Riassunto delle puntate precedenti
La giovane Beatrice del terzo millennio ha vinto il premio che il suo doppio, caduto indietro nel tempo, aveva inseguito per tutta la vita, ma la “vecchia” non si rassegna a farsi sfuggire l’obiettivo ancora una volta.
Gli appuntamenti nello specchio con la giovane Beatrice sono necessari molto più a me che a lei. Nel 2013 la signorina se la gode come un papa. Sta aspettando di essere convocata a Bologna per la visita in cui senz’altro le concederanno il prepensionamento per inabilità al servizio, perché tutti i medici hanno certificato che ha perso la memoria degli anni successivi all’estate del 1969. Male che vada, le hanno spiegato, si vedrà assegnare un anno di malattia, al termine del quale, se non avrà recuperato la memoria, verrà prepensionata. Non posso di certo dispiacermene, era il sogno di tutta la mia vita, ma… è toccato a lei, e non a me. E noi due non siamo più la stessa persona.
Non è nemmeno facile mettersi d’accordo sull’orario degli incontri, perché la signorina esce la sera. Cazzo, io andavo a letto alle otto e mezzo, impasticcata come un metallaro, imbottita di quetiapina, bromazepam e zolpidem, e alle nove crollavo come se mi avessero dato una botta in testa. Poi alle due di notte cominciavo a svegliarmi a intervalli regolari per gli attacchi di panico causati dall’incubo del Palazzaccio che mi aspettava. Quando suonava la sveglia ero pesta come una cotoletta e prima ancora di alzarmi dovevo imbottirmi ancora di fluoxetina e altro bromazepam. La giovane Beatrice, invece, la sera esce. È curiosa di tutto: adora le multisale e impazzisce per i film in 3D, vuole sentire la musica e non si perde un concerto dal vivo… E mio marito è felicissimo di accompagnarla, perché ha ricominciato a star fuori la sera come da giovane e tanto la mattina può dormire a oltranza, è in pensione! Quei due si divertono come ragazzini, e lui le sta pure insegnando a guidare la macchina. Nel 2013 Beatrice ha la patente ma non sa guidare, però sostiene di fare rapidi progressi. Ho i miei dubbi, visti gli sforzi titanici che erano serviti a me per imparare, anzi, secondo chi mi conosceva, non avevo mai imparato, e in Prefettura si era dovuta insediare una commissione su chi mi aveva dato la patente. Ma se lei è convinta di apprendere in fretta…
Andrà peggio per me; io dovrò aspettare l’indipendenza economica per prendere la patente, visto che il mio caro babbo appartiene alla scuola di pensiero secondo la quale le donne non devono guidare. Per essere precisi, sua figlia non può guidare, come non può fare tutte le cose normali per una ragazza della sua età. Nella vita precedente avevo dovuto aspettare di trovare un lavoro da bidella, durante l’università, per procurarmi una fonte stabile di sussistenza e prendere, finalmente, l’agognata patente. Quindi, ancora ce ne corre. Ho risollevato in casa la questione del motorino, ma è servito solo a provocare un nuovo scoppio di collera. Sembra che il Ciao, il ciclomotore a presa diretta che guidano tutte, ma proprio tutte le ragazze di questo quartiere, sia uno strumento del demonio. Pure lui. E per compensare la perdita, mia madre si è indebitata per comprarmi il corredo a rate. L’ha fatto veramente, non era un ricordo distorto del mio passato. Ha firmato delle cambiali per le lenzuola e gli asciugamani da darmi quando mi sarei sposata.
