di Endriu
Mentre si consumano le ultime giornate di sole e di caldo, in TV tornano i soliti programmi con i soliti noti, e la nostra povera Terra dei Cachi ritorna alla normalità. Una normalità che, negli ultimi anni, è caratterizzata da tasse aumentate, tagli ai servizi sociali, prezzo del petrolio alle stelle, cazzate sparate da chi pensa solo al bene delle banche, e il tutto supportato da un popolo addormentato. Diciamo che dopo vent’anni di fascismo, quaranta di DC e venti di berlusconismo, non si può credere ai miracoli. Italia, è ora di svegliarsi! Intanto l’apparizione della Fornero a Otto e mezzo (La7), a mo’ di premonizione, ha un po’ rovinato il rientro dalle ferie (per chi le ha fatte).
Per l’associazione di cui vi ho parlato l’altra volta (Dal diario di un’olandese volante n. 11), inizia anche un nuovo capitolo nella vicenda post-terremoto. Ovvero la raccolta di centinaia di migliaia di euro per mettere in sicurezza la vecchia struttura che poi è diventata una Casa del Popolo negli anni 2000, e sanare l’inagibilità che ci hanno dato dopo il secondo terremoto. Resta ancora da capire perché si è voluto chiedere l’intervento del Comune durante quella fatidica sera, in assenza di alcuni componenti importanti del gruppo, tra cui mio marito, il presidente. Chi avrebbe mai pensato che non ci avessero dichiarato inagibile una casa – già messa male – dell’800, con tutte le sue crepe e le mille cose non a norma, nei tempi della UE e delle sue assurde regole di sicurezza. A meno che non si tiri fuori la pilla (cioè i soldini, in bolognese corrente). C’è tutto un business dietro, di contributi che magari arriveranno al Comune per ogni casa inagibile, o di aziende certificate che faranno i lavori di ristrutturazione lasciando un piccolo obolo sempre al Comune. Sarò paranoica, sarò pessimista, ma la vita non è una favola.
Eppure la Casa del Popolo, per molti anni, sembrava proprio un posto da favola. Come quell’altro posto che l’ha preceduto, nel percorso che mi ha portato da Bologna centro a un paesino di campagna nella bassa bolognese. Il rifugio di M. era un vero rifugio. Ci sono arrivata per caso, o per destino, scegliete voi. Ero alla fine del mio primo anno di scambio universitario e non volevo tornare a casa dai miei genitori (Dal diario di un’olandese volante n. 9). Cercavo dunque un lavoro estivo. Da un po’ di tempo andavo all’ufficio del lavoro dell’Università di Bologna, un luogo simpatico ma ingenuo, dove facevano dei workshop per imparare a scrivere curricula (come se avesse un senso, in questo paese!), oppure preparavano per i colloqui. Mi viene ora in mente una piccola vicenda pseudo-romantica, o almeno avrebbe dovuto esserlo: durante uno di questi workshop ho iniziato a parlare con un ragazzo, ma solo perché tutti gli altri stavano conversando a coppie o a gruppi, e sia io sia lui non stavamo parlando con nessuno, in quel momento. Allora io, ragionando da olandese diretta e aperta, ho preso l’iniziativa, il che però è stato interpretato in modo diverso. Così, nelle settimane seguenti, questo tipo mi chiamava in continuazione, per uscire, per andare al parco, per andare in gita al mare. Ho smesso di rispondere e lui ha cominciato a scrivermi messaggi sdegnati, manco fossimo fidanzati! Che mammone. Pensate alla poveretta che lo sposerà.
