di Endriu
Il trasloco in Via Irnerio, dopo quella dura estate nel rifugio appenninico, ha cambiato la mia vita. Non sto parlando della parassitaria Enza e delle sue lezioni di bellezza e di dieta. Mi riferisco a Francesco Lorusso, giovane morto sotto il piombo dei carabinieri, nel fatidico Settantasette. Me l’ha fatto conoscere Stefano, il mio spasimante di Capodanno al rifugio (Dal diario di un’olandese volante – Il rifugio n. 5) cioè mi ha fatto scoprire la sua lapide in via Mascarella, dove fu colpito a morte, l’11 marzo del 1977. Lorusso era un simpatizzante dell’ormai disciolta Lotta Continua, e di conseguenza uno degli ‘estremisti’ che la stampa di allora ha tanto condannato, specie dopo le vetrine rotte.
Il 25 aprile di quell’anno, i suoi compagni fecero affiggere una lapide abusiva nel luogo in cui Francesco fu colpito dalle pallottole, e dove ogni anno viene ricordato con una breve cerimonia. Dopo che Stefano mi aveva indicato la lapide, che non avevo mai visto pur essendo passata spesso per via Mascarella, l’11 marzo successivo ho deciso di andare alla commemorazione. Così, per curiosità. La prima volta che ho partecipato – sarà stato il 2006 – mi ha colpito la presenza di tanti giovani, che certo non potevano avere una memoria diretta dei ‘fatti di marzo’, né di Lorusso stesso. E ho iniziato a interessarmi a questa storia, scrivendoci una tesi di dottorato che fra un po’ uscirà nelle librerie (quelle inglesi, per intenderci, visto che là è ancora possibile pubblicare un libro senza avere un barone che ti spinge). Quasi ogni anno ho partecipato alla commemorazione, e ogni tanto mi rivedo nelle foto pubblicate il giorno dopo sul Resto del Carlino. Mi sono persa solo un anno, paradossalmente quello più importante per la mia ricerca: il trentesimo anniversario, nel 2007. Che pirla. Abitavo a due passi, non dovevo nemmeno alzarmi presto per esserci. Ma ho preferito andare a fare una gita in montagna: era domenica e frequentavo un gruppo di studenti e non, che facevano trekking. Il tempo era bellissimo e non ho resistito, sono partita con loro. Una cagata, dal punto di vista accademico, ma da quello umano decisamente la scelta migliore.
Ci sono andata anche quest’anno, pur avendo finito la ricerca. Un po’ per rimanere aggiornata, un po’ perché ci tengo. Peccato che gli ex-compagni di Lorusso non ci tengano molto, a noi giovani. Ne vedo sempre meno, solo alcuni giornalisti e fotografi, qualche figlio di, e i soliti quattro o cinque dei centri sociali, tra cui una con la maglietta di Lotta Continua. Poi ci sono i ‘cani sciolti’ come me, che da anni partecipo ma rimango sempre fuori dal gregge. Certo, qualcuno lo conosco per via della mia ricerca, ma quelli che si ricordano di me si limitano a salutarmi. L’11 marzo è più che altro un’occasione per ritrovarsi, per rivedere vecchi amici o per chiedere notizie di quelli che non ce l’hanno fatta a venire. Lo capisco, eppure mi scoccia. Come potrà mai sopravvivere questa memoria se la tengono tutta per loro?
Mi sento invadente, come se non avessi diritto di essere lì. Non è la mia memoria. Eppure bisogna ricordare, per quando i settantasettini non ci saranno più. E’ brutto dirlo, ma la memoria non si trasmette con la telepatia. Lo sanno pure loro, e spesso parlano di tramandare appunto la memoria ai giovani, ma poi non succede nulla. Mi ricordo qualche anno fa, quando uscì un libro di fotografie sul ’77 a Bologna. Qualcuno durante l’anniversario girava con una copia in mano. Non riuscendo a intravedere il titolo e curiosa di sapere di che cosa si trattasse, feci un approccio un po’ diretto, ma sincero. Era anche un tentativo di entrare in contatto con questi vecchi che vedevo da anni, senza mai riuscire a scambiare due parole. La risposta fu una doccia fredda. Non l’avessi mai disturbato! Dopo ho saputo che la persona in questione era Giovanni, il fratello di Francesco Lorusso, certo non la persona migliore da interpellare in quell’occasione. Ma comunque…
Sembra che i settantasettini, non tutti ovviamente ma molti, rimangano sempre un po’ inchiodati al passato, nonostante le buone intenzioni. Stanno tra di loro, ma lo fanno anche i giovani, che per darsi un tono giocano con il telefonino oppure fumano una sigaretta. Anch’io penso, per un attimo, di tirare fuori lo smartphone per passare il tempo prima dell’intervento di Mauro Collina, il portavoce dell’associazione dedicata a Lorusso. Ma so di fare una figura ancora più stupida, e mi limito a scattare qualche foto ai fotografi scatenati sui ‘VIP’ che si abbracciano, si salutano, ridono.
Finito tutto, i settantasettini tornano a salutarsi e ad abbracciarsi. Dall’angolo con via Irnerio spunta ‘Il Rabbino’, un personaggio del quartiere che era in giro anche quando abitavo ancora in zona. Era sempre lì che spazzava per terra o chiacchierava con la gente, e con le coinquiline l’abbiamo battezzato Il Rabbino perché sembra veramente un rabbino, con la barba grigia, appuntita e lunghissima, e un po’ pazzo. Qualche anno fa, proprio lì in via Mascarella, durante l’anniversario, mentre i vecchi parlavano tra di loro e io cercavo di darmi un tono passeggiando, mi ha attaccato una pezza. Non mi ricordo cos’ha detto ma non c’entrava un tubo. E’ veramente fuori dai coppi. Quest’anno ha beccato male, però: i due giovanotti a cui si è rivolto non l’hanno cagato proprio. Povero Rabbino!
Mi incuriosisce invece un ragazzo che si mette a fare foto alla lapide, dopo l’intervento di Collina. Gli chiedo perché ci tiene a questa memoria, cosa ne sa di questa storia, e mi rallegro un po’. È straniero, viene da Israele e vive a Bologna da quattro anni. Ha scoperto la lapide per caso, passando per via Mascarella. Come me una decina di anni fa. Finalmente, un altro cane sciolto! Purtroppo è timido e non vuole parlare – che coglione. Se avessero avvicinato me, tanti anni fa… Mi dice solo che è comunista e che se avesse avuto vent’anni nel 1977, sarebbe stato in via Mascarella con Francesco Lorusso.
Cerca di staccarsi da me. Non so se il suo giocare col telefonino è solo per darsi un tono, o se ha veramente un messaggio urgente da spedire in quel momento. Forse noi olandesi siamo troppo diretti? Mah. Nonostante il suo comportamento distaccato, mi fa piacere. E penso che avrebbe fatto piacere anche a Francesco Lorusso.
editing by Beatrice Nefertiti
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