di Endriu
Le prime note cadono giù, solenni ma decise. La tensione aumenta e infine si sfoga, quando partono gli archi, e la meravigliosa melodia del Piano Concerto n. 2 di Rachmanninov ti entra nel cuore. Mi penso su un lungo treno che attraversa le pianure infinite dell’Europa danubiana, coperte di neve bianca bianca. Mia madre l’avrebbe magari anche diretto, il piano concerto di Rachmanninov, se avesse fatto la direttrice d’orchestra come ha sempre sognato. Ma all’epoca le donne non facevano i direttori d’orchestra, tanto meno in un paese sovietico, e lei non aveva certamente l’anima da ribelle o da career woman che avrebbe potuto farle fare il salto di qualità. E poi è cresciuta in un borgo di contadini, con tanto di cani, galline e maiali, prima di trasferirsi nel paesino di provincia ormai diventato una delle tante attrazioni turistiche dell’ex-Cecoslovacchia, dove una birra grande costa ben un euro. Lo è anche per me che sono in viaggio di nozze, ma anziché guardare il futuro mi ributto nel passato.
Mi ricordo la prima volta che andammo a trovare mia nonna, dopo l´89. Mentre attraversavamo i piccoli borghi e frazioni che si trovano sulla strada per andare nel suo paese, giù giù vicino all’Austria, ci sentivamo come i sopravvissuti a un disastro naturale tornati nelle zone colpite, monitorati dai pochi altri sopravvissuti che ci guardavano con sospetto. Vecchiette gobbe con fazzoletti in testa, bambini pallidi e magri, contadini e operai senza denti. Tutti ci guardavano mentre passavamo con la nostra macchina occidentale, con quella targa gialla e l´adesivo `NL´ che forse gli metteva la paranoia che fossero ancora in giro gli agenti speciali della polizia segreta.
Nel paesino di mia nonna mi colpirono i condomini coperti di lamiera, proprio sovietici, e quell’odore tipico nei corridoi e in ascensore. D´estate faceva un caldo da morire. Anche il piccolo supermercato era ancora tutto sovietico, primitivo e semplice: i panini si prendevano direttamente con le mani e la cassa sembrava di plastica.
Dunque, dopo che mi sono sposata – un evento anticipato da un bel terremoto premonitorio – ci siamo tornati in viaggio di nozze. Però il vecchio condominio sovietico di mia nonna mi ha deluso: hanno tirato via le lamiere e hanno dipinto tutti i condomini del quartiere, o quasi, con colori vari. Giallo, rosa, verde… Immagino che sia stato un tentativo di far dimenticare il brutto passato. Io però avevo sperato di ritrovare intatti i miei ricordi, per quanto incorporati in un contesto negativo, cioè la lenta uscita di un paese distrutto dalla dittatura. Ma per me, stranamente, erano ricordi belli, ricordi di cose vecchie, di imperfezioni, di odori strani di cibo mitteleuropeo. Era qualcosa di molto diverso da quello a cui ero abituata nella perfetta Olanda, con i suoi prati tagliati, i marciapiedi regolari e le strade asfaltate, i palazzi nuovi senza una crepa.
Mi viene in mente la canzone degli Offlaga Disco Pax, quella dove parlano di Praga e del mito dei paesi ex-sovietici, e di come non resta più nulla del passato. E anche se non sono cresciuta con il Partito Comunista o con le feste dell’Unità, capisco la nostalgia.
Cerco le tracce dell’immobilismo del regime, ma vedo solo le ferite della modernità occidentale e nessuna testimonianza degli errori, degli orrori e delle ingenuità marxiste si esprime ai miei occhi.
Solo che la mia non è nostalgia dell’ideologia che alcuni avrebbero desiderato avere anche in Italia, senza sapere quali sarebbero state le conseguenze. La mia è una specie di nostalgia alla seconda potenza, cioè una combinazione di ricordi di adolescenza da un lato, ed estati passate in questi posti decaduti e pieni di storia, con quei vecchi profumi dell’era sovietica. Come una specie di overload di passato.
E così mi consolo nel paesino dove dormiamo, il vecchio paese di mio padre dove il turismo non è ancora arrivato e probabilmente non arriverà mai. Qui c´è ancora il vecchio bar dove i vari Svejk vengono a farsi due birre alla sera, prima e dopo cena, mentre le mosche muoiono contro le strisce adesive che penzolano sopra al bancone del bar, dove la giovane e anoressica barista dark spilla una birra dopo l´altra. Poi qui ci guardano ancora, in strada, quando passiamo con la nostra Peugeot rossa, targata Italia. Ma la cosa forse più bella è la Coop, la vecchia `Coop Tuty´ che forse viene direttamente dall’Italia, regalata ai poveri cechi, così come la stravecchia Fiat 127 che ci ha incrociato l’altro giorno. Lì, il prosciutto che ti affettano, te lo mettono ancora in una busta di carta, con il prezzo scritto sopra a mano! Qui i cechi sono ancora gli italiani degli anni ´50. Ma durerà poco, mi dico amaramente: l’enorme ipermercato Tesco che abbiamo visto da un’altra parte omologherà anche i cechi. Tanto l´euro prima o poi arriverà anche qui. Mi fa venire ancora una volta in mente la canzone degli Offlaga:
Come souvenir ho portato trenta confezioni di wafer Tatranky, pacchetti tipo Loacker ma molto più buoni. Solo dopo qualche giorno ho notato un marchio un po’ nascosto: Danone. Danone… Ci hanno davvero preso tutto!
Ma il cambiamento si sente forse di più in TV. Ci sono già i primi reality, ed è arrivata anche la De Filippi: guardiamo stupefatti la versione ceca di C´è posta per te. Manca solo la canzoncina, per il resto è uguale! Nemmeno i deliri di Sheldon (Big Bang Theory) vengono risparmiati ai telespettatori ex-sovietici, sui canali che cercano anch’essi di dimenticarsi del passato.
Mi domando per quanto tempo ancora i bimbi boemi vorranno guardare i cartoni animati della Talpa invece che quelli americani o giapponesi?
A giudicare dai bambini che ci siamo trovati davanti, nell’Ufficio Turistico del paese del Budvar, a giocare sui computer destinati ai turisti, mi sa che la Talpa è un bel po´ che non c´è più in TV. La trovo solo sulle tazze che vendono nei negozi di souvenir.
E così continuo ad avere nostalgia per le tracce di un passato che non c´è più.
(editing by Beatrice Nefertiti)
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Molto gradevole e ben scritto. Condivido la nostalgia. Proprio oggi un’amica di Praga mi ha scritto raccontandomi la storia triste di un suo amico cieco e ammalato di cancro che non ha soldi per curarsi con la chemioterapia. La mia amica è un’anticomunista, ma ammette che nei tempi del “Socialismo reale” l’assistenza medica era eccellente. Anche questo lo condivido: non bisognerebbe mai “gettare via il bambino con l’acqua sporca”! Grazie, Andrea, per questa bella pagina di diario. Buon viaggio di nozze a te e ad Alessandro. E.T.
Grazie, Tito, siamo già tornati ma la Cechia è sempre nel mio cuore.