di Endriu
È arrivata l’estate e quindi ho dovuto fare il mio solito giro biennale a casa dei vecchi, una vera e propria tortura. In effetti ogni anno riduco il tempo che passo in casa con loro, ma è sempre troppo! Ne ho particolarmente risentito l’anno scorso, quando sono tornata in Olanda addirittura per un paio di mesi: avevo vinto una piccola borsa di studio per preparare un concorso nella mia vecchia università, a Utrecht, e mi toccò dunque tornare nel manicomio. Certo, di lavori in nero al call center ce ne sarebbero anche stati, se avessi proprio voluto mantenermi da sola. Ma avevo calcolato che stare dai vecchi sarebbe stato comunque meno sadico della prostituzione mentale. Mi sbagliavo.
Quindi quest’ultima volta ho ridotto il viaggio proprio all’osso: sono rimasta il minimo indispensabile, eppure era troppo! Ho anche identificato una loro strategia di distruzione mentale, divisa per ruoli e per genere: lui mi rompe le balle con questioni burocratiche o economiche, talvolta inventate o ficcategli in testa da quello stupido quotidiano populista e xenofobo a cui si sono affezionati, da bravi immigrati-che-poi-si-mettono-a-odiare-i-nuovi-immigrati-arrivati-dopo-di-loro; lei invece si accanisce sul mio aspetto fisico, che non sembra mai soddisfarla (troppo grassa o troppo magra, troppo pallida o troppo bruciata dal sole…). Allora tenta di aggiustarmi a seconda dei suoi gusti, innamorandosi per esempio di qualche giacchetta o vestitino che ha visto “per caso” mentre faceva shopping, e spingendomi ad andare a vedere e comprare. Tipo la zanzara che gira vicino all’orecchio, di notte, quando cerchi di dormire. Un’azione completamente inutile, tra parentesi, conoscendo i suoi gusti e i miei. Ma non vuole capire.
Oppure si fissano su qualche mio indumento che non li convince, tipo una giacca un po’ leggera o gli stivali con i tacchi consumati… eh già, i miei bellissimi stivali marron chiaro della Bata, alti e di pelle. È dal tempo di via Irnerio – cioè dal mio secondo anno a Bologna – che li ho, ed erano ormai diventati parte di me. Beh, me li hanno rovinati. In Repubblica Ceca li hanno portati, addirittura (per spendere meno) e fare poi una cagata, cioè sostituire il bellissimo tacco – che faceva quel tac tac che mi piaceva così tanto – con un affare di gomma. Ma si può camminare su degli stivali di alta moda (versione economica, ovviamente) con un tacco di gomma, manco fossero scarpe da tennis?!
Sono tremendi, veramente. In effetti, durante quest’ultima visita mio padre aveva già preso di mira le mie ballerine, amatissime anche quelle, e ho dovuto nasconderle sotto il letto per evitare che mi mutilasse pure quelle.
Mia madre, invece, ha trovato un nuovo giochino di tortura mentale: vuole che mi porti via, nella casa in Italia, tutta la mia roba, così lei può divertirsi a trasformare la mia stanza in una sala da tè, tanto per passare il tempo. E quindi mi ha incaricato di cominciare a sgomberare i libri – perché ne ho tanti. Così mi sono trovata in mano uno strano libro che non riuscivo a capire cosa ci facesse nella mia piccola biblioteca: S. Lucia nel Risorgimento, tra ‘700 e ‘900. Parlava di architettura, fortificazioni e fortezze austro-ungariche…?! Ma pian piano mi comincia a tornare in mente qualcosa. Era il 2004, o il 2005? Avevo fatto il primo anno di scambio universitario, a Bologna, e avevo deciso di fermarmi ancora un po’ lì. Tanto a casa mi aspettavano i due ufficiali della Stasi, pronti a bombardarmi con critiche e domande inutili. Durante l’estate ero rimasta a lavorare in montagna, nel magico Appennino bolognese, dove ebbi una storia breve con un cretino di Milano che mi aveva lasciata parecchio incasinata, con la testa e con il cuore. Per distrarmi mi iscrissi a un programma di volontariato, tramite un’associazione olandese che mandava giovani in Italia a dare una mano ai pensionati che stavano restaurando un forte, appena fuori Verona. Lo stavano trasformando in un ostello della gioventù. In cambio, ogni anno partivano dei ragazzi di Verona a fare la stessa cosa presso un forte in Olanda. Quell’anno eravamo in quattro, tre femmine e un maschio, Joost. O una specie di maschio, perché era un po’ particolare. No, non in quel senso lì… Diciamo che era un ragazzo sensibile, un po’ strano e ingenuo, ma simpatico e molto diretto. Anche con le due ragazze, venute insieme perché già amiche, andavo d’accordo.
