Il diario
È la prima volta che mi accingo a riempire di colore le pagine di un diario e per quel che ne so è anche l’ultima. Sento che questo è un anno decisivo per la mia esistenza poiché mi trovo davanti a un bivio: da una parte si apre una strada che già conosco e che mi conduce, credo, alla fine “naturale” dei miei giorni; dall’altra invece c’è una via sconosciuta che nondimeno mi intriga e affascina anche se mi fa paura.
Sono depresso, è vero. Mai come in questo momento il mondo mi appare privo di senso, vacuo e feroce e io mi sento oppresso, soffocato da ingranaggi che catturano e distruggono, livellandoli, i miei più reconditi pensieri.
C’è Elke, è vero, e io l’amo sopra ogni cosa al mondo. Ma ho paura e soffro anche per lei. Sono certo che Elke ha bisogno della forza che in tutti questi anni le ho dimostrato, ma non penso che lei potrà mai condannarmi per quello che ho già fatto e per ciò che progetto di fare.
Una volta, scherzando, le ho chiesto, senza entrare in dettagli, che cosa avrebbe fatto se noi ci fossimo lasciati, o se io l’avessi fatto per primo. Elke rispose imbronciata che lasciarsi era “possibile” ma “altamente improbabile”. Poi ritornò a sorridere, ma dentro di me rimase viva una forte apprensione per il senso di responsabilità di cui mi sentivo investito.
Elke è la mia donna, la mia bambina; mi piace abbracciarla e stringendola ho perfino paura di farle del male. La vedo fragile ma so che se vuole può sfoderare un ottimismo e una resistenza che io le invidio. A tratti, invece (e in questi mesi sempre più frequentemente), mi capita di essere colto da improvvisi attacchi di tachicardia, oppure durante la notte il mio sonno è scosso da incubi feroci, come due notti fa, quando, dopo aver stentato ad addormentarmi, ho sognato che intorno al mio letto ribolliva un’acqua melmosa piena di topi e ragni mostruosi, e questi ultimi tessevano una trama tutto intorno perché non potessi mai più uscire da quello stato di terrore e allucinazione. Inutile dire che non ho fatto parola a nessuno di questi sogni dolorosi. Non posso parlarne con Elke adesso che lei è in una fase così delicata per il suo lavoro e la sua futura carriera. Non posso parlare neanche con Edwin, che ha già tanti problemi e ossessioni di cui vorrebbe disfarsi. L’unico che potrebbe capirmi e forse aiutarmi è il dott. Hodler, psicologo e psichiatra ben noto da queste parti, con il quale da anni volentieri trascorro un paio d’ore ogni due o tre settimane, quando i suoi impegni glielo consentono e io sono di genio da sdrammatizzare e perfino ridere delle mie stupidaggini oniriche. Anche con lui tendo a mentire, non dicendo bugie o inventando cose che non sono vere… piuttosto non riesco a raccontare tutto, tralascio particolari importanti. Sarà per pudore, per la paura di essere giudicato, non so. Fatto è che lui, credo, ha di me un’immagine più positiva di quanto non sia, e mi vede diverso, forse migliore, di quello che sono. Ha una gran simpatia per Elke, come ama sottolineare quando ci incontra, ed è intimamente convinto che noi siamo una coppia “ideale”, quella che lui vorrebbe per chiunque e che avrebbe voluto per sé.
Ieri sera io ed Elke abbiamo avuto una discussione animata. Non era nei miei propositi arrivare a tanto, o per lo meno non volevo scaricare su di lei tutta la tensione accumulata. Devo controllarmi. Ma è che sono sei mesi che vivo in uno stato di continua agitazione, per i miei studi di Filosofia, la mancanza di soldi, mia madre che non fa altro che mettermi in croce, e questo maledetto esame che è una spada di Damocle sul mio futuro. Vorrei che Elke si sforzasse di mettersi nei miei panni, cosa certo non facile, lo ammetto, dal momento che le sue preoccupazioni sono alquanto diverse dalle mie.
Lei non ha mai conosciuto in vita sua l’autentico dolore, il sentirsi continuamente minacciato da un destino più forte di ogni resistenza, non ha mai sofferto della mancanza di affetto, di protezione, né è mai stata afflitta da disagi economici o dalla mancanza di lavoro e prospettive per il futuro. La sua vita, se non nella bambagia, è trascorsa in una tranquilla quotidianità, il che ha fatto di lei una persona abbastanza serena e qualche volta, forse, “egoista”.
