Hachiko sarà pure un drammone strappalacrime, ma funziona più di una lezione.
La farò breve.
Tanto più è difficile la comunicazione fra gli uomini quanto più risulta facile e diretta la comprensione fra uomini e animali.
Pur disponendo di un apparato ultrasofisticato ed una varietà di lingue, l’uomo non di rado si impantana e cade nel fraintendimento, scatenando ira, urla e guerre per la salvaguardia della propria identità.
Così la babele delle lingue non è più una fonte di ricchezza, ma un’arma a doppio taglio. Terribilmente affilata.
Ci sarebbe piuttosto da augurarsi l’esistenza di una sola lingua telepatica, una lingua della specie.
Se basato sull’amore ed il rispetto, quello fra l’umano e l’animale è invece il rapporto più sincero e più gratificante che si possa immaginare, o come dice il saggio, o il film, è davvero ‘eterno finché dura’.
Parole poche, ma linguaggio del corporeo tanto: un’occhiata, uno struscio, una leccata funzionano meglio di una riga di conforto. Ed è presente sempre, gratis e ad libitum.
Si capisce perciò il dolore di Lord Byron per la morte di Boatswain, ancora un cane (lui, per celebrarlo, gli affidò una lapide e un epitaffio).
E l’han capito pure i cineasti, raccontando di una larga moltitudine di cani (da Lassie a Rin Tin Tin, da Rex ad Hachiko) pluripremiati o pluridecorati per il loro indomito coraggio e abnegazione.
Così, a voler tirar le somme, è sempre vero il detto ‘meglio un cane per amico che un amico cane’, che noi di volta in volta aggiusteremo in ragione del peloso, o del pennuto, che avrà fatto, insieme a noi, il suo terno al lotto.
Epitaffio per un cane
di George Gordon (Lord) Byron
“In questo luogo sono deposti i Resti di colui che possedette Bellezza senza Vanità, Forza senza Insolenza, Coraggio senza Ferocia e tutte le virtù dell’Uomo senza i suoi Vizi.
Questa lode, che sarebbe misera Adulazione se fosse iscritta su Ceneri umane, non è che un giusto tributo alla Memoria di BOATSWAIN, un CANE, che nacque a Terranova nel maggio 1803 e morì a Newstead il 18 novembre 1808.
[…]
Queste pietre segnano il posto di un amico.
Uno solo ne ho conosciuto e qui riposa”.
Epitaph to a Dog
Near this Spot
are deposited the Remains of one
who possessed Beauty without Vanity,
Strength without Insolence,
Courage without Ferosity,
and all the virtues of Man without his Vices.
This praise, which would be unmeaning Flattery
if inscribed over human Ashes,
is but a just tribute to the Memory of
BOATSWAIN, a DOG,
who was born in Newfoundland May 1803
and died at Newstead Nov. 18, 1808.
[…]
To mark a friend’s remains these stones arise;
I never knew but one – and here he lies.
PS
Mondo cane!
Quanto m’hai fatto piangere, caro Hachi, a vederti malridotto dopo anni ed anni di quotidiana attesa in ogni tempo e stagione… ma ancora di più mi ha fatto piangere (di rabbia!) quella inqualificabile della tua ex padrona (la moglie del tuo amato Professore). Torna dopo un decennio e si meraviglia di trovarti ancora là, come sempre, alla stazione?!
Dove c… era lei nel frattempo? Chiusa nel suo dolore, giustamente rispettabile, impacchetta tutto e se ne va, senza portarti con sé… privandoti di un focolare, lasciandoti a una ragazza che capisce il tuo dramma, il tuo dolore, ma non trova poi di meglio che spalancarti le porte di un cancello…
Dico, mai e poi mai si abbandona un essere senziente, che vive ed ama proprio come noi e forse più di noi (e noi saremmo umani?)… chi ha amato di più il Professore, la mogliettina egoista e indifferente all’altrui sofferenza, o tu, indomabile cagnetto dall’aspetto e il cuor gentile?
——–
Hachiko, Usa, 2009, regia di Lasse Hallström
- Il bancario - 8 Luglio 2024
- La “cura” di Teo - 24 Giugno 2024
- Noemi - 17 Giugno 2024
Vado contro corrente, senza nulla togliere a ciò che un animale dà, nel corso della sua vita, a chi lo ama.
Ma è facile. Più difficile è amare allo stesso modo le persone, perchè i cani non chiedono, non pretendono, non ti criticano, non ti lasciano. Le persone, sì.
Allora, senza smettere di amare i cani, proviamo a porgere alle persone lo stesso affetto.
I rapporti fra umani non sono in discussione in questa sede.
Amarsi fra umani è la sfida più difficile.
La questione va invece vista sotto un altro punto di vista.
Personalmente considero umani ed animali allo stesso modo, sullo stesso piano: per me un cane vale quanto un umano, non faccio differenze, soffre uno e soffre l'altro.
Cerco di conseguenza di comportarmi come meglio posso con entrambi.
Trovo solo sconcio che il personaggio Sig.ra Parker trattasse il cane 'da cane', degno del capanno, riservandogli – perché cane – un trattamento diverso da quello che avrebbe adottato per un uomo.
Lo tratta di fatto come un essere inferiore. Ne consegue che è indifferente al suo dolore.
Molta gente tratta gli animali come esseri di serie B, e se ne vedono ogni giorno le conseguenze.