Ma era soprattutto il posto che mi ha incantata: immaginate ‘sto enorme forte di vecchi sassi bianchi, con due ali laterali simmetriche e circondato da un enorme muro coperto di erba. C’era anche un portone medievale. Me lo ricordo soprattutto perché i bagni li avevano messi fuori dalle mura e quindi ogni sera – prima di andare a letto – facevamo un giro di pipì insieme, perché nessuno voleva scendere e uscire da solo, dal forte, di notte, al buio. Non c’era in effetti nessuna luce, e il posto era assai suggestivo. Non c’era praticamente niente dentro, solo lunghi e bui corridoi, pieni di polvere e robaccia per terra, con queste celle dove c’erano ancora le tracce di seratine a base di alcool e canne, consumate da generazioni di giovani appartenenti a ideologie varie, a giudicare dalle “A” anarchiche e dalle svastiche sui muri.
Mi viene ancora da sorridere se penso a Joost, che sbarcò a Verona in serata e dovette passare la prima notte da solo. Le altre due ragazze non c’erano ancora e io, arrivata per prima, ero stata collocata in casa della vecchietta che ci avrebbe fatto da mangiare. E così Joost si trovò tutto solo soletto in quell’enorme struttura, buia e piena di rumori strani. Mi sa che c’erano anche i pipistrelli! Povero… Disse che quella sera – prima di andare a letto – aveva fatto il giro di tutti i corridoi, con una pila tascabile, per assicurarsi di essere veramente da solo. Io me la sarei fatta addosso!
Il lavoro non era uno scherzo, però: roba da muratori! Livello elementare, certo, ma comunque la fatica c’era. Almeno per noi. I pensionati invece sembravano non stancarsi mai, tipo i vecchietti di Cocoon. Avevano proprio una marcia in più. Uno aveva delle mani da gigante, piene di rughe, ma grosse e belle. Mi ricordo che ci svegliavamo la mattina, faticosamente, e dalla finestra si vedeva uno di loro che era già lì, sull’enorme muro, a tagliare l’erba!
Ma ci siamo comunque divertiti. Ci hanno portato all’Arena di Verona, una sera, a vedere un’opera. Poi un giorno siamo andati al lago di Garda, le due amiche in coppia e io con Joost, per divisione naturale. Quando restavamo al forte io e Joost spesso giocavamo a UNO, un gioco che avevo scoperto in montagna, quell’estate, e di cui mi ero completamente drogata, solo che non riuscivo a trovarlo nei negozi. Beh, in realtà l’avevo visto, un pomeriggio che eravamo in “permesso di uscita” in centro, sempre io e Joost, solo che costava troppo per me e ho rinunciato. Poi alla fine c’è stata una specie di serata di addio, dove Joost ha letto qualche barzelletta sui vecchietti, e ci hanno regalato il libro su Santa Lucia, con i saluti di tutti sulla prima pagina. È stato lì che ho capito che forse Joost era un po’ innamorato di me, perché aveva scritto “Sei semplicemente fantastica”. O era solo il suo modo sincero e naturale di esprimersi? Però, tornata a Bologna, nel nuovo appartamento in via Irnerio, mi ha mandato un pacco dall’Olanda, pieno di cose strane o buffe, tipo i waffel olandesi e altre cose che non ho mai mangiato a casa mia, perché i miei non erano poi così integrati nella società olandese, per quanto se ne vantassero.
E c’era una cosa bella, che mi fece molto piacere: un mazzo di carte da UNO, completamente nuovo.
(editing by Beatrice Nefertiti)
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