renzo, il precario cacciato dal suo professore, entra nel suo Dipartimento. Certo, ci sono assegnisti, ricercatori, associati, baroni, ma questo mondo è solo una parte del più articolato mondo che movimenta la trama per arrivare a un finale “rivoluzionario” che alla fine sorprende il lettore.

Sta lavorando a qualcosa di nuovo?

Quest’estate vorrei finire un romanzo strettamente legato all’Ateneo bolognese: il titolo provvisorio è Il dolore dell’Università. Ecco, questo sarà un romanzo interamente dedicato al sistema dell’università. Spero di dare un ritratto il più fedele e il meno ambiguo. Dico “dolore” perché parlo anche della sofferenza patita da tanti colleghi, della loro onestà a volte non riconosciuta, della tragedia del precariato, e di certi colleghi morti suicidi, che prenderò a esempio di come il sistema spesso travolge i più fragili. Ecco, questo romanzo darà un’immagine più ampia e profonda dell’Università italiana; e parlando dell’Ateneo bolognese parlerò di come mal funziona il sistema Italia.

 

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