(Gamy Moore)
…CONTINUAZONE
Spesso noi umani ci perdiamo dietro inutili sentimentalismi; questo cane ci insegna a amare veramente, e in questo caso la figlia del professore (che apre il cancello…) ha capito che quella era l’unica soluzione per rendere felice e completa la vita di Haichiko, concedendogli appunto di fare ciò che più desiderava cioè restare alla stazione in attesa del ritorno del suo padrone, che effettivamente alla fine, sebbene tristemente, è tornato per riprendersi il suo fedele e affezionato amico.
La moglie del professore forse si è comportata un po’ egoisticamente, forse avrebbe dovuto continuare a vivere nello stesso paese e andare a trovare il suo cane in stazione, là dove Haichiko voleva effettivamente stare. Del resto, dal suo punto di vista della moglie del professore, aveva lasciato il cane in buone mani cioè quelle della figlia. Ripeto l’unica cosa che mi ha lasciato perplesso è il fatto che mai nessuno dei loro cari sia poi comparso alla stazione per andare a trovare Hachiko di tanto in tanto.
In fondo si tratta di un film e gli sceneggiatori avranno avuto il loro motivi per fare determinate scelte, che non condivido.
Alan,
il punto è che il cane, quando i suoi padroni (signora e figlia) hanno sbaraccato, è stato lasciato di fatto completamente solo: la ragazza aveva senz'altro il suo daffare con marito e figlioletto, si è accorta che il cane scappava per stare alla stazione in attesa 'del padrone del suo cuore', quindi era consapevole; ma avere i propri problemi non è un motivo sufficiente per lavarsene le mani.
Ma è la signora Parker l'emblema della indifferenza assoluta.
Possibile che tua figlia non ti ha detto che il cane soffre e se ne scappa, non ti passa per la mente di andare a vedere subito,e non dopo dieci anni, dormi tranquilla sapendo che quel cane 'soffre come un cane', esattamente come te (e certamente di più…) ma vive per strada, al freddo, al gelo, di carità, magari si ammala e poi muore, come di fatto avviene.
Insomma, non mi pare che lei lo abbia amato veramente (si è capito fin dall'inizio) e in questo ha fatto un torto anche al marito morto che di fatto stravedeva per lui.
E' la mancanza di rispetto per il dolore del cane che mi ha colpito e indignato.
Personalmente, se fossi stata la signora Parker, sarei rimasta nella mia vecchia casa e il cane sarebbe andato alla stazione alla solita ora, poi sarebbe tornato a casa, trovandomi ad accoglierlo (dentro, e non nel capanno degli attrezzi) con cibo, cure e milioni di coccole.
Cara Gamy anche io ho visto Hachiko e pure io mi sono commosso in sala seguendo questa storia struggente.
Mi sono sentito particolarmente coinvolto da questo film perché conoscevo la vera storia di Hachiko, un cane che in realtà visse in Giappone e che attese per anni alla fermata della stazione della metro di Shibuya (Tokyo) il ritorno del padrone che mai avvenne.
L’anno scorso sono stato a Tokyo e ho avuto la fortuna di vedere, all’uscita della stazione di Shibuya, la statua dedicata proprio a Hachiko.
Non sono d’accordo con te però quando dici che il cane è stato abbandonato, in modo disumano, al proprio dolore.
Io credo che quello fosse il destino di Haichiko e lui, credo, nel bene e nel male lo sentiva nel profondo. Una cosa è appurata i cani in particolare hanno una spiccata sensibilità tanto che riescono a percepire cose che all’uomo comune sfuggono.
CONTINUA…
E' una storia vera che tempo fa ha suscitato il mio interesse.
Hachikō (10 novembre 1923 – 8 marzo 1935) fu un cane di razza Akita. Dopo la morte del suo padrone, Hidesaburō Ueno, si recò ogni giorno, per quasi dieci anni, ad attenderlo, invano, alla stazione, in cui l'uomo prendeva il treno.
La vicenda ebbe un enorme riscontro nell'opinione pubblica dell'epoca e ben presto Hachikō divenne, in Giappone, un emblema di affetto e lealtà. Nel 1934, al fedele animale fu dedicata una statua e, negli anni, la sua storia divenne il soggetto di film (tra cui questo di cui parli tu) e di alcuni libri.
Conosciuto anche come Chūken Hachikō (letteralmente cane fedele Hachikō), il suo vero nome era Hachi (il suffisso "kō" è usato come vezzeggiativo)
La storia di Hachiko non è l'unica, anche nel resto del mondo e in Italia ci sono stati casi analoghi.
Dunque questo Akita non costituisce l'eccezione, semmai rappresenta la regola.
I cani, in special modo, sono soliti recarsi sulle tombe dei loro padroni, è un modo per dimostrare il loro amore.
Solo che in Italia nessuno ha pensato di farne un film. E raramente si erigono statue o lapidi.
Da poco tempo sono sorti cimiteri per animali, io ho dovuto lottare per anni per dare una degna sepoltura a uno dei miei gatti, ma alla fine ci sono riuscita, e ora riposa in pace in uno dei pochi cimiteri per animali in Puglia.
Purtroppo c'è chi pensa ancora che esistano creature di serie A (gli umani) e di serie B (gli animali).
Quella di Hachiko è in parte un'operazione commerciale, ha però il merito di trattare con garbo e senza scadere in ignobili sentimentalismi, una materia delicata, che ci riguarda tutti, anche chi non 'possiede' un animale. Mostra cos'è l'amore vero, il rispetto, il dolore, che è uguale negli uomini e negli animali, anche se il dolore degli animali è più pacato, non è mai ostentato.
Questo film insegna a rispettare la diversità, ad andare incontro senza pregiudizi a chi non ci riporta la palla, ma ci dimostra in ogni modo, anche col sacrificio di se stesso, che siamo 'unici e insostituibili' per lui.