Lei mi ha molto aiutato (senza saperlo) a superare i momenti difficili della mia adolescenza e col tempo siamo entrambi divenuti indispensabili l’una all’altro. Ma è lei credo che ha più beneficiato del nostro rapporto. Lo vedo meglio ora dopo tanti anni di reciproca consuetudine, e sicuramente di amore sincero e totale.
Forse ho perso il filo del mio discorso. Dicevo prima che abbiamo litigato. Non è propriamente giusto dire che si sia trattato di litigio; ma mi ha lasciato un senso di solitudine e di amarezza l’aver capito che lei non voleva rischiare, accettando la mia proposta di agire in concreto e subito, per cambiare la nostra vita. Non volevo la certezza ma almeno una disponibilità da parte sua, una dichiarazione di fiducia. Era chiedere troppo?
Elke ha già un lavoro che le piace e la soddisfa e col tempo (sono certo) riuscirà, come dice lei, ad andare avanti, a far carriera nel suo settore. Sicuramente lo merita. Specializzatasi in Chimica, ha ottenuto un posto come assistente di laboratorio al fianco di un noto docente della sua facoltà, e anche se non si tratta di un lavoro vero e proprio, benché retribuito, difficilmente risentirà dello stato di crisi che affligge gli altri giovani alla ricerca di una prima occupazione.
In questa situazione che lasciava intravedere qualche spiraglio avevo sperato che lei si convincesse a lasciare la sua famiglia (in senso metaforico) prendendo magari in affitto un appartamentino senza pretese in un qualunque luogo della città, così che si potesse vivere insieme (se ne parlava da tempo, in verità, come di un sogno lontano e quasi irraggiungibile). Avrei potuto contribuire solo in parte, e comunque avrei fatto il possibile per non gravare sul nostro ménage.
In ogni caso non sarebbe male per lei distaccarsi dalla famiglia, che per quanto ammirevole per certi versi, per altri è assolutamente asfissiante e iperprotettiva (e ciò riguarda sia Elke che Giulia, sua sorella minore).
Elke però non era affatto convinta e palesava la sua incertezza esasperandomi con tutti i rischi prevedibili di una simile impresa. Quei rischi li temo anch’io, non sono così scemo, ma credevo (e speravo) di poterli superare.
Lei non ha afferrato il senso più profondo della mia richiesta, il desiderio oltre che di vivere il più possibile con la sola persona che mi rende vivo, di sfuggire, o almeno illudersi di farlo, a un groviglio di contraddizioni e di dolore che non potevo, se non in quel modo, scrollarmi di dosso.
Forse uno di questi giorni, su queste pagine segrete riuscirò a tracciare i contorni di ciò che non riesco a dire, a raccontare ad Elke né a chicchessia. (Dig)
Il mio primo tentativo di essere ammesso alla Scuola Superiore di Filosofia, corso di specializzazione dell’Università di Vienna, è fallito miseramente e con esso tutte le speranze e le illusioni che avevo costruito. Ma la cosa più brutta non è stata la delusione nei confronti dei docenti che mi hanno seguito (loro malgrado, per pressioni esterne su altri candidati, hanno dovuto “sacrificarmi” almeno per quest’anno) e neanche nei confronti di me stesso, dal momento che so di dover migliorare la mia preparazione. È stata invece proprio di incontrare lo sguardo di Elke, di scorgerle sul viso non i segni di un rimprovero per ciò che sentivo come una doppia sconfitta, quanto il severo monito del prudente, di chi, conoscendo le difficoltà del caso, non avrebbe scommesso un soldo su ogni altro progetto conseguente al buon esito dell’esame.
Tutto ciò si traduce in un’ulteriore e chissà quanto (ancora) lunga “attesa” che le cose volgano a mio favore. Sento cocente il dolore di chi, vedendosi intrappolato in una rete dalla quale vorrebbe uscire, scopre sotto di sé una maglia rotta, ma intuisce un vuoto forse peggiore di quello che sente dentro di sé.
È passato qualche giorno ma sto ancora molto giù, tanto da riuscire a malapena a scrivere due righe su questi fogli.
Forse Elke si è resa conto di essere stata troppo severa con me e ieri sera mi ha proposto di fare un giro in macchina, così, per fare poi due passi a piedi se non faceva troppo freddo. Le ho detto di sì (il giorno prima avevo inventato una scusa per non vederla) ma era troppo freddo per stare in giro, anche se motorizzati.