Il corredo era un’usanza che alla fine degli anni Sessanta stava già tramontando, ma non a casa mia. Secondo mio padre io non dovevo mai e poi mai avvicinare soggetti di sesso maschile e non si capiva come avrei potuto conoscere qualcuno da sposare, a meno che – e forse la sua intenzione era proprio quella – non me lo scegliesse lui. Mia mamma invece era convinta che ci sarei riuscita da sola, in barba a tutti i divieti, e si teneva pronta, da un lato terrorizzandomi sulle infinite possibilità di rimanere incinta, e di essere costretta a un matrimonio riparatore che mi avrebbe privato di tutto ciò che rendeva la vita degna di essere vissuta – la scuola, la lettura, la musica, il judo, l’aspirazione alla libertà, e pure i gatti, a sentire lei – e dall’altro lato, col corredo già pronto. Ricordo bene di non avere mai usato quelle lenzuola, a casa mia non le ho volute perché il corredo secondo mia madre doveva essere tutto bianco, ed io col cavolo che mi mettevo in casa della roba da lavare un giorno sì e l’altro pure. Il frutto di quelle cambiali non è mai uscito dai suoi armadi, a meno che non l’abbia regalato a una delle mie cugine perfettine, e per anni mi ha dato pure dell’ingrata perché non avevo apprezzato i suoi sacrifici. E perché non avevo ricamato le lenzuola con le mie mani…
Vista l’intensa vita mondana della giovane Beatrice, di solito ci troviamo al pomeriggio. Io mi chiudo nella mia stanza per studiare, mia nonna si accomoda in cucina, nella poltrona da cui può partecipare al pettegolezzo delle casalinghe sfinite che vengono da mia mamma a cucire, e la ragazza del 2013 nel primo pomeriggio riposa. E certo, sarà esausta per le fatiche di una vita durissima: la sera lei e mio marito vanno al cinema, ai concerti dal vivo, a mangiare, a passeggiare in riviera, e lui la coccola come un cucciolo, si diverte tantissimo a mostrarle tutte quelle cose che per lei sono una novità, e che lui può avere il piacere di riscoprire. La mattina dormono finché ne hanno voglia, poi Beatrice legge, guarda le serie TV che io scaricavo da internet, coccola i gatti, esplora le meraviglie di un millennio altamente tecnologico… e soprattutto non deve più andare a lavorare, ma la pagano lo stesso. Mio marito le ha insegnato a usare il computer per navigare in internet e lei ci passa le ore a documentarsi su cosa è successo nei suoi quarantaquattro anni di vuoto. Ha scoperto i telefilm americani che io scaricavo coi sottotitoli e si è sparata sei serie di True Blood, settanta episodi uno via l’altro. Ho sempre adorato le storie soprannaturali, ma da giovane mi ero dovuta accontentare di Belfagor, il Fantasma del Louvre. Invece lei ha tutti i film di Twilight, I Diari del Vampiro, True Blood… Non le basta il tempo per guardarli tutti.
Poi un giorno ha scoperto Dylan Dog, il mio fumetto preferito, di cui avevo la collezione completa, dal numero uno. Ci si è innamorata e si sta divorando più di trecento numeri, oltre agli speciali. La vedo così felice che mi viene spontaneo chiederle se prende regolarmente le medicine. Bene, i farmaci da cui io ero dipendente come un tossico, lei non li prende più. La dottoressa del SIMAP che mi seguiva, d’accordo anche coi medici dell’ospedale, ha deciso di sospenderli perché temeva potessero essere una concausa dell’amnesia. Dice che le hanno fatto anche la TAC e tutti gli esami per scoprire eventuali malattie neurologiche, ma non è risultato nulla. La Beatrice adolescente del 2013 è sanissima, e non soffre neppure di crisi di astinenza da quei farmaci che io ho preso per trentatre anni. Lei dorme se ne ha voglia, mangia quando ha fame, esce, si diverte, e non va più a lavorare. Invece io sto qua, nel medioevo di una cittadina di provincia negli anni Sessanta, a studiare latino, a portare l’apparecchio ai denti, e a dormire con la nonna.
Ci vuol tanta pazienza, nel buio medioevo degli anni Sessanta… Quanta, lo vedrete la prossima settimana…
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