Devo dire che sono stata un po’ dura di comprendonio a imparare a leggere gli uomini italiani, in generale. La prima avventura al negativo l’ho avuta un anno prima, subito all’arrivo a Bologna. Anzi, è iniziata ancora prima che mettessi piede in Italia. Mentre cercavo casa via internet, mi ha contattato un certo M. Non aveva una stanza da affittare, ma gli sarebbe piaciuto incontrarmi per parlare dell’Olanda, visto che lui voleva visitare Amsterdam. Già questo avrebbe dovuto mettermi in guardia! Ma niente. Da buona olandese semplice e aperta, ho pensato ‘beh, perché no?’. Perché no? Perché M. era solo un porco idrocefalo che voleva farsi un’olandese! Ora, non è successo niente, tranquilli, un po’ perché una volta che capisco la fregatura non ci casco, un po’ perché non sono il tipo di olandese che lui si era sicuramente immaginato (cioè alta e bionda). Il fatto è che non si arrendeva. Voglio dire, ho incontrato M. – basso e un po’ ciccione, molto più vecchio di me – una o due volte nel suo nightclub sotto le Due Torri, in pieno centro. Mi sa che ho bevuto un succo di arancia, da scuola elementare! Se mi capitasse ora, gli scroccherei almeno uno spritz con stuzzichini compresi. Era ovvio che non avevamo niente, ma proprio niente, in comune. Io con i miei dieci anni di università (lingue, letteratura e storia d’arte), niente fumo, poco alcol; lui con il suo nightclub da superfighetti, pieno di donne seminude e drogati… Eppure non mollava. Mi chiamava, mi mandava messaggi. Ho imparato a riconoscere la sua Smart per potermi nascondere dietro a una colonna prima che lui mi vedesse. Aveva proprio la testa dura…
Poi c’è stato un terzo errore di giudizio, sempre da attribuire alla mia ingenuità. Un giorno di primavera, avevo avuto l’ottima idea di andare a studiare ai giardini Margherita, appena fuori dal centro storico di Bologna. Dopo pochissimo tempo arriva un ragazzo, giovane e pure carino, che chiede di potersi sedere di fianco a me. Stavolta non ho pensato ‘beh, perché no?’, però non sapevo come mandarlo via in modo gentile, e quindi ho acconsentito. Se siamo poi sempre chiusi e acidi, che mondo sarebbe? Intanto avevo la scusa dello studio, che – pensavo, ingenuamente – l’avrebbe sicuramente scoraggiato. Eh no. Questo mi ha attaccato una pezza che non finiva più. Ora non mi ricordo ma sicuramente ha fatto il solito discorso ruffiano, del tipo ‘ma come parli bene l’italiano’. Poi mi viene in mente che mi ha anche detto ‘sei carina’. Deve essere stato proprio meridionale. Anzi, mi pare che fosse siciliano, no, aspetta, salentino. E così il farabutto è riuscito ad avere il mio numero di cellulare, e anche questa volta sono partite le chiamate e i messaggi. Ignorati anche questi, per la maggior parte. E’ che non mi piace questo attaccamento morboso e istantaneo, dopo un primo incontro semplice e senza pretese, come se avessero fretta di placare i propri sensi. Ma fatti una sega! Forse sono troppo nordica? Sarà che non siamo più negli anni Settanta. Comunque, a un certo punto una mia amica olandese gli ha risposto al telefono, al posto mio, nel tentativo di fargli credere di avere il numero sbagliato. E ha funzionato.
Dunque, mi ci è voluto un anno per imparare a capire la lingua dei maschi italiani. Poi in mezzo c’è stata anche una piccola storiella con uno degli anarcociclisti della Critical Mass (Dal diario di un’olandese volante n. 5), di poca importanza. Al rifugio di M., invece, mi è capitata una storia più dolorosa, nella prima estate dopo l’Erasmus. Un posto da favola dove sono finita grazie all’ufficio del lavoro dell’università, anche se non sono stati esattamente loro a farmi avere il posto, nel senso che un giorno gli ho portato il mio curriculum quando un ragazzo, in fila prima di me, ha chiesto di poter lasciare un annuncio per un lavoro estivo, idealmente per una studentessa Erasmus. Ero io! Ero io! Ma questa ve la lascio per la prossima volta.
(editing by Beatrice Nefertiti)
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