Ci siamo fermati e lei ha cercato di consolarmi, vedendomi un po’ pensieroso (lei crede di sapere il perché…); mi accarezzava le mani e le baciava, tenera come nei momenti di maggiore intimità. Così abbiamo deciso (l’hanno deciso i suoi occhi) di andar via da quel luogo scuro (e tuttavia familiare) vicino alla vecchia ferrovia, per raggiungere il nostro rifugio segreto, anch’esso buio, devo dire, e certamente non caldo. Ma non si può pretendere molto da una cantina in un sottoscala (e poi a gennaio). Non ero molto in vena, mi sentivo stanco e spento, ma c’è voluto poco perché lei mi coinvolgesse, circondandomi di quella tenerezza di cui avevo bisogno, anche se solo per qualche istante.
Non avrei voluto lasciarla, ma nel giro di mezz’ora ciascuno di noi era solo nel suo letto, e mentre lei s’addormentava col ricordo ancora vivo del nostro abbraccio, io non riuscivo a prender sonno, assalito da un miscuglio di suoni e di immagini che ronzavano nella mia memoria. Mi sono girato e rigirato più volte sperando mi abbandonassero. Maior che dormiva ai piedi del mio letto ne era infastidito. Meno male che era con me, anche di lui avevo un gran bisogno.
Non si parla mai abbastanza dei nostri amici a 4 zampe, compagni discreti e solitari che sembrano ascoltarti e comprendere le tue pene anche se poi scopri che ti stanno a guardare perché sono loro a voler qualcosa. Maior è la mia àncora di salvezza, un agente anti-stress, certamente con Elke è l’essere a cui tengo di più su questa terra (oh, che infamia, direte, preferire una bestia a degli esseri umani… Ebbene sì, lo ammetto, non per questo finirò sulla croce…).
Lui ricambia il mio affetto profondo solo quando gli fa comodo, cioè all’ora del pranzo, il suo ovviamente. È un gatto di notevoli dimensioni, con uno splendido e folto pelo bianco, e con due occhi di un verde magico e trasparente. Raramente ne ho visti di così belli. Ha un carattere molto vivace e fin da piccolo mi è molto affezionato. Mi segue dovunque per casa, anche in bagno e la notte si piazza ai piedi del letto. Quando sono bell’e addormentato lentamente sale di alcune posizioni fino a che me lo trovo di fianco a occupare la parte centrale del letto, quella più calda ed evidentemente più confortevole per sua maestà; così lui si distende, pago di avere alla fine ottenuto il pieno possesso del giaciglio e io sto lì come un fesso cercando di non cadere di sotto. Più di una volta mi sono svegliato al freddo e rattrappito per aver dormito (o meglio vegliato) in una posizione del tutto innaturale, ripromettendomi al mattino di catturarlo e fargli passare queste velleità; ma al solo vederlo capivo che il mio unico desiderio era di stringerlo e accarezzarlo.
Quel che temevo si è avverato, d’altronde se ne parlava da tempo (forse per scongiurarlo): lei se ne va a Parigi! Lavorare a Parigi, sebbene chiusa in un laboratorio quasi tutto il giorno… Ma sì, brindiamo pure! Non posso darle torto, avrei accettato di volata anch’io.
Un mese in fondo, un mese è tutto.
Dovrei essere contento, invece mi viene da piangere.
Me ne starò solo per un po’. Solo.
——-
Caro diario
Elke è contenta per un verso… vuoi mettere trattare da pari a pari con i ricercatori francesi? Per non parlare del suo curriculum…
Meglio però non pensare al giorno che salirà sull’aereo.
Le verrà una crisi di nostalgia?
È la prima volta che saremo lontani per tanto tempo.
Così ieri… forse voleva solo farsi perdonare.
Magari si sentiva un po’ in colpa per questa specie di “abbandono”; oppure temeva la sua solitudine a Parigi (e beh, Elke non sa neanche il Francese, almeno non bene). Chissà.
Dovevo incitarla e sostenerla e l’ho fatto, più di quanto avrei pensato di poter fare.
Sono sempre stato orgoglioso di lei, della sua intelligenza e capacità: ho ribadito che, nonostante tutto, queste esperienze di lavoro e permanenza all’estero sono sempre positive, se non altro perché mettono in risalto aspetti nuovi o contraddittori della personalità di un individuo. E imparare a conoscersi, misurare le proprie reazioni nei confronti degli stimoli e delle mutate circostanze non credo poi che sia un male.
Ho accompagnato Elke in aeroporto questa mattina. A contare, comincio domani.
14 febbraio, sera
(continua)
Paola Cimmino, Storia di Igwald, 1993 (rev. 2012)
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